SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 9 maggio 2014, n. 10128

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23404/2010 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati MARESCA ARTURO, BOCCIA FRANCO RAIMONDO, ROMEI ROBERTO, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso lo studio dell’avvocato BOLOGNESI RICCARDO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

HEWLETT PACKARD DISTRIBUTED COMPUTING SERVICES S.R.L.;

– intimata –

Nonchè da:

HEWLETT PACKARD DISTRIBUTED COMPUTING SERVICES S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio degli avvocati MOZZI VINCENZO e DE BERARDINIS PAOLO, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente incidentale per adesione –

e contro

TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS), C.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 672/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 28/05/2010 R.G.N. 568/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2014 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

uditi gli Avvocati BOCCIA FRANCO RAIMONDO e ROMEI ROBERTO;

udito l’Avvocato BOLOGNESI RICCARDO;

udito l’Avvocato DE BERARDINIS PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello dell’Aquila, con la sentenza n. 672 del 2010, pronunciando sull’appello proposto da Hewlett Packard Distributed Computing Service srl e da Telecom Italia spa nei confronti di C.A., avverso la sentenza del Tribunale di Pescara n. 570 del 2009, rigettava le impugnazioni.

Il Tribunale di Pescara, accogliendo la domanda proposta dalla suddetta lavoratrice, ritenendo non legittima la cessione di ramo d’azienda (struttura IT User Support, omologa a Desktop Managment, ex Eis, a H.P.), aveva dichiarato la nullità della cessazione, avvenuta in data 16 aprile 2003, del contratto di lavoro relativo alla stessa, e per l’effetto aveva ordinato il ripristino del rispettivo rapporto di lavoro in capo alla società Telecom Italia spa, con inquadramento nelle medesime pregresse mansioni o in altre ad esse equivalenti.

Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Telecom Italia spa, prospettando tre motivi di ricorso.

Hewlett Packard Distributed Computing Service srl ha proposto ricorso incidentale per adesione ai motivi di impugnazione proposti da Telecom Italia spa.

Resiste con controricorso C.A., che ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Motivi della decisione

1. In via preliminare occorre rilevare, quanto alla controricorrente, che con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, rivolta anche a HP CDS srl, già HP DCS srl, la stessa ha manifestato in modo chiaro di resistere anche al ricorso di quest’ultima.

2. Tanto premesso, e prima di passare all’esame di emotivi di ricorso, occorre ricordare che nella specie trattasi di asserita cessione di ramo d’azienda, avvenuta pacificamente in data 16 aprile 2003.

Onde verificare la reale ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., la Corte d’appello ha correttamente esaminato le vicende che avevano preceduto la cessione. Essa ha quindi preso in considerazione un contratto con cui la società Telecom aveva ceduto alla società Netsiel con decorrenza dal 1 gennaio 2001, il settore informatico nella sua globalità ed in tutte le sue pregresse diversificate articolazioni, con il trasferimento dei lavoratori (in numero di 1600 unità) alle varie competenze del medesimo settore adibiti.

La Corte rileva, tuttavia, che nel successivo contesto temporale, avente ad oggetto il periodo di gestione del polo informatico ad opera della spa Netsiel, si erano inseriti una serie di atti ed accadimenti sintomatici di una strategia aziendale, consapevolmente preordinata ad una sostanziale modificazione dell’identità e dell’autonomia funzionale del suddetto ramo d’azienda, costituendo circostanze particolarmente significative: a) l’intervenuta confluenza di circa 300 dipendenti della società Eis, proveniente da esperienza lavorative diverse ed estranee a quelle di pertinenza del settore esercizio dei sistemi informatici ex Telecom, previa collocazione dei medesimi nel settore Desktop Managment e destinazione di essi all’attività di assistenza tecnica delle postazioni di lavoro; b) l’avvenuto conferimento delle prestazioni lavorative, ad opera di taluni appartenenti al Gips, nell’esclusivo interesse di Telecom, previa utilizzazione degli strumenti operativi già appartenenti a quest’ultima azienda; c) il mantenimento di un immutato assetto organizzativo, funzionale al soddisfacimento del cliente Telecom, salvo sottrarre, a fine anno 2002, la gestione reti Lan al Gisp per attribuirla alla funzione Rete di Telecom; d) la fusione di spa Netsiel, unitamente ad altre società del gruppo (Sodalia, Telesoft, Saritel) in spa IT Telecom, costituita nell’agosto 2002.

Lo snaturamento del polo informatico originario era proseguito durante la brevissima fase di IT Telecom, assumendo connotazioni fattuali significative, quali la realizzazione della struttura IT User Support, omologa al Desktop Managment, che era stata ceduta ad H.P. al corrispettivo simbolico di Euro 10.000,00, con contestuale stipulazione di un contratto di prestazione dei servizi, ad essa struttura risalenti, ad opera della cessionaria in favore della cedente.

