Negozio fiduciario

Cassazione Civile sez. II 27 agosto 2012 n. 14654

a cura della D.ssa Claudia Zangheri

 

La massima

Il negozio fiduciario si sostanzia in un accordo tra due soggetti, con cui il primo trasferisce al secondo una situazione giuridica soggettiva (reale o personale) per il conseguimento di uno scopo pratico ulteriore.

Essendo il negozio fiduciario una fattispecie non espressamente disciplinata dalla legge, e, in mancanza di una disposizione espressa in senso contrario, il pactum fiduciae non può che essere affidato al principio generale della libertà di forma.

 

Il caso

 

Una suocera ha versato dei titoli di credito sul conto corrente della cognata. Alla morte della suocera il figlio ha convenuto la moglie in giudizio perché venisse accertata la nullità, ai sensi dell’art. 782 c.c., della cessione dei titoli di credito effettuata a favore della moglie; e la condanna alla restituzione della somma corrispondente alla quota ereditaria del figlio/attore sostenendo che si era trattato di una donazione, nulla per difetto di forma.

Il tribunale di Cremona, ha ritenuto non provata la causa liberale dell’operazione respingendo la domanda dell’attore. La corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado, sostenendo che incombeva sull’attore la prova dell’animus donandi, che non è stata fornita.

Anche la cassazione ha confermato i precedenti gradi di giudizio con la sentenza in oggetto.

 

Quesito da risolvere

La cessione di titoli di credito sotto forma fiduciaria può configurarsi quale donazione? La forma del pactum fiduciae

 

Normativa e norma applicabile

Art. 1322 c.c.

 

Nota esplicativa

 

          Il negozio fiduciario

Il negozio fiduciario non è espressamente disciplinato dal codice civile. Nel nostro ordinamento manca una qualsiasi disciplina della fiducia, non può, così, ravvisarsi alcun istituto giuridico della fiducia. Essa viene configurata come quel negozio con cui un soggetto, fiduciario, attribuisce un diritto ad un altro soggetto, fiduciante, affinché questi lo utilizzi secondo le disposizioni del disponente. Il fiduciario può attribuire il diritto, o la proprietà di un bene al fiduciante, con l’intesa che il bene rientri successivamente nel patrimonio del fiduciario, o che venga trasferito a terze persone il bene per ritrasferirlo al fiduciante oppure ad un terzo. Ne consegue che l’effetto obbligatorio corregge senza negarlo l’effetto reale.[1]

Nella nostra tradizione giuridica il negozio fiduciario può svolgere un doppio ruolo, si distingue, infatti, in fiducia cum amico (detta anche pura) e fiducia cum creditore (o impura, usata a fini di garanzia)..

Gli scopi che sottengono al negozio in questioni sono numerosi: tra i tanti si può avere un trasferimento effettuato per evitare che il bene venga aggredito da creditori; può configurarsi uno scopo di amministrazione etc., è comunque necessario, affinché il negozio non venga dichiarato nullo, che gli scopi perseguiti siano meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. La fiducia in sé per sé, infatti, non ha carattere illecito, ed è legalmente vincolante tra le parti, a meno che non sia il mezzo per frodare la legge.

La fiducia viene normalmente denominata di tipo romanistico, in contrapposizione con la fiducia di tipo germanico. Le due fattispecie sono differenti: la fiducia di tipo romanistico si basa su di un accordo esterno al negozio di trasferimento, con il quale il fiduciante si obbliga ad eseguire le direttive del fiduciario, ma che non è vincolante nei confronti dei terzi. Nella fiducia di tipo germanico, al fiduciario viene trasferito un potere giuridico di disposizione illimitato, ma condizionato risolutivamente. Ogni uso contrario a quello stabilito tra le parti determina il rientro del bene nel patrimonio del fiduciante. La legittimazione del fiduciario ad agire è, quindi, vincolante, non solo tra le parti, ma anche nei confronti dei terzi, si ha, così, una disgregazione dei poteri del proprietario: il vincolo di destinazione del bene a favore di un terzo ha carattere reale e quindi opponibile ai terzi, ai creditori e ai terzi aventi causa del fiduciario.

