Giorgia Crimi
La notizia
Mark Zucherberg, l’ideatore di Facebook, ha annunciato che nel 2020 lancerà Libra, la moneta che su scala internazionale rivoluzionerà il modo di concepire i pagamenti.
Il fondatore di Facebook ha come obiettivo la semplicità nelle transazioni di denaro, che aspira a rendere facili come la condivisione di un’immagine sul web o l’uso di una App, perché “ci sono circa un miliardo di persone che non hanno un conto in banca ma hanno un cellulare“.
Libra, che si basa sulla tecnologia della blockchain, avrà costi di transazione minimi e la garanzia di partner commerciali di tutto rispetto tra i quali Visa, Mastercard, PayPal e operatori telefonici come Vodafone e la nuovissima Iliad.
Libra Association e Calibra
La rete che supporterà la nuova criptovaluta sarà infatti gestita dall’associazione di questi partner, Libra Association, organizzazione non profit e indipendente con sede a Ginevra.
L’idea è di potere usare Libra per effettuare pagamenti nei negozi virtuali o “fisici”, nonché inviare denaro, grazie ad un’applicazione Calibra, che verrà lanciata da Facebook.
Ai fini della Privacy, Facebook si è impegnata a tenere distinti i dati acquisiti per mezzo del social network da quelli legati all’utilizzo della nuova App, che non saranno utilizzati per attività di targeting.
Il quadro normativo
Ma la nuova moneta è “legale”? quali sono le norme che disciplinano la materia?
La prima considerazione da fare è che, come spesso accade, il legislatore è rimasto indietro rispetto ai fenomeni della vita reale e alle possibilità garantite dagli sviluppi della tecnologia.
Le criptovalute si sono diffuse rapidamente, ma solo nel tempo sono state prese in considerazione dal legislatore e solo sotto taluni specifici profili.
A livello europeo, la disciplina più recente in tema di criptovalute è quella introdotta dalla Direttiva Ue 2018/843 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32018L0843) che modifica la direttiva (UE) 2015/849, recepita in Italia dal D.lgs. 90/2017 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/06/19/17G00104/sg), a modifica delle precedenti direttive sullo stessa tema, le nn. 2009/138/CE e 2013/36/UE.
La direttiva europea 843/2018 sulla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo
La promulgazione della direttiva parte invero dalla considerazione che le moderne tecnologie e i sistemi finanziari alternativi vengono utilizzati spesso a fini illeciti, e, nella specie, i rischi maggiori sono quelli connessi al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, perché le valute virtuali si prestano particolarmente ad usi impropri, garantendo l’anonimato delle transazioni.
All’art 1 punto d) della direttiva citata, il legislatore europeo definisce valuta virtuale “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente.”.
Gli obiettivi del legislatore europeo
La direttiva quindi si prefigge di assoggettare le valute “virtuali” ai medesimi obblighi giuridici delle valute “reali”, vincolando gli stati membri ad una serie di adempimenti volti a garantire sempre più la “trasparenza” delle transazioni e a rafforzare gli strumenti di lotta alla lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, profili che di fatto sono gli unici tenuti in considerazione dalla stessa.
La direttiva dovrà essere recepita entro gennaio 2020 dagli stati membri.
Il quadro normativo italiano: la lotta al riciclaggio
Anche nel quadro normativo italiano non si rinviene una disciplina unitaria.
In adeguamento alle direttive europee, le criptovalute sono prese in considerazione innanzitutto sotto il profilo del rischio di riciclaggio e della lotta al finanziamento del terrorismo.
Il testo di riferimento è il Dlgs. 90/2017 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/06/19/17G00104/sg) il quale, in attuazione della IV Direttiva Antiriciclaggio dell’Unione Europea (Direttiva UE 2015/859, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32015L0849&from=ET) ha modificato il Dlgs. 231/2007 (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2007-12-14&atto.codiceRedazionale=007X0246&queryString=%3FmeseProvvedimento%3D%26formType%3Dricerca_semplice%26numeroArticolo%3D%26numeroProvvedimento%3D231%26testo%3D%26annoProvvedimento%3D2007%26giornoProvvedimento%3D¤tPage=1), introducendo le definizioni di “valuta virtuale” e di “prestatore di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale”.
In particolare, il testo vigente del Dlgs. 231/2007, modificato dal citato Dlgs. n. 90/2017, definisce:
“qq) valuta virtuale: la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente.
- ff) prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale: ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale”.
L’istituendo Organismo degli Agenti e dei Mediatori di criptovalute
Inoltre, il D.Lgs. 90/17, modificando il Dlgs. 13 agosto 2010, n. 141, all’articolo 17-bis (Attività di cambiavalute), ha esteso le previsioni ed i requisiti per l’esercizio dell’attività di cambiavalute anche “ai prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, come definiti nell’articolo 1, comma 2, lettera ff), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231“, i quali sono altresì tenuti all’iscrizione in una sezione speciale del registro tenuto dall’Organismo degli Agenti e dei Mediatori che raccoglie tutti i soggetti autorizzati ad esercitare l’attività di cambiavalute (che deve essere istituito con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle Finanze, ex l’art. 17 bis co. 8 ter del D.Lgs. 141/10).
