Avv. Federica Federici

Il mantenimento reciproco tra coniugi ha la sua relazione giuridica nel dovere di assistenza morale e materiale a carico di ognuno degli sposi (art. 143 c.c.). La comunione di intenti e di beni, fondamento del matrimonio, caratterizza e diversifica questo istituto da qualsiasi altro accordo contrattuale.

Il dovere di mantenimento nei confronti dell’altro coniuge e della famiglia esiste in pendenza di vincolo matrimoniale, e l’erogazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato privo di redditi ha il suo obbligo di legge nell’articolo 156 del codice civile.

Con la separazione personale, sia consensuale sia giudiziale, il vincolo matrimoniale non viene sciolto ma sospeso in modo transitorio, in attesa della sentenza di divorzio. La separazione si potrebbe anche non modificare e mai in una richiesta di divorzio e, si potrebbe anche interrompere avvenuta riconciliazione tra le parti che farebbe decadere i suoi effetti.

Lo status giuridico di coniuge resta inalterato mentre cambiano alcuni aspetti legati al matrimonio, ad esempio, l’obbligo di fedeltà e di convivenza.

Si congelano quei doveri di assistenza morale e di collaborazione, resta attivo il dovere di assistenza materiale che va a confluire nella determinazione dell’assegno di mantenimento per quel coniuge che ha bisogno di un sostentamento perché provo di redditi o con redditi insufficienti per adempiere alle sue necessità.

La condizione essenziale perché si generi questo onere a carico di uno dei due coniugi separati è la non titolarità di adeguati redditi propri.

Con la parola “adeguato” si intende quel reddito prodotto da una persona in modo autonomo e capace di consentirne il mantenimento del tenore di vita adottato in costanza di matrimonio.

La determinazione dell’assegno di mantenimento, che si fa anche se nessuna delle parti ha chiesto l’addebito, è molto legata all’individuazione della parte più svantaggiata a causa della sospensione del matrimonio se non dovesse essere in grado di garantire lo stesso tenore di vita del quale godeva in precedenza.

Il compito del giudice è mettere in equilibrio le reali capacità economiche della coppia separata stabilendo il giusto valore del mantenimento.

Se si dovesse verificare un inadempimento da parte del coniuge obbligato a corrispondere l’assegno, il giudice potrà disporre del sequestro dei beni o richiedere a terzi il versamento del denaro dovuto.

Modifiche condizioni separazione

La modifica delle condizioni di separazione tra coniugi è un provvedimento emesso dal Tribunale, su richiesta di una delle due parti o di entrambe, qualora siano mutate le condizioni espresse nell’accordo di separazione consensuale o nella sentenza di separazione giudiziale.

Le modalità procedurali auspicabili per addivenire alla modificazione delle condizioni sono il raggiungimento di un accordo stragiudiziale oppure la proposizione di un ricorso giudiziale congiunto. In entrambi i casi, la decisione giudiziale, ex art. 710 codice di procedura civile, è assunta in camera di consiglio

Qualora risulti impossibile un’intesa in tal senso, il coniuge interessato alla variazione sarà tenuto a introdurre un apposito procedimento mediante ricorso ai sensi dell’art. 710 codice di procedura civile, con l’assistenza necessaria di un avvocato. 

Il giudice deve sentire entrambe le parti e può disporre l’assunzione di mezzi di prova al fine di accertare le reali esigenze di cambiamento. 

A tale domanda seguirà o l’emissione di un decreto avente la natura di sentenza che, pertanto, conterrà specifica motivazione e sarà passibile di impugnazione con i mezzi espressamente previsti dall’ordinamento, oppure, nei casi di gravità e urgenza, l’adozione di un provvedimento modificatorio provvisorio, sempre revocabile e a sua volta modificabile.


