Dott. Matteo Manconi

L’usucapione della pubblica amministrazione

L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti reali di godimento, che si realizza mediante il possesso continuato del bene per il periodo di tempo stabilito dalla legge.

Il problema dell’acquisto a titolo di usucapione da parte della Pubblica Amministrazione si pone allorquando il bene viene utilizzato dalla stessa, avendolo occupato sine titulo.

Al fine di valutare se un bene occupato abusivamente possa essere usucapito dalla Pubblica Amministrazione occorre esaminare preliminarmente i presupposti e i limiti del possesso ad usucapionem.

Gli elementi costitutivi dell’usucapione sono costituiti dal “possesso continuato ed ininterrotto nel tempo, in modo palese e non violento o clandestino”.

Il codice civile fornisce all’art. 1140 c.c. una definizione di possesso: “Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”. Requisiti del possesso sono, dunque, il corpus possessionis, ossia l’esercizio di una attività corrispondente a quella del proprietario o del titolare di un altro diritto reale, e l’animus possidendi, ossia la volontà di tenere la cosa come propria o di esercitare il diritto come a se spettante.

Differenziazione tra occupazione con titolo e senza titolo

L’art. 1163 c.c. sancisce che “Il possesso acquisito in modo violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata”.

Proprio con riferimento a questi due elementi che si rende problematica l’ammissibilità dell’acquisto a titolo di usucapione da parte della Pubblica amministrazione di un bene occupato abusivamente; di fatti su tale argomento si è assistiti a una evoluzione giurisprudenziale e normativa.

Anteriormente al 2000, la giurisprudenza distingueva tra occupazione acquisitiva e occupazione usurpativa.

Nel caso di occupazione acquisitiva la Pubblica Amministrazione acquistava la proprietà del bene occupato a seguito dell’irreversibile trasformazione dello stesso, ma solo nel caso in cui tale occupazione fosse preceduta da una dichiarazione di pubblica utilità. In questo caso si realizzava un illecito istantaneo ad effetti permanenti (Corte di Cassazione, sentenza n. 1464 del 1983).

Nel caso, invece, di occupazione usurpativa, la Pubblica amministrazione acquistava la proprietà del bene senza aver adottato la dichiarazione di pubblica utilità e si realizzava un illecito permanente (Corte di Cassazione, sentenza n. 1615 del 1997).

Dal 2000 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha statuito l’illiceità anche dell’occupazione acquisitiva, rilevando che, anche in tale caso si realizzasse un illecito permanente.

Circa la possibilità, da parte della Pubblica amministrazione, di acquisire a titolo di usucapione la proprietà di un bene occupato abusivamente, deve rilevarsi come la giurisprudenza non sia concorde sulla questione.

Da una parte, infatti, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia con sentenza del 14.01.2013, n. 9 ha rilevato come l’occupazione sine titulo non comporti un possesso violento o clandestino e che quindi debba riconoscersi l’acquisto ad usucapionem da parte Pubblica amministrazione, al fine di garantire la certezza dei rapporti giuridici.

La citata sentenza affronta anche l’annosa questione del termine da cui iniziare a computare il termine per l’usucapione (c.d. dies a quo), distinguendo tre ipotesi:

  • nel caso in cui l’occupazione non sia preceduta dalla dichiarazione di pubblica utilità, il dies a quo decorre dal momento dell’occupazione del bene;
  • nel caso in cui la Pubblica amministrazione abbia adottato un decreto di occupazione d’urgenza, il dies a quo decorre dal momento della scadenza del termine dell’occupazione d’urgenza;
  • nel caso in cui la Pubblica amministrazione adotti un decreto di esproprio, successivamente annullato, il dies a quo decorre dal momento dell’iniziale occupazione del bene.