Diversamente nel nostro ordinamento l’attribuzione al fiduciario del pieno diritto, da un punto di vista reale, comporta che quest’ultimo utilizzi il diritto attribuitogli anche in maniera difforme rispetto alle direttive impartite dal fiduciante. Alla fiducia di tipo romano si associa spesso l’interposizione, in questo caso reale, di persona. Con l’intestazione fiduciaria, il fiduciario acquista realmente la proprietà del bene, assumendo un potere senza limiti, ma circoscritto dal rapporto obbligatorio interno, derivante dal pactum fiduciae, per cui è tenuto ad assumere un determinato comportamento. Ed è proprio questa possibilità di abuso del diritto che caratterizza il negozio fiduciario. Eliminando l’abuso, così come sancito nel diritto anglosassone, si darebbe luogo ad una “fiducia legale”, è ciò sarebbe la negazione del negozio fiduciario di tipo romanistico.[2]

 

          Natura giuridica, struttura e forma del negozio fiduciario

Il problema fondamentale della fiducia, non essendo essa disciplinata dal nostro ordinamento, è il suo fondamento causale.

Le prime correnti dottrinali hanno ritenuto inammissibile il trasferimento basato sulla causa fiduciae. Alcuni sostenevano che la fiducia fosse solo un motivo, per questo non idoneo a costituire la causa del negozio. Santoro Passarelli[3] sosteneva che la causa fiduciae si risolvesse in “una arbitraria e non consentita astrazione parziale della causa del negozio tipico”, per cui essa sarebbe incompatibile con la causa che sottende ai negozi tipici. La fiducia, secondo questa corrente di pensiero, altro non può essere se non il motivo, e come tale è inidonea ad interagire con il negozio concluso.

Altri sostengono l’inammissibilità del negozio fiduciario basandosi sul principio del numero chiuso delle cause contrattuali, che vige nel nostro ordinamento, tra le quali non risulta esserci la causa fiduciae.

La critica principale, alle teorie negatrici del negozio fiduciario, si basa sulla considerazione che creando il rapporto fiduciario come clausola di un contratto più ampio, che può essere sia a titolo gratuito che oneroso, la causa della clausola, cioè della fiducia, si confonde con la causa del contratto concluso. In questo modo si snatura la causa della fiducia, in quanto utilizzando un negozio già disciplinato dalla legge, quale può essere una compravendita, sarà valido lo schema causale del negozio utilizzato e non la causa fiducia, che risulterà in contrasto.

Altri autori hanno ipotizzato l’utilizzo di negozi astratti, ma anche in questo caso la critica ha opposto che il nostro ordinamento non ammette l’esistenza di negozi astratti.

Le prime teorie, sopra menzionate, partivano dal minimo comune denominatore di voler utilizzare lo schema del negozio astratto, non contemplato nel nostro ordinamento. Le dottrine successive, hanno, invece, cercato di costruire il negozio fiduciario in maniera diversa, consapevoli del fatto che, nella figura in oggetto, la volontà delle parti è divergente rispetto all’intento giuridico[4].

Sulla base di queste considerazioni una prima teoria[5] ha sostenuto che l’attribuzione patrimoniale è il mezzo per rendere possibile al fiduciario lo svolgimento del compito datogli, costituendo così la causa giustificativa del trasferimento. La causa fiduciae diventa una causa autonoma e propria; ciò sarebbe possibile in base al principio dell’autonomia contrattuale, secondo il quale le parti sono libere di autodeterminare gli effetti del contratto che vogliono stipulare. L’unico limite consiste nella liceità degli interessi che le parti perseguono. Ne consegue che il negozio è ammissibile tutte le volte in cui l’effetto obbligatorio (che è la causa dell’attribuzione) sia meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.; tale effetto obbligatorio viene così a costituire la causa che giustifica l’effetto reale del negozio. Si configura, in questo modo, una fattispecie ad hoc di negozio fiduciario, come specie del più amplio genus di negozio giuridico. Le critiche a questa teoria sono state diverse:

–        Alcuni affermano che non sarebbe possibile tale configurazione in quanto i negozi traslativi sono tipici e il principio della libertà contrattuale vale solo per i negozi obbligatori. (critica ormai aprioristica alla luce dell’evoluzione interpretativa dell’art. 1322 c.c.)