Attualmente, il decreto ministeriale in oggetto, esaurita la fase di consultazione, è ancora in fase di studio (http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/regolamentazione_bancaria_finanziaria/consultazioni_pubbliche/31.01.18_bozza_DM_prestatori_val_virtuale_.pdf).
Una volta operativo l’inserimento nel registro, la stessa costituirà condizione essenziale per l’esercizio legittimo dell’attività da parte dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale.
Quindi da una parte, i “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale”, anche detti exchanger sono assoggettati ad obblighi antiriciclaggio che diventeranno sempre più stringenti entro il 10 gennaio 2020, in ottemperanza alla nuova Direttiva Europea (es. adeguata verifica e identificazione del cliente e del titolare effettivo, conservazione dei documenti e dei dati raccolti, segnalazione di operazioni sospette, etc.), con in rischio di essere esposti a sanzioni amministrative o penali, dall’altra l’iscrizione obbligatoria nel registro istituendo farà venire meno i possibili profili di abusivismo finanziario e bancario ascrivibili in questi casi.
Il profilo fiscale
La seconda prospettiva sotto cui il legislatore italiano tiene prende in considerazione il fenomeno criptovaluta è quella fiscale, dove, ad oggi, tuttavia, l’unica normativa pare essere costituita solo dalla Risoluzione Ministeriale n. 72 E del 2016 (https://www.finaria.it/pdf/bitcoin-tasse-agenzia-entrate.pdf).
La stessa considera la moneta virtuale invero sotto il profilo dell’assoggettamento delle relative operazioni di scambio alle imposte.
È interessante che l’Agenzia delle Entrate abbia reso una definizione di criptovaluta ben prima degli interventi in sede europea.
La stessa in sostanza assume che le monete virtuali siano assimilabili ad una valuta estera, con le stesse regole che valgono ad esempio per il cambio con moneta estera.
Nella specie, l’Agenzia delle Entrate considera la criptovaluta come una moneta “alternativa” a quella tradizionale, la cui circolazione come mezzo di pagamento è basato sull’accettazione volontaria come strumento di scambio, a prescindere quindi da un obbligo di legge ed in assenza di una specifica regolamentazione e/o Autorità centrale che ne governa la stabilità.
Richiamando una sentenza della Corte di Giustizia Europea (22 ottobre 2015, C-264/2014), l’Agenzia delle Entrate sostiene che lo scambio di bitcoin contro valuta corrente costituisca operazione a titolo oneroso e che per questo i servizi relativi di intermediazione siano assoggettabili alle imposte IVA, IRES e IRAP.
Per quanto riguarda invece i privati cittadini invece sono soggetti ad imposte solo se detengono bitcoin per un valore superiore a 51 mila euro per oltre 7 giorni, perché in tal caso di deduce una finalità speculativa.
Conclusioni
La nuova Libra e, in genere, le criptovalute (in primis, il bitcoin) sono “legali”, perché si basano su un principio di volontarietà della loro accettazione come strumento di pagamento.
Ciò che risulta potenzialmente illegale è l’uso che si fa di tali monete virtuali, in forza della loro volatilità, immaterialità, anonimato e non tracciabilità, tale per cui possono costituire un mezzo per consumare illeciti di varia natura.
Se ad oggi la diffusione della criptovaluta è stata rallentata da una certa diffidenza del pubblico di non esperti, stante la diffusione dell’uso e la consequenziale “fiducia” che Facebook e le tecnologie collegate riscuotono (es. whatsup), Librà non potrà che costituire un fenomeno rivoluzionario ed esplosivo.
Tanto è vero che la potenziale diffusione planetaria della Facebook coin sta diffondendo sempre di più panico tra gli operatori bancari e finanziari, che temono di perdere il proprio “monopolio”.
Da più parti infatti si avverte il rischio che con la propria moneta, Facebook che si prefigge di perseguire una “inclusione finanziaria”, come sistema aperto anche verso coloro normalmente esclusi dai tradizionali, possa rapidamente assumere una posizione dominante sul mercato.
Uno dei rischio, sotto il profilo fiscale, è che non essendo tecnicamente possibile un tracciamento delle transazioni in criptovaluta, i privati più che le imprese siano nella condizione di sfuggire alla tassazione a fronte di quel tipo di operazioni definibili propriamente speculative.
Al contempo, le operazioni di investimento compiute dai privati non esperti potrebbero risultare ad alto rischio, ma sfuggire alle garanzie che gli operatori bancari e finanziari professionisti sono obbligati ad offrire.
Pertanto, anche alla luce della impennata che la criptovaluta subirà grazie a Libra, si ritiene che il fenomeno debba essere considerato dal legislatore nel suo complesso, soprattutto per non dare adito ad incertezze che possano costituire sempre più l’anticamera per la consumazione di reati ed illeciti di vario profilo.