Contratto

L’autonomia privata ed i presupposti del contratto: libera creazione e suoi limiti

A cura del dott. Mario Sessa

 

Nota a sentenza Corte di cassazione civile sentenza 9282/14

Massima: “La presupposizione consiste in una condizione non sviluppata, e differisce dalla supposizione”.

 

Il contratto rappresenta, nella moderna realtà degli scambi, il principale strumento di circolazione della ricchezza fra i privati. Entrambi i contraenti, infatti, decidono di regolare i loro interessi liberamente, in modo tale da soddisfare interessi personali e patrimoniali di diversa natura. L’art.1174 cc denuncia a chiare lettere l’atteggiamento mostrato dall’ordinamento nei confronti dell’autonomia privata. Questa disposizione, infatti, dispone che ogni paciscente è assolutamente libero di perseguire gli interessi più rispondenti alle sue esigenze di vita, ed il legislatore non può vietare o inibire una delle manifestazioni più evidenti della libertà di iniziativa economica. Spesso però le parti inseriscono all’interno del contratto una o più clausole che possono differire o condizionare nel tempo la validità e l’efficacia del loro regolamento di interessi. La dottrina tradizionale soleva distinguere, all’interno del contenuto contrattuale, gli elementi essenziali da quelli accidentali. I primi, elencati dall’art.1325cc, costituiscono i requisiti essenziali, la cui mancanza comporta la nullità del negozio. Gli accidentalia negotia, invece, costituivano al più circostanze ed eventi secondari nell’economia complessiva della pattuizione. Quanto appena detto deve essere inevitabilmente rivisto, alla luce della più recente giurisprudenza e dottrina che si sono occupati dell’argomento. In primo luogo, si assiste ad un sempre maggiore accostamento del contratto alla persona, tutelata dalla carta costituzionale agli art.2-13-41 Costituzione. In quanto funzionale alla realizzazione di fini personali e sociali, il contratto non autorizza alcuna distinzione fra ciò che è essenziale o accidentale1. In secondo luogo, l’ordinamento accoglie una nozione di causa in concreto che diverge dal tipo negoziale, e ciò si traduce nella valorizzazione legale o giudiziale di ogni elemento che, anche in via occasionale ed eventuale, ne entra a comporre il contenuto. Alcuni autori, specie in recenti studi sull’argomento, hanno sostenuto che il settore delle clausole contrattuali è quello in cui, più che altrove, si rinviene la massima espressione dell’autonomia negoziale2. L’art.1322 cc, infatti, abilita ciascun privato a creare nuovi tipi contrattuali non disciplinati dal diritto positivo; così come è concesso alle parti di modificare il contenuto dei contratti tipici, a patto che non ne risulti completamente stravolto il tipo di riferimento. Per mezzo delle clausole i contraenti possono dunque scandire le utilità derivanti dal contratto nel modo che essi ritengono più opportuno. Si è già parlato di elementi accidentali, ed essi sono la condizione, il termine ed il modus. Senza indugiare in classificazioni, reperibili in ogni manuale3, appare necessario mettere in luce come queste clausole hanno in comune l’effetto di subordinare o risolvere gli effetti negoziali del contratto in cui sono inserite. Esse si riferiscono, more solito, ad un evento estrinseco ed eventuale, al cui verificarsi le parti fanno coincidere l’attuazione negoziale del divisato regolamento. Ciò non toglie, è chiaro, che il contratto produce effetti già prima dell’evento futuro, con efficacia obbligatoria ed interinale almeno fra le parti. Si è detto che l’evento accidentale deve essere estrinseco, in quanto si ritiene che le parti non possono porre in condizione o termine una prestazione o un interesse che già fa parte del nucleo essenziale del contratto. In questo modo ognuno dei contraenti si riserva di esprimere il consenso genetico solo se l’altra parte adempie la prestazione dedotta in condizione, in totale disprezzo dei principi di buona fede e correttezza contrattuale. Accanto a queste clausole, che pertanto risultano ancorate a parametri oggettivi, i contraenti possono