Dott. Matteo Manconi
La disciplina antritrust dell’Unione Europea nel settore automobilistico
Nel novero della normativa antitrust dell’Unione Europea il settore automobilistico ha visto nel tempo una copiosa normazione da parta della Commissione dell’Unione Europea.
Il primo regolamento emesso è il Reg. (CEE) 123/1985 della Commissione, del 12 dicembre 1984, relativo all’ applicazione dell’ articolo 85, paragrafo 3, del trattato CEE a categorie di accordi per la distribuzione di autoveicoli e il servizio di assistenza alla clientela, a cui sono seguiti il Reg. (CE) 1474/1995 della Commissione, del 28 giugno 1995, il Reg. (CE) 1400/2002 della Commissione, del 31 luglio 2002, e da ultimo il Reg. (UE) 461/2010 della Commissione, del 27 maggio 2010.
A tutti questi regolamenti si sono poi aggiunti diversi regolamenti tecnici che hanno costituito un complesso quadro normativo: il Reg. (CE) 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 5 ed Euro 6) e all’ottenimento di informazioni sulla riparazione e la manutenzione del veicolo e il Reg. (UE) 566/2011 della Commissione, dell’8 giugno 2011, che modifica il Reg. (CE) 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio e il Reg. (CE) 692/2008 della Commissione per quanto concerne l’ottenimento di informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo.
Prima di esaminare quali siano le prescrizioni contenute nel citato regolamento, occorre brevemente analizzare quali siano i principi posti alla base della libera concorrenza nel mercato unico europeo.
La regolamentazione unionale in materia di concorrenza è pensata per garantire condizioni eque e leali per le imprese, lasciando allo stesso tempo spazio all’innovazione, a norme unificate e allo sviluppo delle piccole aziende. Compito principale della Commissione europea, in materia, è quello di monitorare e indagare sulle pratiche anticoncorrenziali, sulle concentrazioni e sugli aiuti di Stato per assicurare la parità di condizioni per le imprese dell’Unione, garantendo allo stesso tempo ampi scelta e prezzi equi per i consumatori.
L’art. 101, par. 1, prescrive che “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:
- a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
- b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
- c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
- d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
- e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi”.
In via generale, sono vietati ogni tipo di accordi tra imprese o associazioni di imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la libera concorrenza all’interno del mercato unico europeo.
Una deroga è prevista dal successivo par. 3, il quale prevede che “Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
— a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
— a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
— a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,
che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di:
- a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;
- b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi”.
Quindi, in via molto generale, è possibile che appositi strumenti giuridici possano dar vita a una disciplina di esenzione per una determinata categoria di accordi verticali e pratiche concordate.
Regolamento 461/2010 della Commissione, del 27 maggio 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico
Il Reg. (UE) 461/2010 è entrato in vigore il 1° giungo 2010.
Benché rubricato come il suo predecessore, lo sostituisce solo parzialmente e con particolare riguardo alla parte relativa agli accordi verticali che riguardano le condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere, o rivendere pezzi di ricambio per autoveicoli o fornire servizi di riparazione e manutenzione per autoveicoli, applicandosi, quindi, solo ed esclusivamente agli accordi e alle pratiche concordate per la vendita di pezzi di ricambio e per la fornitura dei servizi di assistenza post-vendita.
Secondo l’art. 1, par. 1, lett. c, del citato regolamento, per accordo verticale “deve intendersi o gli accordi o le pratiche concordate conclusi da due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell’accordo, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione”.
Il nuovo regolamento si presente molto più breve rispetto al predecessore per via del ristretto campo di applicazione.
L’operatività dell’esenzione apportata dal presente Regolamento è subordinata al rispetto di alcune condizioni: il primo emerge dal richiamo effettuato dall’art. 4, par. 1, il quale prevede che “che soddisfano i requisiti per l’esenzione previsti dal regolamento (UE) n. 330/2010” e prosegue “e non contengono nessuna delle restrizioni fondamentali elencate all’articolo 5 del presente regolamento”.
Al contrario del Reg. (CE) 1400/2002 in cui le “condizioni generali” e le “condizioni specifiche” erano individuate dallo stesso Regolamento, la nuova disposizione effettua un richiamo al Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate.
Quest’ultimo Regolamento prevede che l’esenzione dal divieto di accordi verticali che siano lesivi della concorrenza, si applichi: “agli accordi verticali conclusi tra un’associazione di imprese ed i suoi membri o tra una tale associazione ed i suoi fornitori, a condizione che tutti i membri siano distributori al dettaglio di beni e che nessuno dei singoli membri dell’associazione, insieme alle imprese ad esso collegate, realizzi un fatturato annuo complessivo superiore a 50 milioni di EUR. L’inclusione degli accordi verticali conclusi da tali associazioni nell’ambito di applicazione del presente regolamento fa salva l’applicazione dell’articolo 101 del trattato agli accordi orizzontali conclusi tra i membri dell’associazione o alle decisioni adottate dall’associazione stessa; agli accordi verticali contenenti disposizioni relative alla cessione all’acquirente o all’uso da parte dell’acquirente di diritti di proprietà intellettuale, a condizione che tali disposizioni non costituiscano l’oggetto primario degli accordi e che esse siano direttamente collegate all’uso, alla vendita o alla rivendita di beni o servizi da parte dell’acquirente o dei suoi clienti. L’esenzione si applica inoltre a condizione che, in relazione ai beni o servizi oggetto del contratto, queste disposizioni non contengano restrizioni della concorrenza aventi lo stesso oggetto di restrizioni verticali non esentate in virtù del presente regolamento”.
