avv1Il sempreverde dibattito sul riparto di giurisdizione

A cura del Dott. Iacopo Mazzullo

Il criterio del riparto di giurisdizione tra l’autorità giudiziaria amministrativa e quella ordinaria è, dai suoi albori, oggetto di dissapori e dibattiti giurisprudenziali. Caso tutt’ora fortemente dibattuto è quello relativo al risarcimento del danno da provvedimento amministrativo favorevole ma illegittimo, poi annullato dal giudice amministrativo o ritirato dalla pubblica amministrazione in sede di autotutela. S’immagini che un privato chieda e ottenga dalla p.a. il permesso di costruire sul proprio terreno; che questo permesso si riveli ex post illegittimo, e sia quindi annullato in autotutela o in sede giurisdizionale; che il privato, cui il permesso era stato inizialmente concesso, subisca un danno dal suo successivo annullamento. A quale giudice il privato può rivolgersi per domandare il risarcimento del danno?

La soluzione tradizionale, abbracciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[1], afferma la giurisdizione del giudice ordinario, sull’assunto che non sia in discussione un esercizio illegittimo del potere, bensì un mero comportamento della p.a., consistente nell’adozione di atti favorevoli, poi ritirati, che hanno prima ingenerato e poi violato un legittimo affidamento nel privato circa la loro legittimità. Rileva quindi una violazione del principio generale di neminem laedere e il privato può agire ex art. 2043 c.c. dinanzi al giudice ordinario.

Una nota pronuncia del T.a.r. Lombardia[2] si è espressa nel senso opposto, affermando la propria giurisdizione, prendendo le mosse dall’essenza del legittimo affidamento. Ciò che non convince, spiegano i giudici milanesi, è la riconduzione dell’affidamento alla categoria del diritto soggettivo e, più in generale, il suo inquadramento come situazione giuridica autonoma. L’affidamento altro non è, infatti, che un’aspettativa delle parti di un rapporto giuridico circa il reciproco rispetto di un generale canone di lealtà e correttezza. Se così è, si deve ritenere che l’affidamento non costituisca una situazione giuridica autonoma, quanto piuttosto un elemento che contribuisce ad arricchire il contenuto delle situazioni giuridiche cui esso accede; un elemento che assume dunque qualificazione diversa a seconda delle diverse situazioni sulle quali esso va ad incidere. Ne deriva che, quando il soggetto il cui affidamento è stato leso vanta, nei confronti dell’altra parte del rapporto, un diritto soggettivo, la lesione di detto affidamento si sostanzia a sua volta nella lesione di un diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario; nel caso opposto, quando da un lato vi è la p.a. nell’esercizio di un potere autoritativo e dall’altra il privato titolare di un interesse legittimo, l’affidamento del privato partecipa della natura di quest’ultimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo. Non può che derivarne, nel caso di annullamento del permesso di costruire illegittimo, la giurisdizione dei T.a.r., atteso che il privato istante vanta – come nessuno dubiterebbe – soltanto un interesse legittimo all’edificazione nei confronti della pubblica amministrazione.

Il dibattito si è in seguito arricchito di ulteriori contributi giurisprudenziali.

Lo stesso T.a.r. Lombardia ha nel 2014 preso espressamente le distanze dal proprio precedente orientamento, abbracciando la soluzione elaborata dalle Sezioni Unite, seppur in un caso parzialmente diverso, dove l’atto favorevole ma illegittimo non era stato annullato dal giudice amministrativo o dalla pubblica amministrazione, bensì era stato disapplicato dal giudice ordinario[3]. È stato infatti rilevato che “Nel caso in cui l’illegittimità del provvedimento favorevole non sia stata rilevata dal giudice amministrativo, in chiave annullatoria, ma riconosciuta dal giudice ordinario, nell’ottica della disapplicazione, la parte che invoca la tutela risarcitoria non postula un esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che connota un comportamento consistito per contro nell’emissione di atti favorevoli, poi ritirati per pronunzia giudiziale o in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare. La possibilità di questa sola, autonoma tutela porta ad escludere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non solo, ma anche quella generale di legittimità, stante la consistenza di diritto soggettivo della situazione fatta valere”.

