Con l’entrata in vigore della legge 161/2014, dopo un tortuoso iter che ha visto coinvolte autorità nazionali e internazionali, si è giunti all’abrogazione di due precedenti norme italiane, derogatorie della direttiva comunitaria in tema di orari e riposi del personale sanitario dipendente, medico e non medico.
Si tratta dell’art.41, c.13 della legge 133/2008 e dell’art.17, c.6-bis del d.lgs.66/2003.
Per meglio comprendere la portata innovativa della norma, risulta doveroso ripercorrere le tappe che hanno portato alla sua definitiva approvazione.
L’Unione europea con la Direttiva 104/1993 CE, ha predisposto una serie di standard comuni che disciplinano l’orario di lavoro, applicati dal 2000 (Direttiva 34/2000 CE) a tutti i settori dell’economia.
Successivamente, la Direttiva 88/2003 CE, ha riunificato in un unico testo le previgenti disposizioni in materia di orario di lavoro, riposi, pause, ferie e lavoro notturno.
La direttiva sull’orario di lavoro rappresenta una tappa fondamentale del modello sociale europeo, poiché assicura una protezione minima a tutti i lavoratori contro orari di lavoro eccessivi e contro il mancato rispetto di periodi minimi di riposo.
Per il riposo giornaliero la misura considerata “minima” dalla Direttiva sopra menzionata, è quella di 11 ore consecutive nell’arco di 24 ore, partendo dall’inizio dell’attività, mentre il tempo di lavoro massimo settimanale è individuato in 48 ore, comprendenti anche le quote di lavoro straordinario.
In Italia le Direttive 104/1993 e 34/2000 sono state recepite nell’aprile del 2003 con il D.Lgs. 66/2003.
Tuttavia, nel dicembre del 2007, con la legge finanziaria 2008, per questioni di natura economica legate anche al blocco del turn over, è stata posta ine essere una deregulation totale degli orari di lavoro del personale medico e sanitario.
In particolare, la Legge 24 dicembre 2007 n. 244 ha introdotto un comma 6-bis al Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n. 66 che attuava le direttive 93/104/Ce e 2000/34/CE, stabilendo che le “disposizioni di cui all’articolo 7 (in ordine al riposo giornaliero di 11 ore consecutive ) non si applicano al personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, per il quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori”.
Il Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, ha poi modificato il comma 1 dell’art. 17 del Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n. 66 citato stabilendo che “le disposizioni di cui agli articoli 7, 8, 12 e 13 (garanzie fondamentali per i lavoratori in tema di riposi, pause, modalità di organizzazione del lavoro notturno e sua durata), possono essere derogate mediante contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Per il settore privato, in assenza di specifiche disposizioni nei contratti collettivi nazionali le deroghe possono essere stabilite nei contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
L’art. 41, comma 13 del D.L. cit. ha inoltre previsto, con rifermento al personale dirigenziale degli enti e delle aziende sanitarie, che “in ragione della qualifica posseduta e delle necessità di conformare l’impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità propria dell’incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7 del decreto legislativo 2003, n. 66. La contrattazione collettiva definisce le modalità atte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche”.
Ebbene, in forza di un impianto normativo così delineato, le principali garanzie fondamentali contenute nella direttiva sull’orario di lavoro, con particolare riguardo al periodo di riposo minimo giornaliero di 11 ore consecutive, non erano più garantite, atteso che il legislatore, nel rinviare alla disciplina contrattuale in materia di orario di lavoro, disapplicava di fatto le norme di “tutela minima” previste nella Direttiva Europea.
A seguito di tanto, l’Unione europea, ha attuato la procedura d’infrazione n. 2011/4185 verso l’Italia chiedendo le motivazioni del mancato adeguamento alla direttiva.
Successivamente ha invitato il Governo a un riallineamento della legislazione, non ritenendo valide le giustificazioni addotte.
Il Governo italiano, per evitare la condanna della Corte di Giustizia e le conseguenti pesanti penalizzazioni economiche, con l’art. 14 della legge 161/2014 si è finalmente allineato al quadro europeo, abrogando, con effetto dal 25 novembre 2015, il comma 13 dell’art. 41 del d.lgs. 112/08.
È stato, quindi, consacrato il diritto dei medici e dirigenti sanitari italiani ad un minimo 11 ore consecutive di riposo giornaliero, un limite massimo 48 ore di lavoro settimanale, compreso lo straordinario, 24 ore di riposo settimanale e almeno 4 settimane di riposo annuale.
Nonostante la regolarizzazione della situazione, rimane indiscusso il diritto del personale medico e sanitario al risarcimento per l’inesatta e/o tardiva applicazione della direttiva europea, considerato che per oltre 6 anni gli è stato negato illegittimamente il diritto ad un orario di lavoro adeguato e ad usufruire di riposi con le modalità previste per tutti gli altri lavoratori europei e nazionali.
Il danno subito, peraltro, non è solo patrimoniale, collegato alle ore di lavoro in più svolte illegittimamente, ma si configura anche come danno biologico e non patrimoniale, per usura da stress psicofisico conseguente all’eccessivo lavoro e agli ingiusti sacrifici imposti allo stile di vita del lavoratore.
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