–        Altri sostengono che non possa sussistere tale tipo di negozio perché darebbe luogo ad una proprietà fiduciaria, la quale però non avrebbe le caratteristiche tipiche della proprietà.

Successivamente la dottrina ha accomunato il negozio fiduciario al negozio simulato: il trasferimento al fiduciario è simulato, e dissimula un mandato oppure un pegno. La differenza tra le due figure, sia per la dottrina che per la giurisprudenza, andrebbe individuata nell’interpretazione della volontà dei contraenti.

Altri autori hanno associato il negozio fiduciario al negozio indiretto[6], che si piega ad una funzione diversa da quella tipica. Infatti, nel negozio fiduciario il diritto viene realmente trasferito al fiduciario, che ne acquista la proprietà, avendone così la piena disposizione, ma dovendolo amministrare secondo le direttive imposte dal fiduciante. Il negozio indiretto sarebbe, quindi, il genus e il negozio fiduciario la species.

Alcuni autori hanno ripreso in considerazione la teoria della proprietà fiduciaria (inizialmente ritenuta inammissibile da autori come Santoro Passarelli) con un approccio diverso. Il diritto che le parti trasferiscono con il negozio stipulato non sarebbe il diritto di proprietà, inteso nel senso tradizionale del termine, ma un diritto reale, per così dire, “minore”. Questo tipo di proprietà fiduciaria avrebbe una durata limitata, e la causa fiduciae sarebbe rilevante giuridicamente realizzando una “particolare funzione economico-sociale che giustifica la differenziazione rispetto alla proprietà[7].

Altri autori e la giurisprudenza dominante, per ammettere il negozio fiduciario ricorrono alla combinazione di due negozi strutturalmente collegati sotto il profilo funzionale. Il primo, con carattere esterno, produce l’effetto reale del trasferimento della proprietà; il secondo, a contento obbligatorio, ha efficacia solo tra le parti e modifica il risultato del negozio esterno, poiché con questo il fiduciario impone direttive al fiduciante. Tale ultima teoria ha influenzato anche la giurisprudenza[8], la quale ha riconosciuto valido il negozio fiduciario se costruito a mezzo di due negozi collegati. In tale filone si innesta anche la sentenza in commento, con la quale la cassazione ribadisce l’utilizzo dei negozi collegati per la formazione di un contratto fiduciario. Essa sottolinea come sia onere della parte provare la causa sottostante Nel caso di specie il ricorrente sosteneva che ci fosse una causa donativa, ma la cassazione ha affermato che detta causa manca, in quanto l’intestazione dei titoli a favore della convenuta è da configurarsi come l’ultimo procedimento di una pluralità di rapporti economici, intercorsi tra la fiduciante e la fiduciaria.

Inoltre la corte si conforma anche all’affermazione, già altre volte ribadita dalla medesima, per cui non essendo il pactum fiduciae espressamente disciplinato dalla legge, vigerà il principio di libertà di forma per la conclusione dei negozi fiduciari.[9]

 

Giurisprudenza conforme

Cassazione Civile 7 agosto 1982 nr 4438

Cassazione civile 1 aprile 2003 nr 4886

Cassazione civile sez. I nr 10590/2009

Cassazione civile sez. II 9 maggio 2011 nr 10163

 

Bibliografia

Vincenzo Michele Trimarchi, voce Negozio Fiduciario, Enc. Dir. Pag. 32-51

Sacco R. Obbligazioni e contratti, Trattato di diritto civile diretto da Pietro Rescigno, utet 1995, vol I pag. 309-312

Donato Carusi i contratti in generale Trattato dei contratti, diretto da Pietro Rescigno, UTET, 1999, pag. 584 e seg.