Una volta circoscritto a quali tipi di accordi si riferisca l’esenzione, il Regolamento prevede che tali accordi non possono essere stipulati da fornitori per i quali sia superata la soglia del 30% della quota di mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto e la quota di mercato detenuta dall’acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto.
Le condizioni specifiche, previste dall’art. 5 del Reg. (UE) 461/2010, prevedono che “L’esenzione di cui all’articolo 4 non si applica agli accordi verticali che, direttamente o indirettamente, isolatamente o congiuntamente con altri fattori sotto il controllo delle parti, hanno per oggetto quanto segue:
- a) la restrizione delle vendite di pezzi di ricambio per autoveicoli da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva a riparatori indipendenti che utilizzano tali pezzi per la riparazione e la manutenzione di un autoveicolo;
- b) la restrizione, concordata tra un fornitore di pezzi di ricambio, di attrezzature di riparazione o diagnostica o altre apparecchiature ed un produttore di autoveicoli, della facoltà del fornitore di vendere tali beni a distributori o riparatori autorizzati o indipendenti o ad utilizzatori finali;
- c) la restrizione, concordata tra un costruttore di autoveicoli che utilizza componenti per l’assemblaggio iniziale di autoveicoli ed il fornitore di detti componenti, della facoltà del fornitore di apporre in maniera efficace e chiaramente visibile il proprio marchio o logo sui componenti forniti o sui pezzi di ricambio”.
Tali condizioni operano in via assoluta, per cui un qualsiasi accordo che apporti restrizioni alle informazioni tecniche, alla vendita di ricambi o delle apparecchiature costituiscono restrizione per oggetto e quindi non ritenute esentabili né da un regolamento di esenzione, né ai sensi del par. 3 dell’art. 101 TFUE.
La normativa nazionale
In Italia la normativa in materia di garanzia legale è contenuta all’interno del Codice al consumo, D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, agli artt. 128 e ss.
In via generale, la garanzia generale di conformità è posta a tutela del consumatore. La sua funzione principale è quella di tutelare il consumatore in caso di acquisto di prodotti difettosi, sia nel caso in cui questi funzioni male sia che non sia corrispondenti all’uso dichiarato dal venditore o al quale quel bene è generalmente destinato.
Tale tutela può essere fatta valere dal consumatore direttamente al rivenditore, anche se questo sia diverso dal produttore.
Il consumatore ha diritto, a sua scelta, alla riparazione o alla sostituzione del prodotto, senza addebiti aggiuntivi. Se sostituzione o riparazione non sono possibili, il consumatore, ha comunque diritto alla riduzione del prezzo o ad avere indietro una somma, commisurata al valore del bene, a fronte della restituzione al venditore del prodotto difettoso.
La garanzia legale ha una durata di 2 anni dalla consegna materiale del bene e deve essere fatta valere dal consumatore entro 2 mesi dalla scoperta del difetto. Le eventuali clausole inserite da professionisti o condizioni generali di contratto che limitino la durata la garanzia legale o la escludono possono integrare clausole vessatorie ai sensi dell’art. 33, comma 2, let. b), del predetto Codice.
Il codice prevede alcuni obblighi per il venditore:
- prendere in consegna il prodotto difettoso per verificare se il malfunzionamento dipenda o meno da un vizio di conformità. In particolare: (i) per i difetti che si manifestano nei primi sei mesi dalla data di consegna del prodotto la verifica è sempre a carico del venditore in quanto si presume che esistessero al momento della consegna; (ii) successivamente, nel solo caso in cui il malfunzionamento non dipenda da un vizio di conformità, può essere chiesto al consumatore il rimborso del costo – ragionevole e preventivamente indicato – che il venditore abbia sostenuto per la verifica;
- riscontrato il vizio di conformità, effettuare la riparazione o la sostituzione del bene entro un congruo tempo dalla richiesta e senza addebito di spese al consumatore.
Le garanzie convenzionali, gratuite o a pagamento, offerte dal produttore o dal rivenditore, non sostituiscono né limitano quella legale di conformità, rispetto alla quale possono avere invece diversa ampiezza e/o durata.
Chiunque offra garanzie convenzionali deve comunque sempre specificare che si tratta di garanzie diverse e aggiuntive rispetto alla garanzia legale di conformità che tutela i consumatori.
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