Per gentile concessione dell’editore www.exeo.it pubblichiamo un abstract del testo del Dott. Camillo Cristini

Camillo Cristini, La Legge Anticorruzione – Analisi ragionata delle novità e delle modifiche introdotte dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190 – Exeo edizioni acquistabile su

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CAPITOLO III

Il delitto di traffico di influenze illecite

 1. Gli obblighi di incriminazione nascenti da fonti internazionali

 

Con riferimento alla figura di trading in influence, la Convenzione di Merida contro la corruzione del 2003 all’art. 18 lett. a) impone agli Stati parte di incriminare «il fatto di promettere, offrire o concedere ad un pubblico ufficiale o ad ogni altra persona, diret­tamente o indirettamente, un indebito vantaggio affinché detto ufficiale o detta persona abusi della sua influenza reale o supposta, al fine di ottenere da un’amministrazione o da un’autorità pubblica dello Stato Parte un indebito vantaggio per l’istigatore iniziale di tale atto o per ogni altra persona».

Alla successiva lett. b) impone parimenti di in­criminare «il fatto, per un pubblico ufficiale o per ogni altra persona, di sollecitare o di accettare, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona al fine di abusare della sua influenza reale o supposta per ottenere un indebito vantaggio da un’amministrazione o da un’autorità pubblica dello Stato Parte».

Analogamente si esprime la Convenzione del Consiglio d’Europa  del 1999 che all’art. 12 impone di incriminare «il fatto di promettere, of­frire o procurare, direttamente o indirettamente, qualsiasi vantaggio indebito, per sé o per terzi, a titolo di rimunerazione a chiunque afferma o conferma di essere in grado di esercitare un’influenza sulla decisione di una persona di cui articoli 2, 4-6 e 9-11 [ossia dei titolari di pubbliche funzioni menzionati nelle norme precedenti], così come il fatto di sollecitare, ricevere o accettarne l’offerta o la promessa a titolo di rimunerazione per siffatta influenza, indipendentemente dal fatto che l’influenza sia o meno effettivamente esercitata oppure che la supposta influenza sortisca l’esito ricercato».

Dall’esame delle norme delle due Convenzioni emerge l’obbligo di sanzionare condotte che si pongono come prodromi­che rispetto a (successivi) accordi corruttivi, in un’ottica di ulteriore anticipa­zione della tutela rispetto a quella realizzata mediante i reati di corruzione.

Si tratta, in par­ticolare, di norme che intendono colpire l’intervento di terzi soggetti che agiscono quali “mediatori” di un futuro accordo corruttivo.

A tal fine le norme impongono, da un lato, di sanzionare sia chi si faccia dare o promettere denaro o altra utilità per esercitare la propria mediazione, sia chi dia o prometta l’utilità in vista di tale illecita prestazione.

Dall’altro, sanzionano sia chi riceva il denaro o la promessa in relazione ad una propria effettiva influenza sul pubblico ufficiale da cor­rompere, sia chi semplicemente affermi di poter esercitare una simile influenza, millantando dunque un credito in realtà inesistente.

 

 

2. Gli elementi costitutivi del nuovo reato di cui all’art. 346 bis

L’art. 346 bis c.p. punisce «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319 ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio».

La stessa pena si applica, secondo quanto prevede il comma secondo della nuova disposizione, anche «a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale», mentre la pena è, dal comma terzo, aumentata «se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio».

Infine, rispettivamente in forza del comma quarto e quinto, le previste pene «sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie», e sono invece diminuite «se i fatti sono di particolare tenuità».

Il delitto di traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p.) sanziona due distinte condotte:

a) quella di chi, sfruttando le sue relazioni con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si fa dare o promettere (anche per altri) denaro o altro vantaggio patrimoniale come contropartita della mediazione illecita;[1]

b) quella di chi, sempre sfruttando le sue relazioni con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si fa dare o promettere (anche per altri) denaro o altro vantaggio patrimoniale per remunerare il pubblico funzionario.[2]

Nel primo caso il legislatore ha inteso colpire quelle diffuse forme di malcostume – fino ad ora non punibili – poste in essere da quei soggetti che spesso si muovono nell’entourage di uomini politici o funzionari pubblici.

Nel secondo caso, invece, si è inteso anticipare la soglia di punibilità prevista per il reato di corruzione, sanzionando delle condotte che prima dell’introduzione del nuovo reato ex art. 346 bis sarebbero state considerate come meri atti preparatori (quindi non punibili, nemmeno come tentativo) del delitto di corruzione.

Comune è comunque la finalità di entrambe le ipotesi: proteggere il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, sanzionando condotte propedeutiche rispetto a successivi accordi corruttivi.