Ugo Carnevali voce Negozio Giuridico III: Negozio Fiduciario Enciclopedia Giuridica Treccani.

Betti “teoria generale del negozio giuridico” 1960.

Francesco Santoro Passarelli “Dottrine di diritto Civile” Jovene, nona edizione 1997,

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18437-2006 proposto da:

TIZIO figlio; ricorrente

contro

cognata r.f. resistente con procura

avverso la sentenza n.25/2006 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 09/01/2006;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

TIZIO, con atto di citazione del 1 settembre 1993, conveniva in giudizio davanti al Tribunale, la COGNATA e, premesso di essere erede insieme al fratello B. della madre C.M., chiedeva che venisse accertata la nullità, ai sensi dell’art.782 cc, della cessione di alcuni titoli di credito, operata dalla madre sul conto bancario della convenuta e che, pertanto, la convenuta fosse condannata alla restituzione nella misura della metà corrispondente alla quota ereditaria ad esso attore della somma di L. 150.000.000, nonchè, analoga pronuncia nel caso di accertamento, nel corso dell’istruttoria della trasmissione di ulteriori somme dalla madre alla sig.ra R..

Precisava l’attore che la madre nei 1992 aveva disposto l’accredito sul conto corrente aperto presso il credito commerciale di Vattelapesca intestato alla nuora R.F. del valore dei titoli di credito a suo nome scaduti.

Assumeva che tale operazione integrava gli estremi di un mutuo, ovvero, di una donazione nulla per difetto di forma.

Si costituiva R.F. contestando la ricorrenza di un’ipotesi di mutuo o di donazione in quanto aveva ricevuto tali titoli in esecuzione di disposizione fiduciaria.

Il Tribunale di Cremona con sentenza n.554 del 2002, ritenuto non provato il titolo di mutuo o di donazione sottostante il trasferimento delle somme di denaro, respingeva la domanda proposta dall’attore e compensava interamente le spese giudiziali tra le parti.

Con atto di citazione, notificato sia alla R.F. che alla BANCA, TIZIO, proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale e avverso l’ordinanza camerale dello stesso Tribunale del 18 aprile 2002 con la quale era stato respinto il reclamo da lui proposto avverso il diniego di sequestro documentale, chiedendone la integrale riforma.

R.F. restava contumace, mentre la BANCA si costituiva rilevando la sua estraneità al giudizio.

La Corte di Appello con sentenza n.25 del 2006 dichiarava inammissibile la citazione della BANCA, respingeva l’appello e confermava integralmente la sentenza del Tribunale.

A sostegno di questa decisione, la Corte osservava:

a) che la BANCA, non poteva essere parte nel giudizio di appello perchè non era mai stata parte nel giudizio di primo grado;

b) che incombeva su TIZIO l’onere di provare non solo il fatto oggettivo della cessione di titoli senza corrispettivo, ma anche l’animus donandi considerato che non ogni attribuzione patrimoniale gratuita integra una donazione ma solo quella fatta per spirito di liberalità. Tale prova non era stata raggiunta, mentre risultava l’esistenza di una pluralità di rapporti economici tra le parti astrattamente idonei a giustificare il trasferimento di somme di denaro al di fuori dell’ipotesi di donazione.

La cassazione della sentenza della Corte di Appello di Brescia è stata chiesta da TIZIO, con ricorso affidato ad un motivo. R.F. regolarmente intimata, in questa fase non ha svolto alcuna attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’UNICO MOTIVO TIZIO, lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art.360 cpc, comma 1, n.5 nonché la violazione e falsa applicazione dell’art.116 cpc in relazione all’art.360 cpc, comma 1, n.3.

