SCAMBIO ELETTORALE POLITICO MAFIOSO E CONCORSO ESTERNO
a cura dell’Avv. Antonio Giuffrida
L’art. 416 ter c.p. punisce, con la stessa pena prevista dal primo comma dell’art. 416 bis (la reclusione da sette a dodici anni), la condotta del politico che ottiene la promessa di voti di cui al terzo comma dell’art. 416 bis in cambio della erogazione di denaro.
Introdotta con l’art. 11 ter della l. 7 agosto 1992 n. 356, di conversione del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, che ha fra l’altro arricchito l’art. 416 bis del riferimento alle finalità di condizionamento della selezione democratica del personale politico, la figura di reato in questione è volta a colpire gli intrecci tra mafia e politica e, segnatamente, quel particolare patto elettorale politico-mafioso, costituito dall’accordo in forza del quale il politico, in cambio del sostegno elettorale dell’associazione, versa somme di denaro. Rimangono, pertanto, fuori dall’ambito di operatività dell’art. 416 ter quei casi in cui la controprestazione della promessa di voti sia costituita da condotte diverse dalla cessione di denaro (quali acquisizioni di concessioni, autorizzazioni, appalti, finanziamenti pubblici, etc.) i quali, rappresentando peraltro le ipotesi più ricorrenti di tale scambio, potrebbero rilevare invece a titolo di concorso esterno nel reato associativo.
La predetta scelta legislativa, dettata da “scrupoli garantistici” derivanti dal timore che potessero venire colpiti gran parte dei comportamenti elettorali del ceto politico meridionale, è stata criticata dalla dottrina, in quanto ritenuta in grado di limitare in modo considerevole l’utilità e l’efficacia della disposizione: Peraltro, nell’ambito della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta dal prof. Grosso è prevalso l’orientamento che ha proposto di sostituire l’ultima parte della disposizione con l’espressione “in cambio della erogazione o della promessa di denaro o altra utilità”, anche al fine di precisare la punibilità della semplice promessa, che la dottrina ritiene comunque pacificamente riconducibile, assieme alla dazione, all’ambiguo termine “erogazione” utilizzato dal legislatore.
La collocazione della norma nell’ambito dei delitti contro l’ordine pubblico, oggetto di incertezze e ripensamenti durante l’iter di approvazione del decreto a causa del rilievo che la fattispecie potesse trovare altrove la sua sede più appropriata (ad es. nell’ambito della normativa in materia di trasparenza elettorale), sembrerebbe dettata, a parere della dottrina, da considerazioni “simboliche” e dunque dall’esigenza di testimoniare l’impegno dello Stato nella lotta contro il grave problema della criminalità organizzata e in particolare dell’infiltrazione mafiosa nel tessuto politico-amministrativo attraverso i canali elettorali, più che da un reale intento di contrastare questo fenomeno criminoso.
Il bene giuridico protetto dalla fattispecie, nonostante la collocazione sistematica della norma nel Titolo V del libro II, sembra solo mediatamente da individuare nell’ordine pubblico, rispetto al quale la tutela delle istituzioni dalle infiltrazioni e dai condizionamenti mafiosi funge tutt’al più da difesa avanzata, e va invece identificato nell’interesse, riconosciuto dall’art. 51 Cost., a che l’accesso alle cariche elettive avvenga “in condizioni di uguaglianza”.
Non estranei ai suddetti ambiti di tutela sono peraltro anche il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione: quest’ultima, intesa in senso lato, è fortemente indebolita dalle infiltrazioni mafiose nell’apparato pubblico non solo nella sua funzione generale, ma anche nella sua capacità di esprimere e garantire quella legalità e quei diritti su cui può reggersi l’azione di contrasto alla criminalità organizzata.
Peraltro, lo stretto rapporto esistente tra l’integrità della P.A. e l’effettività delle risorse politico-criminali messe in campo per la lotta alla mafia emerge con chiarezza, da un lato, in vari settori della decretazione d’urgenza antimafia, dove i provvedimenti di natura propriamente penale nei confronti del fenomeno mafioso sono affiancati da disposizioni volte a tutelare specificamente la “trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa” e, dall’altro, nelle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e, in particolare oltre alle previsioni di cause ostative alla candidatura e di sospensioni e decadenze di diritto a carico di chi abbia subito condanne (artt. 58 e 59), merita rilievo l’art. 143 che disciplina lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.
Soggetti attivi del reato sono dunque sia il candidato sia il mafioso che promette i voti: la giurisprudenza esclude il reato quando non si ha contezza dell’impegno di tutta l’associazione, o di una cospicua parte di essa, nel procacciamento dei voti, che può desumersi, ad esempio, dall’esplicito riferimento del mafioso alla mobilitazione della sua associazione, dall’entità della somma versata e dalla successiva realizzazione dell’attività intimidatoria sull’elettorato.
La condotta tipica, come abbiamo visto, si articola nell’erogazione di denaro da parte del candidato alle elezioni, nella contestuale promessa di chi riceve questa somma di procacciare voti in suo favore e nella circostanza che tale impegno sia ricollegato all’intervento di un’associazione mafiosa che dovrà utilizzare i metodi previsti dall’art. 416 bis.
Il reato si consuma pertanto con il conseguimento della promessa, ovvero con la semplice stipula dell’accordo tra esponenti mafiosi e candidati, realizzando così un’anticipazione della tutela della libertà di voto e dell’ordine pubblico, visto che la condotta è punita anche se dopo che è intervenuto l’accordo non si dà seguito ad esso: si tratta quindi di un reato di pericolo che, in deroga all’art. 115 c.p., sanziona un mero accordo illecito prima ancora (e a prescindere dal fatto) che siano compiuti atti esecutivi dello stesso.