Il Tar Marche, poi, con sentenza dell’11 febbraio 2016, n. 52, ha fissato alcuni requisiti necessari al fine di poter invocare la sussistenza dei presupposti fondanti l’istituto dell’usucapione pubblica:

  • se la Pubblicazione amministrazione mediante i suoi organi o indirettamente esercita continuativamente il possesso del bene;
  • l’usucapione deve essere funzionale al soddisfacimento di un pubblico interesse;
  • attraverso il possesso deve manifestarsi il disconoscimento anche implicito di ogni diritto del proprietario;
  • il possesso deve essere continuo e permanente per la durata richiesta secondo il tipo di bene;
  • il proprietario non deve manifestare atteggiamenti di semplice tolleranza.

In tale ricostruzione giurisprudenziale la Pubblica Amministrazione potrebbe acquistare ad usucapione la proprietà di un bene anche in caso di occupazione abusiva.

Di contrario avviso, invece, è il Consiglio di Stato che, nelle sentenze 03.06.2014 n. 3346 e 26.08.2015 n. 3988, ha affermato che la possibilità per la Pubblica Amministrazione di acquisire ad usucapionem la proprietà di un bene anche in caso di occupazione abusiva sia «un esercizio di equilibrismo interpretativo».

Nelle sentenze appena richiamate, infatti, il Consiglio di Stato ha individuato le ragioni per le quali sia criticabile la possibilità di acquistare un bene occupato abusivamente a titolo di usucapione da parte della Pubblica Amministrazione.

Un primo aspetto è ricavato dal costante orientamento della Corte di Cassazione, secondo la quale si costituirebbe spoglio violento nel caso in cui vi sia privazione dell’altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovava il possessore, contro la sua volontà, anche presunta. Quindi anche se la Pubblica Amministrazione si fosse immessa legittimamente nella detenzione del bene, questa non può essere mutata in possesso.

Il secondo aspetto consta della incompatibilità tra l’ammissibilità dell’usucapione dei bene occupati abusivamente e l’art. 1 del Protocollo Addizionale della Cedu. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte affermato la non conformità della c.d. occupazione indiretta con la Convenzione.

Il terzo aspetto che rileva la il Consiglio di Stato è che l’usucapione può essere interrotto, oltre che con la perdita materiale del possesso, soltanto con la proposizione di apposita domanda giudiziale. Quindi, sino all’entrata in vigore del DPR 327 del 2001, era preclusa per il destinatario dell’occupazione l’azione di restituito in integrum, ove il dies a quo per l’usucapione potrebbe essere riconducibile all’entrata in vigore del TUEs (DPR 327/2001).

Sul punto si è anche espressa la Corte di Cassazione, a Sezione Unite, con la Sentenza 19 gennaio 2015, n. 735, la quale ha riconosciuto la possibilità da parte della Pubblica amministrazione di acquistare il bene privato a titolo di usucapione.

La Corte ha rilevato nuovamente come entrambe le ipotesi di occupazione costituiscano illecito permanente. Nel caso di occupazione acquisitiva il termine per usucapire decorrerebbe prima del 2001; mentre nel caso di occupazione usurpativa, il termine potrebbe farsi decorrere dal momento dell’occupazione.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza 9 febbraio 2016, n. 2, ha ritenuto legittimo l’usucapione pubblico solo in caso di occupazione usurpativa, invece in caso di occupazione acquisitiva potranno accertare l’intervenuto usucapione solo dal 30 giugno 2023.

L’espropriazione per pubblica utilità e la c.d. acquisizione sanante

L’espropriazione per pubblica utilità è l’istituto tramite il quale la pubblica amministrazione acquisisce, per esigenze di interesse pubblico, la proprietà o altro diritto reale su di un bene, indipendentemente dalla volontà del proprietario, previo pagamento di un indennizzo.

L’attuale disciplina è contenuta nel Testo Unico sulle espropriazioni, D.P.R. 8 giugno 2001, n,. 237, che prevede una procedura articolata in diverse fasi ed eventuali sub procedimenti:

– l’imposizione del vincolo espropriativo;

– la dichiarazione di pubblica utilità;

– la determinazione dell’indennità di espropriazione;

– il decreto di esproprio;

– il pagamento dell’indennità definitiva;

– l’eventuale occupazione d’urgenza;

– l’eventuale convalida legale di intervenuta occupazione senza titolo;

– la cessione volontaria;

– l’eventuale retrocessione e la fase di occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio.