Avrebbe errato la Corte, secondo il ricorrente, nell’aver ritenuto non provato la spirito di liberalità mentre sarebbe parsa plausibile la tesi circa l’intestazione fiduciaria che delle somme in questione la convenuta R.F. avrebbe fatto alla C.M., perchè avrebbe trascurato di considerare che, mentre esisteva piena e sicura prova dei trasferimenti di somme di denaro dalla C. alla R., nulla di ragionevolmente plausibile era emerso circa il negozio in virtù del quale quelle somme di denaro sarebbe fiduciariamente intestate alla C..

In verità, specifica il ricorrente, i Giudici del merito avrebbero fondato il loro convincimento sulle deposizioni rese dal marito e dalla madre della convenuta le quali affermavano che S.B. avrebbe investito somme di denaro (circa un centinaio di milioni) in titoli intestando il dossier alla madre (scilicet C.M.).

Ora, ritenere provato, sempre secondo il ricorrente – “sulla mera scorta di tale risultanze istruttorie, l’assunto della R.F. circa la pretesa intestazione fiduciaria alla C. delle somme che da quest’ultima, invece, sono documentalmente risultate trasferite alla R., non può non apparire del tutto privo di logica giuridica onde inoppugnabilmente viziata in radice ex art.116 cpc, comma 1 ne risulterebbe la conclusione cui è pervenuta la Corte del merito“.

1.1. Il motivo è infondato e non può essere accolto, non solo perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle risultanze istruttorie che non può essere proposta nel giudizio di cassazione, ma, soprattutto, perché la sentenza impugnata indica sufficientemente le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione e comunque una razionale, articolata e convincente valutazione dei dati processuali acquisiti.

1.1.a). A bene vedere, nel caso in esame, l’istruttoria, in una sua considerazione unitaria evidenziava che S.B. quando l’attività del Maglificio R. andava molto bene (…) aveva investito somme di denaro (circa un centinaio di milioni) in titoli intestando il dossier alla madre che tra la R. e la C. e S.B. intercorrevano rapporti anche economici plurimi, che la C. convivente con il figlio e la nuora aiutava nel negozio (della R.) e si occupava anche dell’acquisto di capi di abbigliamento, la cui gestione economico – contabile del negozio, tuttavia, faceva capo a S.B.. Sicchè appare del tutto convincente ritenere – come ha chiarito la Corte bresciana che da un verso l’istruttoria non evidenziava alcun elemento a sostegno della tesi della dazione di denaro per spirito di liberalità e, al contrario, anche in via presuntiva indicava l’esistenza degli estremi di un negozio con pactum fiduciae tra C., S. e la R..

1.1.b). Come è opinione anche della dottrina dominante, il negozio fiduciario è il negozio con il quale un soggetto (il fiduciante) trasferisce ad un altro soggetto (il fiduciario) la titolarità di un diritto, il cui esercizio viene limitato da un accordo tra le parti (pactum fiduciae) per uno scopo che il fiduciario si impegna a realizzare, ritrasferendo poi il diritto allo stesso fiduciante o ad un terzo beneficiario. La fattispecie si sostanzia in un accordo tra due soggetti, con cui il primo trasferisce (o costituisce) in capo al secondo una situazione giuridica soggettiva (reale o personale) per il conseguimento di uno scopo pratico ulteriore, ed il fiduciario, per la realizzazione di tale risultato, assume l’obbligo di utilizzare nei tempi e nei modi convenuti la situazione soggettiva, in funzione strumentale, e di porre in essere un proprio comportamento coerente e congruo. Trattandosi di fattispecie non espressamente disciplinata dalla legge, e, in mancanza di una disposizione espressa in senso contrario, il pactum fiduciae non può che essere affidato al principio generale della libertà della forma.