L’anticipazione dell’intervento penale ad un momento precedente rispetto al condizionamento degli elettori e la conseguente, ritenuta, natura di reato di pericolo renderebbero la figura di reato in esame scarsamente compatibile con la fattispecie tentata: tuttavia la circostanza che la condotta materiale sia stata ben delimitata dal legislatore comporta la possibilità che si realizzino comportamenti idonei ed univoci per il raggiungimento del patto, che sia poi impedito da fattori non controllati dagli agenti.
L’elemento soggettivo del reato è caratterizzato dal dolo e quindi dalla rappresentazione e volontà di conseguire la promessa di voti in cambio della erogazione di denaro, con la consapevolezza di concludere l’illecito accordo elettorale con una associazione di tipo mafioso o con un suo rappresentante, in grado di impegnare la forza del sodalizio criminoso nel condizionamento dell’elettorato e dell’orientamento delle scelte dei propri aderenti.
Circa i rapporti con gli artt. 96 e 97 t.u. delle leggi elettorali (d.p.r. 30.03.1957 n. 361), che puniscono con sanzione penale condotte di minaccia o di promessa o di somministrazione di denaro o altre utilità al fine di influenzare il libero convincimento dell’elettore la giurisprudenza ritiene che l’elemento di distinzione è costituito dal ricorso, nella condotta di cui all’art. 416 ter, all’intimidazione e alla prevaricazione mafiosa: peraltro, sotto il profilo del bene giuridico tutelato, si rileva che il reato di scambio elettorale politico-mafioso è sistemato topograficamente nell’area dei delitti contro l’ordine pubblico, subito dopo il reato di associazione mafiosa, così da salvaguardare solo strumentalmente l’interesse elettorale, protetto in via immediata e diretta dai predetti artt. 96 e 97.
Il rapporto tra le disposizioni viene costruito, dalla dottrina prevalente, in termini di specialità delle fattispecie elettorali rispetto all’art. 416 ter: si ritiene peraltro che si farà luogo all’applicazione delle prime anche laddove il candidato abbia offerto agli associati utilità diversa dall’erogazione di denaro tipizzata dall’art. 416 ter (mentre quest’ultima fattispecie gravita sull’ottenimento della promessa di voti da parte del politico, la quale deve essere stata effettivamente conseguita ai fini del perfezionamento della stessa, il baricentro dell’art. 96 è piuttosto costituito dalla controprestazione del politico e cioè dell’offerta, promessa o somministrazione di denaro, valori o qualsiasi altra utilità e la promessa di voti, in quest’ultima fattispecie, costituisce oggetto di mero dolo specifico in capo al candidato e quindi non deve necessariamente essere stata conseguita ai fini della consumazione del delitto).
L’introduzione della fattispecie di cui all’art. 416-ter c.p. ha costituito tema di valutazione e causa delle diverse conclusioni raggiunte in dottrina in ordine alla configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa di esponenti politici: mentre un primo orientamento ritiene che anche la semplice promessa conseguente all’accordo politico-mafioso potrebbe produrre l’effetto di contribuire alla vita o al consolidamento dell’associazione e che pertanto con l’introduzione della fattispecie il legislatore abbia voluto reprimere espressamente condotte che difficilmente avrebbero raggiunto la soglia del contributo minimo necessario al mantenimento e/o rafforzamento dell’associazione mafiosa, altri autori si sono invece espressi in termini negativi in ordine alla possibilità di ritenere configurata una fattispecie di concorso esterno nell’ipotesi di mero accordo elettorale, poiché la condotta del politico, costituita dalla mera promessa di futuri vantaggi a favore dell’associazione mafiosa, non sarebbe sufficiente a costituire quel contributo idoneo ad avvantaggiare o rafforzare l’organizzazione mafiosa.
Dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono, tuttavia, configurabile la fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa in caso di accordi elettorali: in particolare, nei casi di accertata appartenenza del politico all’associazione mafiosa, il patto stipulato dallo stesso costituirebbe espressione del ruolo partecipativo svolto da questi all’interno dell’organizzazione e la relativa condotta rientrerebbe nell’ipotesi di cui agli artt. 110, 416 bis c.p.; nei casi in cui, invece, lo scambio consiste nella somministrazione di denaro/voti elettorali troverà applicazione l’art. 416 ter c.p.; nei casi di scambio elettorale costituito da procacciamento di voti/promessa di futuri vantaggi per l’associazione potrà configurarsi il concorso esterno nel reato associativo, secondo parte della dottrina, a condizione che sia stato possibile accertare nel comportamento del politico successivo alla nomina un inizio di adempimento delle promesse effettuate in fase pre-elettorale, senza il quale non sarà possibile ritenere la condotta penalmente rilevante poiché mancante, sul piano oggettivo, dei presupposti materiali perché si configuri un effettivo contributo causale all’associazione mafiosa.
In giurisprudenza, tuttavia, prevale l’orientamento opposto rispetto a quello da ultimo esposto, dandosi rilevanza a titolo di concorso esterno anche alla semplice promessa di future prestazioni in favore dell’associazione da parte del candidato: la stessa Suprema Corte delle Sezioni Unite, nella c.d. sentenza Mannino del luglio 2005 – dopo aver confermato che il concorso esterno nel reato associativo è configurabile anche nell’ipotesi di “patto di scambio politico-mafioso”, in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale si impegna, a fronte dell’appoggio richiesto all’associazione stessa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo – individua due requisiti essenziali per ritenere configurato il reato di cui trattasi:
- gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione mafiosa dovranno presentare il carattere della serietà e della concretezza, in ragione dell’affidabilità e della caratura dei protagonisti dell’accordo, dei caratteri strutturali e del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti;
- all’esito della verifica ex post della loro efficacia causale risulti accertato che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali.