N. 02650/2014REG.PROV.COLL.

N. 06241/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6241 del 2013, proposto da:
Giovanni Guardavaglia e Maria Rosa Danisi, rappresentati e difesi dall’avv. Santo Delfino, e elettivamente domiciliati in Roma, alla via di Val Fiorita n. 90, presso lo studio dell’avv. Francesco Lilli in Roma, per mandato a margine dell’appello;

contro

Alessandro Bergamo e Antonino Pirrotta, rappresentati e difesi dagli avv.ti Francesco Manganaro e Giorgio Vizzari, e elettivamente domiciliati in Roma alla via Principessa Clotilde n. 2, presso l’avv. Maria Ida Leonardo (studio legale Clarizia), per mandato a margine della memoria di costituzione

nei confronti di

Comune di Scilla, in persona del Sindaco pro-tempore, già costituito nel giudizio di primo grado e non costituito nel giudizio d’appello;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria n. 240 del 30 aprile 2013, resa tra le parti, notificata il 29 e 30 maggio 2013, con cui in accoglimento del ricorso in primo grado n.r. 584/2011, proposto da Alessandro Bergamo e Antonino Pirrotta, sono stati annullati la determinazione dirigenziale n. 8568 del 31 agosto 2011 -di verifica della legittimità del titolo edilizio-, e il permesso di costruire n. 1070 del 8 febbraio 2011, rilasciato a Giovanni Guardavaglia e Maria Rosa Danisi per la realizzazione di fabbricato a due piani f.t. in c.a. oltre piano interrato e sottotetto non abitabile da destinare ad attività produttiva, ubicato in via rione rinnovamento quartiere San Giorgio di Scilla centro, con condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessivi € 2.200,00

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Alessandro Bergamo e Antonino Pirrotta;

Vista l’ordinanza n. 3773 del 25 settembre 2013, con cui è stata rigettata l’istanza incidentale di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, e quindi degli atti a essa sottesi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2013 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi per le parti gli avvocati Francesco Lilli, per delega dell’avv. Santo Delfino, per gli appellanti Giovanni Guardavaglia e Maria Rosa Danisi, e Nino Paolantonio, per delega dell’avv. Francesco Manganaro, per gli appellati Alessandro Bergamo e Antonino Pirrotta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.) Alessandro Bergamo e Antonino Pirrotta sono, rispettivamente, proprietario di un edificio e residente in edificio frontistante un suolo appartenente a Giovanni Guardavaglia e Maria Rosa Danisi, sul quale questi ultimi hanno ottenuto il rilascio del permesso di costruite n. 1070 dell’8 febbraio 2011, per la realizzazione di un fabbricato a due piani fuori terra in cemento armato oltre piano interrato e sottotetto non abitabile, da destinare ad attività produttiva (panificio).

Con la determinazione dirigenziale n. 8568 del 31 agosto 2011, a chiusura del procedimento di verifica avviato ad iniziativa degli interessati -in relazione al quale era stata anche disposta la sospensione dei lavori-, è stata riconosciuta la legittimità del permesso di costruire.

Con il ricorso in primo grado n.r. 584/2011, Alessandro Bergamo e Antonino Pirrotta hanno, quindi, impugnato tanto la determinazione dirigenziale, quanto il permesso di costruire, deducendone l’illegittimità sotto vari profili (contrasto con la destinazione di zona; violazione delle distanze minime; violazione dell’indice di fabbricabilità della zona; difetto d’istruttoria).

Con la sentenza n. 240 del 30 aprile 2013, pronunciata in esito a verificazione tecnica, il T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, esclusa la fondatezza del primo motivo (perché l’edificio, per la sua destinazione funzionale artigiana di servizio -panificio- deve ritenersi compatibile con la zona territoriale omogenea di tipo B secondo l’art. 90 N.T.A. del P.R.G. di Scilla), ha invece ritenuto fondato il secondo motivo, perché l’erigendo fabbricato “… è posizionato a distanza di mt. 5,90 rispetto agli edifici frontistanti e prospicienti, preesistenti, dei ricorrenti (2,90 mt. di vicolo comunale 3.00 del fondo Bergamo; mt. 4,70 di via pubblica 1,20 di arretramento rispetto all’immobile Pirrotta)”, ossia a distanza inferiore a quella minima inderogabile ex art. 9 comma 1 n. 2) del d.m. n. 1444/1968, a nulla rilevando che tra i fabbricati sia interposto da un lato un vicolo e dall’altro una strada.

2.) Con appello notificato il 26 luglio 2013 e depositato l’8 agosto 2013, Giovanni Guardavaglia e Maria Rosa Danisi hanno impugnato la predetta sentenza, deducendo, in sintesi, i seguenti motivi:

1) Erroneità e infondatezza della motivazione della sentenza in ordine alla ritenuta violazione dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968. Violazione di legge e falsa applicazione

1.a) Esistenza degli allineamenti

Sotto un primo aspetto è erroneo il rilievo che l’edificio non sia realizzato a ciglio delle strade sebbene “con notevoli arretramenti”, perché, secondo quanto accertato dal verificatore, viceversa esso è allineato agli altri edifici esistenti, ancorché se ne differenzi per l’altezza.

1.b) Derogabilità dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968

Trattandosi di completamento di zona B, quasi interamente edificata, e non ponendosi esigenze di tutela igienico-sanitaria (si invoca il relativo parere favorevole), non può non considerarsi ammissibile la deroga alle distanze, tenuto altresì conto che, con riferimento agli edifici di pertinenza degli appellati, l’edificio è posto a ciglio di viabilità a fondo cieco, e dovendo qualificarsi quest’ultima come strada locale di tipo F non deve nemmeno rispettare distanze dal confine stradale ex art. 28 del codice della strada.

1.c) Omesso riconoscimento della derogabilità alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 6/2013

L’invocata sentenza della Consulta, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della regione Marche n. 31 del 4 settembre 1979, ha precisato che la deroga alle distanze ex d.m. n. 1444/1968 non è consentita se non quando giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio; nel caso di specie il rilascio del permesso di costruire rispecchia proprio tali finalità, nel senso di evitare “…disparità di trattamento tra cittadini…”, tenuto conto dell’assenza di profili igienico-sanitari.

1.d) Errata, ingiusta e illogica condanna alle spese, in relazione alla peculiarità del fatto e alla buona fede della parte.

Con la memoria di costituzione in giudizio, depositata il 19 settembre 2013, gli appellati hanno dedotto, a loro volta, l’infondatezza dell’appello, sul rilievo che:

– è pacifico che il fabbricato sia posizionato a soli ml. 5,90 dagli edifici frontistanti e prospicienti;

– il regolamento edilizio comunale per le zone omogenee B, ivi compresa la sottozona B1, richiama in modo espresso i parametri edilizio-urbanistici di cui all’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, e quindi impone una distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti pari a ml. 10;

– tale distanza deve essere rispettata anche quando si interponga via pubblica, ed anzi deve essere maggiorata in relazione alla larghezza della strada, salvo che essa coincida con viabilità a fondo cieco, epperò in tal caso è esclusa solo la maggiorazione, non anche il rispetto della distanza minima di 10 ml.;

– non risponde a verità che l’edificio rispetti i precedenti allineamenti e sia “a ciglio”, poiché sulle vie Rinnovamento e Libertà esso è arretrato almeno di ml. 1,20, e non è affatto allineato rispetto al suolo comunale che interseca le dette vie, con ciò inverandosi anche la violazione dell’art. 60 del R.E.;

– l’invocata sentenza della Corte Costituzionale, pronunciata su fattispecie affatto diversa, conferma l’inderogabilità dei parametri ex d.m. n. 1444/1968.

Gli appellati hanno poi riproposto le censure assorbite, come di seguito sintetizzate:

1) Violazione delle norme edilizie e urbanistiche in materia di altezza massima degli edifici, perché l’edificio, con altezza pari a ml. 10 supera quella massima consentita, pari a ml. 3,00 o al più a ml. 5,90 (pari alla larghezza delle strade su cui prospetta ex art. 20 del R.E.).

2) Violazione delle norme edilizie e urbanistiche in materia di indici di fabbricabilità di zona, perché l’indice edilizio utilizzato (4,00 mc/mq) è superiore a quello fondiario di zona (3,00 mc/mq).

3) Illegittimità per gravi difformità progettuali rispetto allo stato dei luoghi e carenza d’istruttoria, in relazione alla divergenza tra rappresentazioni grafiche di progetto e stato dei luoghi.

Con ordinanza n. 3773 del 25 settembre 2013 è stata rigettata l’istanza incidentale di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, e quindi degli atti a essa sottesi.

All’udienza pubblica del 20 dicembre 2013 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

3.) L’appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza gravata.