Presupposti/fatti nuovi per la modifica

  • il coniuge beneficiario del mantenimento inizi una stabile e duratura convivenza con un altro partner, avviando una famiglia di fatto;
  • il coniuge beneficiario del mantenimento ottenga un aumento della retribuzione o aumenti i suoi guadagni o inizi un’adeguata attività lavorativa;
  • il coniuge tenuto al pagamento del mantenimento abbia una nuova famiglia con nuovi figli;
  • il coniuge tenuto al mantenimento subisca una invalidità o una consistente riduzione dello stipendio;
  • il coniuge tenuto al mantenimento perda il lavoro

Assegno divorzile

La meritevolezza

Prima della riforma l’assegno di divorzio veniva concesso in automatico, era sufficiente dimostrare la sproporzione tra i redditi dei due ex coniugi.

Adesso la giurisprudenza non si accontenta più e vuole la prova, da parte del richiedente, della sua impossibilità a mantenersi.

L’impossibilità  in questione, non deve dipendere da sua colpa.

Chi chiede gli alimenti deve dimostrare di non essere autosufficiente perché è molto anziano per cercare un lavoro (oltre i 45 anni circa),  oppure, è in condizioni di salute che non gli consentono di lavorare, oppure, di avere cercato un posto di lavoro non riuscendo nell’intento a causa del mercato occupazionale.

A questo proposito, dovrà dimostrare l’iscrizione ai centri per l’impiego, la partecipazione a bandi e concorsi, l’invio di curricula.

Oggi l’assegno divorzile richiede la meritevolezza e la prova la deve fornire chi pretende di essere mantenuto.

Al contrario, viene negato il mantenimento a chi è ancora giovane e/o ha una potenziale capacità lavorativa, perché possiede uno studio professionale o perché può vantare esperienze lavorative precedenti.

Il contributo proporzionato esclusivo per le casalinghe

Come scritto in precedenza, non c’è più proporzione tra il reddito del coniuge più benestante e l’assegno di divorzio, dovendo lo stesso garantire esclusivamente l’indipendenza economica.

Nel 2018 le Sezioni Unite della Suprema Corte dei Cassazione (Cass. sent. n. 18287/18) hanno evidenziato un’unica importante eccezione, relativa al coniuge che, avendo rinunciato al lavoro e a una sua carriera per badare agli impegni domestici e ai figli, ha in questo modo contribuito, con il suo lavoro casalingo, all’arricchimento dell’ex, consentendogli di concentrarsi sul lavoro.

Esclusivamente in presenza di simili circostanze, l’assegno di divorzio deve essere proporzionato alla ricchezza che l’altro coniuge ha potuto raggiungere.

Lo stesso, grazie a questo contributo, si è potuto dedicare di più al lavoro e alla carriera, vedendo incrementare la sua capacità di ricchezza.

La modificazione delle condizioni di divorzio è il provvedimento che viene emesso dal Tribunale competente su richiesta di uno dei coniugi divorziati qualora siano mutate in concreto le condizioni di cui alla sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale.
Per la modifica delle condizioni di divorzio, anziché rivolgersi al Tribunale, gli ex-coniugi possono ora trovare un accordo anche mediante la procedura di negoziazione assistita da avvocati, una delle maggiori novità previste dal DL 132/2014, così come modificato dalla relativa legge di conversione n. 162/2014. Gli avvocati che assistono gli ex-coniugi divorziati hanno l’obbligo di trasmettere la copia autenticata dell’accordo all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto. Se non ci sono figli minorenni, incapaci o portatori di handicap gravi, occorrerà poi ottenere il nullaosta del Pubblico Ministero (ma non è previsto un termine entro il quale il nullaosta deve essere richiesto). Se invece ci sono figli minorenni, incapaci o portatori di handicap gravi, l’accordo deve essere trasmesso entro e non oltre 10 giorni al Pubblico Ministero, il quale potrà rilasciare la necessaria autorizzazione oppure, entro 5 giorni, ritrasmettere lo stesso accordo al Presidente del Tribunale, affinché si ordini la comparizione degli ex-coniugi.

Presupposti per la modificazione delle condizioni di divorzio

I presupposti per richiedere la modificazione delle condizioni di divorzio variano a seconda dei casi. In breve, secondo la Legge sul Divorzio consistono nella presenza di giustificati motivi sopravvenuti.

Con riferimento all’affidamento della prole, uno dei coniugi potrà richiedere l’affidamento esclusivo dei figli già affidati all’altro coniuge o l’affidamento condiviso, secondo l’interesse della prole stessa. Ad esempio, nell’ipotesi di affidamento dei figli a un solo genitore che impedisca il diritto di visita riconosciuto all’altro genitore o che fomenti l’astio dei figli nei confronti dell’altro coniuge, quest’ultimo potrà richiedere una revoca dell’affidamento all’ex coniuge.

Sul punto, si segnala che, per effetto del D.Lgs. 154/2013 in materia di filiazione, sono state introdotte nel Codice Civile alcune nuove disposizioni in tema di provvedimenti relativi ai figli e relativo affidamento, applicabili anche alle coppie divorziate (articoli da 337-bis a 337-octies cod. civ.). In questa sede, è opportuno menzionare in particolare quanto previsto dall’art. 337-quinquies cod. civ., secondo il quale la revisione delle disposizioni inerenti all’affidamento dei figli oppure la revisione dell’attribuzione della c.d. responsabilità genitoriale (che ha sostituito la precedente “potestà”) possono essere chieste in qualsiasi momento.

La revoca del provvedimento sull’affidamento della prole non presuppone sempre un comportamento “colpevole” da parte del genitore affidatario. Infatti, la revoca può essere chiesta anche per giustificati motivi, come ad esempio in caso di sopravvenuta malattia del coniuge affidatario qualora questa nuova situazione impedisca al malato di prendersi debitamente cura dei figli.

Con riferimento all’assegno divorzile o di mantenimento, può esserne richiesta la revisione – ossia l’aumento o la diminuzione – se le effettive condizioni economiche di uno dei coniugi sono cambiate; si può altresì richiedere semplicemente l’adeguamento dell’importo parametrato all’aumento dell’inflazione. Anche sotto questo profilo viene in rilievo il disposto, già citato, del nuovo art. 337-quinquies cod. civ., secondo il quale la modifica del contributo può essere chiesta in ogni tempo.

In caso di miglioramento delle condizioni economiche del coniuge avente diritto all’assegno divorzile, il coniuge tenuto al versamento non può decidere di sospendere l’erogazione della somma o di ridurne l’importo senza aver prima ottenuto una pronuncia favorevole da parte del Tribunale. In tal senso si è ritenuto che l’avvio di una convivenza da parte del coniuge avente diritto a percepire l’assegno divorzile può giustificare, da parte dell’altro coniuge, una richiesta di revisione dell’importo dell’assegno, come pure l’avvio di una convivenza da parte del coniuge obbligato a versare l’assegno divorzile all’altro coniuge può giustificare, da parte del primo coniuge, una richiesta di revisione dell’importo dell’assegno.

Nel caso in cui  la sentenza di divorzio non preveda il versamento di alcun assegno, secondo un’interpretazione si può avviare un procedimento per la modifica delle condizioni di divorzio allo scopo di richiedere l’assegno divorzile, purché si dimostrino le circostanze sopravvenute. La questione è comunque molto dibattuta e si deve dar conto dell’esistenza di un’interpretazione contraria, che esclude questa possibilità.

Procedimento

Si deve innanzitutto segnalare l’accennata importante novità contenuta nel D.L. 132/2014. Questa normativa prevede che gli ex-coniugi possano concordare una modifica delle loro condizioni di divorzio tramite una procedura facoltativa a quella giudiziale: la convenzione di negoziazione assistita da avvocati. La novità è entrata inizialmente in vigore dal 13 settembre 2014 ed è stata poi ulteriormente definita con la legge di conversione. Essa consiste nella possibilità di trovare un accordo per risolvere la controversia in via amichevole, grazie all’assistenza di avvocati (ciascuna delle due parti deve essere assistita da un legale e i due avvocati non devono appartenere allo stesso Studio Legale per evitare conflitti d’interesse). La negoziazione assistita inizia con l’invio di un invito a concludere la convenzione per la modifica delle condizioni di divorzio; la mancata risposta all’invito o il rifiuto sono elementi che potranno – in caso di successivo giudizio – essere tenuti in considerazione dal Giudice. L’accordo fra gli ex-coniugi deve essere raggiunto entro un termine prestabilito, comunque non inferiore a un mese dall’inizio della procedura di negoziazione assistita. L’accordo è sottoscritto dagli avvocati che assistono gli ex-coniugi. Nel sottoscrivere l’accordo, gli avvocati ne garantiscono la conformità «alle norme imperative ed all’ordine pubblico» e autenticano le sottoscrizioni apposte dagli ex-coniugi. Gli avvocati che assistono gli ex-coniugi divorziati hanno l’obbligo di trasmettere la copia autenticata dell’accordo all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto.
Se non ci sono figli minorenni, incapaci o portatori di handicap gravi, occorrerà poi ottenere il nullaosta del Pubblico Ministero. La legge non prevede però un termine entro il quale il nullaosta deve essere richiesto.
Se invece ci sono figli minorenni, incapaci o portatori di handicap gravi, l’accordo deve essere trasmesso al Pubblico Ministero entro e non oltre 10 giorni. Esaminato l’accordo, il PM potrà quindi rilasciare la necessaria autorizzazione oppure, entro 5 giorni, ritrasmettere lo stesso accordo al Presidente del Tribunale, affinché si ordini la comparizione degli ex-coniugi. (Il procedimento relativo al rilascio da parte del Procuratore della Repubblica del nulla osta o dell’autorizzazione è esente dal contributo unificato di iscrizione a ruolo dovuto per ciascun grado di giudizio su richiesta di attività giurisdizionali delle parti interessate. Allo stesso modo è esente il procedimento davanti al Presidente del Tribunale).

Il D.L. 132/2014 prevede addirittura la possibilità di concordare una modifica delle condizioni di divorzio innanzi al Sindaco quale Ufficiale di Stato Civile, a condizione che in tali accordi non vi siano patti di trasferimento patrimoniale (ossia trasferimenti di beni immobili, mobili o somme di denaro – al momento non è chiaro, invece, se sia possibile inserire, nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, anche la previsione di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico: questa sembrava l’interpretazione dominante e più frequente nella prassi alla luce di quanto disposto dalla Circolare del Ministero degli Interni n. 6/2015, ma il TAR Lazio ha recentemente accolto un ricorso di nullità avverso tale Circolare, v. TAR Lazio, sezione I-ter, 7 luglio 2016 n. 7813) e che gli ex-coniugi non abbiano figli in comune che siano minorenni, incapaci o portatori di handicap gravi ovvero non autosufficienti dal punto di vista economico.
In tutti gli altri casi, il  coniuge interessato alla richiesta di modifica delle condizioni di divorzio relativa all’assegno o all’affidamento dei figli deve presentare ricorso al Tribunale competente, che provvede in camera di consiglio (ossia con un procedimento celere, “deformalizzato” e caratterizzato da maggior snellezza).
Nel procedimento instaurato per la revisione dei provvedimenti relativi ai figli è obbligatoria la presenza del Pubblico Ministero.
Nel corso della fase istruttoria i mezzi di prova utilizzabili sono i più disparati: prova testimoniale, consulenza tecnica d’ufficio, relazione degli assistenti sociali, indagini patrimoniali e accertamenti della Polizia Tributaria, ecc.
Il provvedimento conclusivo può essere oggetto di reclamo in Corte d’appello.

Diversamente, si potrà far leva sull’articolo 9 della legge sul divorzio che presuppone, per la proposizione dell’azione, l’esistenza – concreta e attuale – di “giustificati motivi” di natura economico patrimoniale.

Da un punto di vista strettamente processuale, il procedimento di revisione segue il rito camerale, e il decreto del tribunale è reclamabile alla Corte d’appello entro 10 giorni, revocabile in ogni tempo. I criteri con cui si individua la competenza del tribunale sono quelli di cui agli articoli 18 comma 1, 20 del c.p.c., 1182 comma 3 del c.c. e 12-quater della L. n. 898/70.

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