prevedere altre modalità di tipo esclusivamente soggettivo. Da un punto di vista storico, si è discusso se il nostro ordinamento ammette questi presupposti, da taluni individuati in una condizione non sviluppata o implicita. Si sostiene, con maggiore sforzo argomentativo, che ogni pattuizione possiede una base negoziale comune, che si può individuare in quell’assetto di interessi che in concreto le parti hanno tenuto presente al momento della stipulazione del contratto. Alcuni di questi interessi vengono obiettivati e posti esplicitamente nel contenuto contrattuale. Altri, invece, rimangono inespressi e vengono a costituire il motivo soggettivo. Ebbene, si discute se questi ultimi eventi possono in qualche modo assumere rilievo giuridico, o addirittura causale. Se si sostiene una tesi permissiva, la violazione di tali presupposti può comportare la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno. In caso contrario, sarebbe ammissibile il solo risarcimento extracontrattuale per violazione del principio di affidamento. Orbene, la presupposizione rappresenta un istituto di origine francese, secondo una risalente dottrina inquadrabile nella cd. base negoziale. In molti manuali si rinvengono taluni esempi che spiegano l’istituto de quo in un’ottica che tende a confondere la causa con i motivi del contratto, giustificando il rimedio risolutorio sulla base della considerazione che il contratto è vincolata alla clausola “rebus sic stantibus”. Da questo presupposto ne deriva che ogni mutamento dei presupposti di stipulazione dell’accordo comporta un obbligo delle parti di rinegoziare il contenuto del contratto o , in alternativa, consente di recedere dal patto che non possiede più la stessa utilità iniziale. Ciò detto, risulta chiaro che la presupposizione differisce dai tradizionali elementi accidentali perchè non fa riferimento ad un evento futuro ed incerto, bensì ad un evento che può essere anche presente o passato. Si tratta a ben vedere di un profilo che attiene alla funzione stessa del contratto, intesa in senso giuridico-individuale. Se le parti hanno inteso trasferire e acquisire certi beni o diritti con il solo scopo di soddisfare taluni interessi personali, di tipo sociale o economico, il contratto perde efficacia se questi interessi si sono estinti, in senso satisfattivo o meno. Allo stesso modo, se il contratto appare inefficiente in relazione a taluni scopi si può sostenere che è cambiato il suo presupposto e da ciò sorge il diritto potestativo dei contraenti a porre fine al contratto inutile. A tal proposito una parte della dottrina sostiene che la presupposizione non è riconosciuta espressamente dal nostro ordinamento civilistico. Tuttavia di essa se ne può trovare una traccia nell’art.1467-1469 cc. Queste disposizioni stabiliscono che non è consentito alle parti ricorrere al rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta al fine di interrompere un contratto che li vincola. Ciò è vero, salvo i casi in cui non vi siano eventi straordinari ed imprevedibili che sconvolgono l’equilibrio contrattuale in modo tale da eliminare qualsiasi utilità del sinallagma. Questi eventi, per l’appunto, devono essere atipici ed eccezionali. La presupposizione di per sé non esclude che le parti abbiano previsto, e per ciò tollerato, una certa variazione nel tempo dell’originario assetto contrattuale. In presenza di modifiche che però ne alterano completamente l’equilibrio iniziale è consentito sostenere che il contratto è privo di un requisito essenziale. Tale è il caso della mancanza o illiceità della causa, ex art.1325-1343cc. Sempre seguendo un’ottica rimediale, un’altra giurisprudenza ha sostenuto che la presupposizione è riconosciuta in materia di compravendita e locazione (1497-1592 c.c.)4, laddove sono riconosciuti una serie di oneri ed obblighi accessori alle prestazioni principali la cui violazione è passibile di sanzione risolutiva. Si pensi alla vendita di particolari beni di consumo o deputati ad assolvere prestazioni specialistiche. Con essi il venditore garantisce implicitamente che quel bene viene