Occorre evidenziare come la norma consideri punibile la condotta di chiunque faccia dare o promettere «indebitamente»,  aggiungendo che il denaro o altro vantaggio patrimoniale devono rappresentare il prezzo di una mediazione «illecita».

Tale formulazione incide in maniera determinante nella struttura della fattispecie incriminatrice: si tratta, infatti, di una clausola di antigiuridicità speciale da cui deriva il fatto che l’illiceità della condotta dovrebbe essere valutata alla luce di norme extrapenali che stabiliscano le condizioni in base alle quali una condotta sia o meno lecita.

Al riguardo va però detto che – a differenza di altri ordinamenti nei quali è riconosciuta la liceità di attività di mediazione e pressione esercitate in forma professionale, specie presso istituzioni politiche o amministrazioni pubbliche (es. lobbies) – nel nostro ordinamento manca una disciplina specifica, con la conseguenza che la nuova fattispecie incriminatrice potrebbe presentare problemi di costituzionalità, non rispettando i necessari principi di determinatezza e tassatività della fattispecie penale.[3]

 

2.1 (Segue) I rapporti con il millantato credito

La differenza principale tra i due reati consiste nella diversa natura dei rapporti che s’instaurano tra l’intermediario e il pubblico agente: mentre nel millantato credito (art. 346 c.p.) questi devono essere vantati[4], nel traffico di influenze illecite (art. 346 bis) i rapporti tra i due soggetti devono essere reali, «esistenti».

Con l’art. 346 c.p. viene tutelato il prestigio e il buon nome della pubblica amministrazione[5], mentre l’art. 346 bis tende a preservarne l’imparzialità ed il buon andamento, difendendone la correttezza e l’autonomia sotto il profilo sostanziale.

Occorre sottolineare che la figura del millantato credito prevista dall’art. 346 c.p. è stata nell’elaborazione giurisprudenziale interpretata non solo nel senso di punire – come previsto dalla norma – i casi di vanto di un credito inesistente, ma anche le ipotesi di amplificazione e magnificazione di un credito esistente, in modo tale da far apparire di essere in grado di influenzare le determinazioni di un pubblico funzionario e conseguentemente di poter favorire il privato nel conseguimento di preferenze e di vantaggi illeciti in cambio di un prezzo per la propria mediazione.[6]

Tali interpretazioni hanno di fatto esteso l’area di incriminazione del millantato credito a condotte ricadenti, in altri ordinamenti, nello schema del traffico di influenze.

L’introduzione del traffico di influenze, pertanto, pone rimedio a tali letture interpretative e riconduce nell’alveo del millantato credito esclusivamente le condotte riguardanti rapporti meramente vantati, rientrando nel nuovo art. 346 bis le condotte che si basano su rapporti effettivamente esistenti.

Ulteriori differenze sono riscontrabili nel fatto che nella nuova norma, a differenza del millantato credito, venga punito anche chi dà o promette il denaro o il vantaggio patrimoniale per i fini di cui al comma 1 (art. 346 bis comma 2 c.p.), adeguando così il nostro ordinamento agli standard richiesti dalle fonti internazionali.

A differenza poi dell’art. 346 c.p. in cui la millanteria viene riferita al rapporto con un pubblico ufficiale ovvero un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, l’art. 346 bis riferisce la mediazione illecita ad un rapporto intercorrente con il pubblico ufficiale o con l’incaricato di un pubblico servizio, non importa se impiegato o meno.

 

 

3. Sanzioni

Il traffico di influenze illecite rappresenta una fattispecie che assicura – come detto – una tutela anticipata dei beni del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, sanzionando ipotesi propedeutiche rispetto ad un possibile accordo corruttivo.

Il legislatore, tenendo conto dei beni giuridici tutelati e della capacità offensiva delle condotte integranti il traffico di influenze illecite, ha predisposto delle pene più miti rispetto a quelle previste per le fattispecie corruttive: l’art. 346 bis, infatti, prevede la reclusione da uno a tre anni con gli aumenti previsti al comma 3 («se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio») e al comma 4 («sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie»).

Il comma 5, infine, prevede una diminuzione della pena «se i fatti sono di particolare tenuità».

Accanto alla nuova norma continua comunque a sopravvivere l’art. 346 c.p. che prevede per l’ipotesi base di millantato credito la reclusione da uno a cinque anni (oltre alla multa), e per l’ipotesi più grave di cui al secondo comma – applicabile a chi intende trattenere per sé o per il beneficiario l’intera somma, o l’intera utilità, oggetto della dazione o della promessa – addirittura quella della reclusione da due a sei anni (anche qui, oltre ad una multa).