In alcuni casi la Pubblica Amministrazione occupa il bene senza emanare il decreto di esproprio e, al contempo, compie attività che comportino la trasformazione della proprietà anche in maniera irreversibile.

Il TUEs, prima facie, aveva introdotto l’art. 43, dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte Costituzionale 4 – 8 ottobre 2010, n. 293, sostituito successivamente dall’art. 42 bis, i quali hanno regolamentato la c.d. acquisizione sanante, ossia il potere della Pubblica amministrazione di acquisire in sanatoria, con un atto formale, la proprietà delle aree occupate sine titulo, previa valutazione degli interessi in conflitto.

L’art. 42 bis prevede espressamente: “1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.

  1. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.
  2. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma
  3. Il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2.
  4. Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell’autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene.
  5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.
  6. L’autorità che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo né da’ comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
  7. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi e’ già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo».

Nel caso in esame potrebbero trovare applicazione i commi 1, 3, 4 e 7, l.cit., laddove l’acquisizione al patrimonio comunale fosse “motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico”.

Il citato articolo prevede che la Pubblica Amministrazione, che utilizzi un bene immobile per scopi di interesse pubblico e lo abbia modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento, può acquisire lo stesso al suo patrimonio indisponibile. L’acquisizione avrà natura non retroattiva e dovrà essere corrisposto al proprietario del bene immobile acquisito un indennizzo. Quest’ultimo quantificato forfettariamente nella misura del 10% del valore venale del bene.

Nel caso in cui l’occupazione riguardi un terreno edificabile trovano applicazione i commi 3, 4, 5, 6 e 7 dell’art. 37 del TUEs i quali prevedono espressamente i parametri da applicare alla quantificazione dell’indennizzo per i terreni edificabili: “3. Ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione, si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione. In ogni caso si esclude il rilievo di costruzioni realizzate abusivamente.

  1. Salva la disposizione dell’articolo 32, comma 1, non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata.
  2. I criteri e i requisiti per valutare l’edificabilità di fatto dell’area sono definiti con regolamento da emanare con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti.
  3. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5, si verifica se sussistano le possibilità effettive di edificazione, valutando le caratteristiche oggettive dell’area.
  4. L’indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell’indennità nei modi stabiliti dall’art. 20, comma 3, e dall’art. 22, comma 1, e dell’art. 22-bis, qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore all’indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti. (comma dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte cost. n. 338 del 22 dicembre 2011)”.

Inoltre, il terzo comma dell’art. 42 bis prevede che sia corrisposto a titolo risarcitorio l’interesse del 5% annuo sul valore determinato secondo i parametri pocanzi visti, sempre che dagli atti non risulti provata una diversa entità del danno.

Il provvedimento di acquisizione deve contenere l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione del bene e la data dalla quale essa ha avuto inizio. Inoltre, il provvedimento deve essere specificatamente motivato con riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino l’emanazione, avendo riguardo alla comparazione dei contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione.

All’interno del provvedimento deve essere liquidato l’indennizzo e deve essere disposto il pagamento entro il termine di 30 giorni.

L’atto deve essere notificato al proprietario e da tale momento comporta il passaggio di proprietà sotto la condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ovvero il loro deposito secondo la specifica normativa.

Il provvedimento è soggetto a trascrizione a cura dell’amministrazione procedente e trasmesso all’ufficio competente all’aggiornamento degli elenchi degli atti da cui deriva la dichiarazione di pubblica utilità ovvero con cui è disposta l’espropriazione.

L’autorità procedente ha l’obbligo di inviare alla Corte dei conti copia integrale del provvedimento emesso.

Da quanto sopra esposto, la giurisprudenza non è univoca nell’affermare l’ammissibilità dell’acquisizione di beni al patrimonio pubblico mediante l’istituto dell’usucapione (se non a particolari condizioni e, perlopiù in via di eccezione).

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