1.1.c). Ora, nel caso in esame l’attribuzione di somme di denaro dalla C. alla R. solo apparentemente era senza alcuna ragione giustificativa, perchè i rapporti tra le parti interessate – come è stato indicato dalla prova testimoniale – chiariva che quell’attribuzione, ragionevolmente, era effettuata in ragione e in forza di un obbligo che la C. aveva assunto con il fiduciante S.B. e non invece, per spirito di liberalità.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato ai pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.



[1] Donato Carusi i contratti in generale Trattato dei contratti, diretto da Pietro Rescigno, UTET, 1999, pag. 585

[2] Grassetti C. trust anglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario, in Riv. Dir. Comm. 1936, pag. 353-354

[3] Francesco Santoro Passarelli “Dottrine di diritto Civile” Jovene, nona edizione 1997, pag. 180

[4] Ugo Carnevali, Negozio Fiduciario  Enc. Giur. Treccani.

[5] Betti “teoria generale del negozio giuridico” 1960. Luminoso “Mandato, commissione, spedizione” Milano 1984

[6] In tal senso anche Cassazione Civile sez II 9 maggio 2011 nr 10163 “il negozio fiduciario rientra nella categoria più generale dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, bensì indiretta.”

[7] Vicari “La comparazione el’incommensurabilità delle teorie giuridiche: una nuova rappresentazione del negozio fiduciario” in Trust e attività fiduciarie 2003 pag. 486 ss.

[8] Cassazione Civile 7 agosto 1982 nr 4438 in Foro it. Mass. 1982 e Cassazione Civile sez II 29 maggio 1993 nr 6024: “… il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento di due negozi (l’uno di carattere esterno, comportante il trasferimento di un diritto o il sorgere d’una situazione giuridica in capo al fiduciario, l’altro di carattere interno, comportante l’obbligo del fiduciario di ritrasferire la cosa o il diritto al fiduciante o ad un terzo)

Cassazione civile sez. II 1 aprile 2003 nr. 4886 “… ha riprodotto lo schema del negozio fiduciario di natura traslativa, che, con un procedimento complesso assimilabile a quello del negozio indiretto, si articola in due distinti, ma collegati negozi, dei quali, il primo, avente carattere esterno, realmente voluto dalle parti ed efficace verso i terzi, l’altro, interno ed a contenuto obbligatorio, volto a modificare il risultato finale del negozio esterno, per cui il fiduciario è tenuto a ritrasferire al fiduciante o ad un terzo il bene o il diritto acquistato col negozio reale.”

Cassazione civile sez. I nr 10590/2009 “Nel rapporto fiduciario concorrono due negozi, il patto di fiducia e il mandato senza rappresentanza, l’uno dispositivo e l’altro, conseguente, di natura obbligatoria, distinti ma collegati funzionalmente, ognuno dei quali produce gli effetti suoi propri; collegamento in forza del quale il primo, di carattere esterno, determina il trasferimento di diritti ovvero l’insorgenza di situazioni giuridiche in capo al fiduciario, mentre il secondo, di carattere interno, crea a carico di quest’ultimo l’obbligo di ritrasferire al fiduciante o al terzo il diritto. Tali negozi integrano una fattispecie di interposizione reale, cui sono riconducibili contratti atipici di varia natura di intestazione fiduciaria…, la quale consente all’interposto l’acquisto effettivo della titolarità, ma a un tempo lo obbliga, nei confronti dell’interponente, in forza del mandato senza rappresentanza, alle condotte di natura gestoria, oltre che a quelle traslative della piena titolarità, in esecuzione dei patti assunti all’interno del rapporto in questione.

[9] Si veda in tal senso anche Cassazione Civile sez. II 9 maggio 2011 nr 10163 “il negozio fiduciario rientra nella categoria più generale dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, bensì indiretta. Pertanto l’intestazione fiduciaria di un bene comporta un vero e proprio trasferimento in favore del fiduciario, ove tale patto abbia ad oggetto beni immobili, esso deve risultare daun atto avente forma scritta ad substantiam.”

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