È ricorrente nella casistica giudiziaria, la fattispecie del licenziamento per svolgimento di attività lavorativa in costanza di malattia.
In linea generale, può affermarsi che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia, rappresenta titolo idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
Ciò avviene, in particolare, ove tale attività esterna, prestata a titolo oneroso o meno, sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolenta simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (v. ex plurimis Cass. n. 17625 del 2014, Cass., n. 24812 del 2016).
In ordine al criterio della compatibilità con lo stato di malattia dell’esercizio di altre attività lavorative e non lavorative (amatoriali, hobbistiche, sportive), la Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 21667 del 2017, ha ribadito un orientamento ormai consolidato, ritenendo che “l’espletamento di attività extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento derivi un’effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia solo messa in pericolo dalla condotta imprudente, con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato”.
Di recente, la Suprema Corte sembra aver addirittura ampliato la portata di questo principio, come emerge dalla Sentenza n. 27333 del 17 novembre 2017.
Nel caso sottoposto agli Ermellini, un lavoratore impugnava il licenziamento intimatogli dal datore di lavoro per aver svolto, nel periodo di malattia, un’attività lavorativa uguale a quella prestata sul luogo di lavoro, ma presso un locale proprio.
I giudici di legittimità hanno ritenuto legittima la condotta del lavoratore “ritenuto il limitato impegno lavorativo del dipendente insuscettibile di influire in senso pregiudizievole sul decorso della malattia sofferta e sulle necessità terapeutiche”.
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra esposti, affinché sia possibile lavorare durante la malattia, è necessaria la sussistenza dei seguenti requisiti:
– malattia effettiva e non simulata;
– presenza in casa durante gli orari di reperibilità per le visite fiscali;
– non compromettere la guarigione della malattia o allungarla;
– seconda attività svolta n concorrente con quella del datore.
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