L’art. 10 punto 18 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Scilla, sotto la rubrica “Distanza minima tra i fabbricati espressa in metri” dispone in modo inequivoco che “Tale distanza è normata attraverso il D.M. 02/04/1968 n. 1444, per le diverse Zone Territoriali Omogenee”.

In virtù di tale rinvio ricettizio, nella zona B, ivi compresa la sottozona B1, non può che trovare applicazione la disposizione dell’art. 9 comma 2 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che per tutte le zone omogenee diverse dalla zona A, stabilisce per i nuovi edifici la distanza minima assoluta di ml. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

Giurisprudenza granitica, oltre e più che pacifica, ha chiarito che il suddetto parametro urbanistico-edilizio è tassativo e inderogabile, anche da strumenti di pianificazione urbanistica -che ove contrastanti sono integrati ex lege dal suddetto limite di distanza- afferendo a interessi pubblici di natura igienico-sanitaria e quindi sottratti a qualsiasi valutazione o apprezzamento discrezionale e alla disponibilità dei privati interessati (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4451 e 12 febbraio 2013, n. 844, che esclude la derogabilità anche laddove la nuova costruzione sia prevista ad altezza inferiore).

Nel caso di specie è incontestato che l’edificio assentito con il permesso di costruire n. 1070 del 8 febbraio 2011 è posto a distanza ben inferiore a ml. 10 dalle pareti degli edifici antistanti, e pari a circa ml. 5,90, non potendo assumere alcuna rilevanza che tra i medesimi sia interposta una via che, se e in quanto effettivamente a fondo cieco, escluderebbe soltanto che la distanza minima debba essere incrementata della larghezza della medesima, in relazione al chiaro disposto del secondo comma dell’art. 9, che come noto, fatta eccezione appunto per la “…viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti…”, impone una distanza pari alla sede stradale incrementata a seconda di quest’ultima (di ml. 5 per lato per le strade di larghezza inferiore a ml. 7, ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15, ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15); d’altro canto, se invece si escludesse che nella specie si tratti di viabilità a fondo cieco, egualmente risulterebbe palesemente violata la disposizione, dovendo in tal caso applicarsi una distanza pari alla larghezza della strada e al valore incrementativo, e quindi addirittura superiore a quella di cui al primo comma lettera b), siccome pari a ml. 5,90 5,00, ossia a ml. 10,90.

Nessun pregio giuridico possono rivestire i richiami all’ultimo comma dell’art. 9 che consente la deroga alle distanze soltanto qualora si tratti di “…gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”, nell’ovvio senso che solo in presenza di piani particolareggiati o piani di lottizzazione convenzionata e in funzione della distribuzione dei volumi all’interno dei medesimi è possibile che tra gli edifici in essi inseriti siano stabilite distanze inferiori, ciò che non può ammettersi qualora invece si tratti di intervento diretto su singolo lotto.

Del pari inconferente è il richiamo alle distanze dal confine stradale previste dalle disposizioni del codice della strada, o ancora quello alla invocata sentenza della Corte Costituzionale che presuppone pur sempre l’emanazione di normativa regionale che autorizzi la deroga in presenza di determinati profili d’interesse pubblico.

In funzione della evidente illegittimità del permesso di costruire, rilasciato in palese violazione dei limiti di cui all’art. 9 comma 1 n. 2) del d.m. n. 1444/1968 (oltre che dell’art. 10 punto 18 delle N.T.A. del P.R.G.), è peraltro pienamente giustificata la condanna alle spese del giudizio di primo grado, secondo il principio di soccombenza, non potendo sostenersi alcuna “particolarità” del caso, né alcun possibile “affidamento di buona fede”.

4.) L’infondatezza dell’appello in relazione a tutte le censure considerate, e a quelle comunque dedotte, ne determina il rigetto, con la conferma della sentenza impugnata.

5.) Il regolamento delle spese processuali del giudizio d’appello, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) così provvede sull’appello in epigrafe n.r. 6241 del 2013:

1) rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 240 del 30 aprile 2013;

2) condanna gli appellanti Giovanni Guardavaglia e Maria Rosa Danisi, in solido tra loro, alla rifusione, in favore di Alessandro Bergamo e Antonino Pirrotta, delle spese e onorari del giudizio d’appello, liquidati in complessivi € 2.000,00 (duemila/00), oltre I.V.A. e CAP nella misura dovuta.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/05/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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