venduto perchè è in grado di perseguire un risultato sperato; ovvero in quanto il bene possiede la qualità promessa. Anche in questi casi però i presupposti del contratto attengono indubbiamente al profilo causale, specie se si considera che certi beni addirittura qualificano il contratto cui ineriscono solo se hanno una determinata funzione. Ciò vale a distinguere, ad esempio, una normale vendita da una vendita di beni di consumo, con tutto ciò che ne deriva in termini di disciplina, forme e termini dell’intervento giudiziale. L’istituto della presuppozione, allo stato scientifico attuale, dunque, non ha ricevuto ancora una sua precisa collocazione topografica all’interno del codice. A ciò si aggiunge la difficoltà di rinvenirne il preciso inquadramento dogmatico. Alcuni autori hanno suggerito di non utilizzare questa condizione implicita all’interno degli atti inter vivos, specie considerando che vige per essi un principio di certezza del diritto, cui fa da corollario il principio dell’affidamento e dell’autoresponsabilità che non consentono di dare alcun rilievo giuridico  ai motivi inespressi dalla volontà negoziale. L’art.1345 cc, infatti, stabilisce iche il motivo è irrilevante all’interno dei contratti, a meno che non si tratti di motivo lecito, comune e determinante. Negli atti mortis causa, invece, la presupposizione può trovare un suo riscontro sia in talune ipotesi di origine legale che di fonte convenzionale. Il lettore attento, istintivamente, sarebbe portato ad affermare che ogni testamento o legato presuppone la morte del disponente, per cui la presupposizione costituisce sicuramente la causa o la condicio iuris di efficacia delle disposizioni di ultima volontà. A ciò si aggiungono altri esempi, sempre in un’ottica patologica, in cui la condizione latente de quo è stata individuata nella sopravvenienza dei figli, che comporta ex se la revocazione di determinate liberalità dirette o indirette. Ebbene, in tale definizione risiede tutta la differente natura della presupposizione dalla condizione futura ed incerta. Oramai è chiaro che non si definiscono più eventi oggettivi, non ancora avverati, bensì circostanze soggettive che le parti ben conoscono perchè da loro stesse procurate o previste al momento della stipulazione del contratto. Secondo alcuni autori, si ripropongono in questo modo le vecchie condiciones in praesens vel in praeteritum collatae (o relatae) di origine romanistica5. Secondo altri autori, queste condiciones facti testimoniano la presenza di una supposizione soggettiva relativa, che le parti hanno posto in essere quale antecedente causale del contratto concluso. Non si tratta di eventi eccezionali, perchè le parti sono state in grado di crearli o rafforzarli. Nemmeno si è in presenza di eventi imprevedibili,  posto che la supposizione è passata o coeva, ma pur sempre conosciuta o conoscibile dalle parti. La difficoltà degli interpreti risiede proprio nel tentativo di distinguere la supposizione dalla presupposizione, sempre che si sia disposti a rinvenire una distinzione tra i due istituti. In conclusione, la supposizione non assume rilievo giuridico, morale o sociale, in quanto costituisce un presupposto inespresso del contratto6. Per questo essa si pone in netto contrasto con il postulato secondo cui il contratto vincola le parti sia per ciò che esse hanno pattuito, sia per ogni altro aspetto che comunque è contenuto nella dichiarazione negoziale ed in patti aggiunti. La presupposizione, invece, costituisce il lato soggettivo della causa contrattuale.



1F.Alcaro La condizione del contratto fra atto ed attività, Cedam, 2008

2A.C.Pelosi La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Giuffrè, 1975

3Per tutti, F.Gazzoni Manuale di diritto privato, Esi, 2015

4Ampi riferimenti giurisprudenziali sub art. 1356ss cc in Cian-Trabucchi, Breviaria Iuris Codice civile commentato, Cedam, 2012

5A.Guarino, Diritto Privato Romano, ed. ristampata Giuffrè, 2003

6In questo senso, Cassazione Civile, Sez.III, sentenza 25/05/2007 n.12235

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