È evidente l’irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore in quanto il traf­fico di influenze illecite – in cui i rapporti sono esistenti e effettivi – è punito meno severamente rispetto al millantato credito, ipotesi in cui, invece, le relazioni sono meramente vantate e non vi è un pericolo concreto di distorsione della pubblica funzione

Anche al fine di evitare simili incongruenze sanzionatorie, vi è chi sostiene che sarebbe stato preferibile rinunciare alla distinzione tra le due figure, introducendo un unico delitto traffico di influenze illecite dotato di un adeguato quadro edittale, anche se più mite di quello previsto per le fattispecie di corruzione.[7]

 

 

4. Profili di diritto intertemporale

Per quanto concerne le problematiche di diritto intertemporale,  l’incriminazione del traffico di influenze illecite rappresenta sicuramente una nuova incriminazione – con gli effetti di cui all’art. 2 comma 1 c.p. – rispetto alla condotta di chi dà o promette l’utilità, condotta non punibile prima dell’introduzione dell’art. 346 bis c.p.

Più complesso, invece, il discorso relativo alle condotte di chi riceve, per sé o per altri, la dazione o la promessa.

Le ipotesi di pura millanteria – nelle quali l’agente non dispone in realtà di alcuna relazione con pubblici funzionari –  continuerebbero ad essere sanzionate sulla base dell’art. 346 c.p.

Rispetto, invece, a chi riceva la promessa o la dazione «av­valendosi di relazioni esistenti» (come previsto dal nuovo art. 346 bis), è facile immaginare l’emergere di soluzioni non univoche sostenute soprattutto da quanti – facendo leva su quella corrente giurisprudenziale che considera millantato anche il credito esistente, ma amplificato – sosterranno la continuità normativa tra i due reati, con conseguente appli­cabilità ai fatti pregressi della disciplina più favorevole rappresentata dall’art. 346 bis.[8]

 

 



[1] La prima parte dell’art. 346 bis c.p. evidenzia punti di contatto con il concorso nel reato di corruzione, ma se ne differenzia in quanto il denaro o altri vantaggi patrimoniali non rappresentano il prezzo da corrispondere al pubblico ufficiale per far sì che lo stesso ometta o ritardi (o abbia omesso o abbia ritardato) un atto dell’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio, ma tali utilità vengono destinate unicamente a retribuire l’opera di mediazione.

[2] La seconda ipotesi prevista dall’art. 346 bis c.p. pare presupporre che tali utilità non vengano corrisposte o la loro promessa non venga accetta, posto che, diversamente, si ricadrebbe nell’ipotesi di concorso in corruzione propria.

[3] Tali perplessità sono state espresse dalla Relazione dell’Ufficio Massimario della Cassazione, cit.; si veda in dottrina Balbi G., Alcune osservazioni in tema di riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, cit., pag. 9: «sarebbe peraltro opportuno eliminare l’avverbio indebitamente – indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale” –  incongruamente presente anche nei testi internazionali, quasi inspiegabile quale indice di illiceità speciale, per nulla pleonastico, ma al contrario munito dell’inquietante potenzialità semantica di vanificare qualsiasi efficacia alla disposizione: il mediatore che si facesse retribuire per mettere in contatto – a qualsiasi fine – un terzo con un pubblico agente, in cambio di ciò non riceverebbe denaro “indebito”, ma un corrispettivo dovuto quale compenso per la sua prestazione.»

[4] Per Cass.pen., sez. VI, , 27 gennaio 2000, n. 2645, per la configurazione del reato di millantato credito è indispensabile che il comportamento del soggetto attivo si concreti in una «vanteria», cioè in un’ostentazione della possibilità di influire sul pubblico ufficiale che venga fatto apparire come persona «avvicinabile», cioè «sensibile» a favorire interessi privati in danno degli interessi pubblici di imparzialità, di economicità e di buona andamento degli uffici, cui deve ispirarsi l’azione della pubblica amministrazione.

[5] La lesione si configura con la semplice percezione in capo a terzi della possibilità che l’attività della pubblica amministrazione venga piegata a fini personali, così violando gli elementari principi di legalità amministrativa e di eguaglianza, anche se il millantatore non ha l’effettiva capacità di influire sui pubblici poteri.

[6] Cfr. Cass.pen., sez. VI, 18 maggio 1989, n. 11317 e Cass.pen., sez. VI, 4 febbraio 1991, n. 5071.

[7] Cfr. Dolcini E. e Viganò F., Sulla riforma in cantiere dei delitti di corruzione, cit., p. 241; Contra cfr. Balbi G., Alcune osservazioni in tema di riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, cit., pag. 10: «Concludere, tuttavia, per l’opportunità dell’abrogazione del millantato credito (…) facendolo confluire nella nuova fattispecie, è un’opzione che non mi convince, stante la profonda differenza tra i profili di offensività delle due ipotesi e dunque la problematica perequazione delle stesse.»

[8] Cfr. Dolcini E. e Viganò F., Sulla riforma in cantiere dei delitti di corruzione, cit., p. 242.

 

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