Affermava la Corte d’Appello, quindi, che la strategia aziendale elusiva dell’art. 2112 c.c. – nel senso di supportare il convincimento in ordine alla mancanza dei presupposti di operatività della fattispecie ivi delineata – era confermata alla luce delle seguenti indicative condotte: a) l’intervenuta istituzione ad opera di Telecom di un corso di formazione per addetti all’assistenza di sistemi informativi, a riprova della non integrale cessione delle funzioni di pertinenza della lavoratrice appellata al settore IT User Support; b) l’avviamento di tale struttura ad attività non sovrapponibili a quelle risalenti all’originario settore informativo; c) la destinazione dei lavoratori a compiti operativi diversi da quelli di rispettiva pregressa titolarità.

La Corte ritenne, quindi, che, come statuito dal giudice di primo grado, sussisteva il carattere fittizio, ex art. 2112 c.c., della cessione del ramo d’azienda concordata tra spa IT Telecom e H.P., nel senso che l’operazione messa in essere, lungi dal configurare il trasferimento di una struttura aziendale dotata di preesistente autonomia organizzativa, funzionale ed economica, era stata, in realtà, concepita da entrambe le società, in funzione di esternalizzazione, e si era materializzata esclusivamente in via strumentale all’estromissione di personale dipendente già appartenente alla Telecom, ma, come tale, da assoggettarsi, ai sensi dell’art. 1460 c.c., all’onere del preventivo consenso dei lavoratori ceduti, nella specie pacificamente non adempiuto.

3. Con il primo motivo del ricorso principale è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., e degli artt. 1406, 2094 e 2112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Espone la ricorrente che mancherebbe in capo alla lavoratrice l’interesse ad agire che si specifica nel rapporto di utilità intercorrente tra la lesione di un diritto ed il provvedimento di tutela giurisdizionale che viene richiesto, atteso che non è stata dedotta, nella specie, la lesione di alcun diritto e di alcuna conseguenza negativa derivante dal trasferimento del rapporto di lavoro nell’ambito del trasferimento del ramo d’azienda di cui facevano parte la lavoratrice. In proposito, espone la ricorrente che è insufficiente la motivazione della Corte d’Appello che si è limitata ad affermare che l’interesse a far accertare l’illegittimità di un trasferimento del ramo d’azienda e il conseguente mutamento del datore di lavoro comporta di per se stesso l’interesse ad agire.

3.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Nel rapporto obbligatorio il debitore è, di regola, indifferente al mutamento della persona del creditore, mentre il mutamento della persona del debitore può ledere l’interesse del creditore. In base a questo principio – espresso nell’art. 2740 c.c., art. 1268 c.c., comma 1, art. 1273 c.c., comma 1, e art. 1406 c.c. – deve considerarsi inefficace la cessione del contratto di lavoro qualora il lavoratore, titolare di crediti verso il datore, non abbia prestato il consenso di cui all’art. 1406 cit. L’art. 2112 c.c., che permette all’imprenditore il trasferimento dell’azienda, con successione del cessionario negli obblighi del cedente e senza necessità di consenso del lavoratore, costituisce eccezione al detto principio e non si applica se non sia identificabile, quale oggetto del trasferimento, un’azienda o un suo ramo, da intendere come entità economica organizzata in maniera stabile e con idoneità alla produzione e allo scambio di beni o di servizi.

Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e perciò l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso. Nè questo interesse è escluso dalla solidarietà tra cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’art. 2112, la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto “esistenti” al momento del trasferimento e non quelli futuri, onde ben può configurarsi un pregiudizio a carico del ceduto nel caso di cessione dell’azienda a soggetto meno solvibile.

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ad avviso della ricorrente tra le condizioni previste dal legislatore per operare il trasferimento di azienda non è compresa la preesistenza del ramo. Nè, in proposito si può richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia, occorrendo, invece, solo che il soggetto subentrante abbia proseguito la stessa attività utilizzando del tutto tutti o in parte i mezzi o riassumendo in tutto o in parte il personale del precedente complesso aziendale.

In ogni caso, il ramo in questione esisteva già da un anno circa prima del suo trasferimento, ed era esistente con quelle caratteristiche che poi ha mantenuto fino al suo trasferimento e ciò in virtù di una decisione organizzativa di Telecom che no può essere sindacata in sè. Nè è ravvisabile eterogeneità delle funzioni svolte dal ramo.

5. Con il terzo motivo di ricorso è prospettato il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata pone delle premesse in diritto che non hanno riscontro negli elementi di fatto posti a base della decisione, non illustrando quali circostanze di fatto non consentiscano di ritenere che il ramo trasferito non avesse mantenuto la propria identità o si caratterizzasse alla stregua di un contenitore di diversi servizi.

6. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.

Occorre ricordare come questa Corte ha già affermato (Cass., sentenza 4 dicembre 2012, n. 21711, 6 febbraio 2013 n. 2766), in linea con la prevalente dottrina formatasi sul punto, che in materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda, tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112 c.c., comma 5) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva. La citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e, analogamente, l’art. 2112 c.c., comma 5, si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”. Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati (Cass. 8 giugno 2009 n. 13171). Ne consegue che, nonostante talune difformi opinioni basate sul dato letterale dell’assenza, nelle Direttive comunitarie, del concetto di preesistenza (pur essendo previsto quello della conservazione dell’identità), l’entità economica trasferita deve in realtà ritenersi preesistente al trasferimento, non potendo conservarsi quel che non c’è (cfr. sul punto Cass. 13 ottobre 2009 n. 21697). Il concetto di preesistenza deve poi ritenersi necessariamente riferito ad una articolazione funzionalmente autonoma dell’azienda, posto che qualunque lavorazione aziendale, per poter essere ceduta, non potrebbe che preesistere al negozio traslativo, essendone il necessario oggetto contrattuale.

Tale conclusione risulta obbligata anche alla luce della legge delega n. 30 del 2003, considerando che essa prevedeva la sussistenza del requisito dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda al momento del suo trasferimento, dovendosi conseguentemente ritenere non consentito attribuire unicamente alle parti imprenditoriali di individuare a quali cessioni si applichi la fondamentale garanzia di cui all’art. 2112 c.c., risultando peraltro arduo sostenere che competa unicamente al datore di lavoro decidere sull’applicabilità di disposizioni inderogabili a garanzia dei lavoratori.

Ed invero, seppure può oggi ritenersi che l’autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto non coincida con la materialità dello stesso (quanto a strutture, beni strumentali ed attrezzature, etc), ma possa consistere anche in un ramo “smaterializzato” o “leggero”, costituito in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati in modo idoneo, anche potenzialmente (od al netto dei supporti generali sussistenti presso l’azienda cedente), allo svolgimento di un’attività economica, ciò non toglie che tale autonomia dell’entità ceduta debba essere obiettivamente apprezzabile, sia pur con possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di verificarne l’imprescindibile requisito comunitario della sua “conservazione”. Non può ammettersi invece – alla luce dei principi comunitari, cfr. C.G.E. 24 gennaio 2002, causa C-51/00 – che tale legame funzionale possa derivare (soggettivamente) solo dalla qualificazione fattane dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento, consentendo ai soggetti stipulanti il negozio traslativo (peraltro neppure portatori di superiori interessi pubblici o collettivi), la libera definizione della fattispecie cui la norma inderogabile si applica, e ciò in contrasto con la disciplina comunitaria in ordine all’inderogabilità dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda. D’altro canto è principio consolidato nella giurisprudenza comunitaria (cfr. C.G.E. 14 novembre 1996, C-305/1994) quello per cui la vicenda traslativa si perfeziona ipso iure, risultando irrilevante la contraria volontà delle parti del negozio traslativo.

Questa Corte ha poi già ritenuto che mentre nell’ipotesi della cessione di ramo di azienda si realizza la successione legale nel rapporto di lavoro del cessionario senza bisogno del consenso dei contraenti ceduti, nel caso della mera esternalizzazione di servizi ricorre la fattispecie della cessione dei contratti di lavoro, che richiede per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti (Cass. 16 ottobre 2006 n. 22125; Cass. 5 marzo 2008 n. 5932).

Deve pertanto ritenersi operante, ai sensi dell’art. 2112 c.c., come tale suscettibile di autonomo trasferimento vi riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità – come del resto previsto dalla prima parte del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, – pur potendosi individuare, nel contratto di cessione, una porzione o frazione produttiva che precedentemente era strettamente legata ai supporti logistici e materiali presenti nell’azienda cedente. Ciò presuppone comunque una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste).

Ne consegue che può applicarsi la disciplina dettata dall’art. 2112 c.c., anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività della società cessionaria, purchè esso presenti, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto della cessione, la propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di obiettive finalità produttive, sicchè i reciproci rapporti vengono trasferiti dal cedente al cessionario, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., senza necessità di un loro consenso (cfr. già Cass. 1 febbraio 2008 n. 2489; Cass. 17 marzo 2009 n. 6452; Cass. 13 ottobre 2009 n. 21697).

Alla luce dei suddetti principi la Corte d’Appello, esattamente e con congrua motivazione esclude la ravvisabilità di un ramo d’azienda, oggetto di cessione ai sensi dell’art. 2112 c.c., in un servizio consistente nella gestione e manutenzione di strutture informatiche, privo di struttura aziendale autonoma e preesistente, non identificabile sulla base di interessi del cessionario successivi alla cessione, ed anzi esclusa dai criteri di designazione dei lavoratori trasferiti, provvisti di competenze professionali non omogenee, e comunque ancora interagenti con operatori dell’impresa cedente.

7. La recente sentenza della Corte di giustizia UE 6 marzo 2014 n. C- 458/12 conferma quanto detto. Da essa risulta infatti che: a) non si ha trasferimento di ramo d’azienda qualora il ramo non preesista alla cessione (dispositivo, n. 1; considerato n. 32); b) in tal caso spetta all’ordinamento nazionale di garantire il lavoratore (dispositivo, n. 1; considerato n. 39).

8. Per le medesime ragioni deve essere rigettato il ricorso incidentale adesivo di H.P. D.C.S. Service, fondato su motivi di impugnazione analoghi a quelli proposti da Telecom Italia spa.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro cento per esborsi, oltre Euro tremila per compensi professionali, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2014

Lascia un commento

Help-Desk