Anche in Consiglio di Stato, discostandosi in tempi recenti dalle considerazioni circa l’essenza dell’affidamento svolte dal T.a.r. lombardo pochi anni prima, ha optato per la giurisdizione ordinaria: “Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarcimento del privato per la lesione dell’affidamento in lui ingenerato dalla legittimità di atti amministrativi di cui era stato beneficiario e che poi sono stati annullati in sede giurisdizionale o anche in autotutela, in quanto tale giudizio s’incentra sulla violazione del dovere del neminem laedere, che prescinde dalla natura pubblica o privata dell’agente e della sua attività [4]. Hanno puntualizzato i giudici amministrativi, peraltro, che il privato leso potrebbe soltanto domandare il risarcimento derivante dalla lesione del proprio legittimo affidamento; non invece il risarcimento del danno derivante dalla lesione del proprio diritto legittimo pretensivo, il quale postula la presenza di un danno ingiusto da risarcire, elemento di per sé inconfigurabile ogniqualvolta al privato non spettava, ab origine, il provvedimento favorevole illegittimamente adottato dalla pubblica amministrazione.

Il dibattito tra gli interpreti, invero, non si è mai sopito, tant’è che la Corte di Cassazione ha sentito il bisogno di tornare a pronunciarsi sul tema nel 2015 a Sezioni Unite[5]. La pronuncia conferma la giurisdizione ordinaria, adducendo però motivazioni parzialmente nuove rispetto a quelle in precedenza richiamate. L’interesse legittimo pretensivo del privato – spiegano i giudici – è soddisfatto dall’emanazione del provvedimento, sia pure illegittimo, da parte della p.a.. Ne consegue che il danno non deriva dalla lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma da una lesione del suo diritto soggettivo all’integrità patrimoniale ex art. 2043 c.c..

Se questo è lo stato del diritto vivente sul riparto di giurisdizione in materia dirisarcimento del danno da provvedimento favorevole ma illegittimo, forti dubbi permangono in dottrina sotto certi profili:

1)   anzitutto, si è pur sempre al cospetto di un cattivo esercizio del potere da parte della p.a., non invece di una carenza di potere: sebbene il danno si manifesti solo con l’annullamento del provvedimento, l’emanazione del provvedimento illegittimo ha un’evidente efficacia causale rispetto al danno cagionato al privato;

2)   il dibattito giurisprudenziale in corso sembra, su un piano più generale, scontare una certa confusione tra comportamenti amministrativi e comportamenti meri: anche a ritenere che il rilascio del permesso di costruire illegittimo non rilevi quale provvedimento bensì come comportamento, trattasi comunque di un comportamento riconducibile all’esercizio di un potere (c.d. comportamento amministrativo) e non di un comportamento c.d. “mero”, totalmente sconnesso da qualsiasi attribuzione di un potere pubblicistico.

Secondo questa logica, tutt’altro che priva di sostenitori in dottrina[6], la giurisdizione dovrebbe essere del giudice amministrativo ex art. 7 c.1 del codice del processo amministrativo, secondo cui «Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni». La distinzione tra comportamenti amministrativi e comportamenti meri è stata d’altronde al centro di un famoso arresto giurisprudenziale in cui la Consulta[7], in materia di espropriazione per pubblica utilità, ha dichiarato illegittima l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del g.a. delle controversie aventi per oggetto i comportamenti delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, nella parte in cui non escludeva i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere. La Corte Costituzionale, nella pronuncia richiamata, ha infatti ricordato, in linea con quanto già affermato in un noto precedente del 2004[8], che la giurisdizione esclusiva può aversi soltanto in relazione a situazioni dove la pubblica amministrazione agisce pur sempre in veste di autorità cosicché deve considerarsi certamente illegittima la giurisdizione esclusiva in materia espropriativa relativamente ai comportamenti della p.a. tenuti in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.

Attese le rilevanti perplessità sollevate, il recente arresto delle Sezioni Unite non sembra aver messo a tacere per sempre le accese discussioni in materia di danni da provvedimento favorevole ma illegittimo. Non resta che attendere gli ulteriori sviluppi di questo sempreverde dibattito.



[1] Cass., SS.UU., 23 marzo 2011, ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596

[2] T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. II, 17 luglio 2013, n. 1307

[3] Così T.a.r Lombardia, 11 luglio 2014, n.1807

[4] Così Consiglio di Stato, Sez. V, 2 agosto 2013, n. 4059

[5] Cass. SS.UU., 4 settembre 2015, n. 17586

[6] Cfr. F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2014, p. 104 e ss.

[7] Corte Costituzionale, 11 maggio 2006, n. 191

[8] Corte Costituzionale, 6 luglio 2004, n. 204.

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