Sara Cadelano
§1. Premessa storica e metodologica.
A partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, l’ordinamento giuridico italiano fu investito da una serie di riforme relative all’attività ed all’organizzazione della pubblica amministrazione, nonché da importanti interventi complessivi di riforma.
I numerosi episodi di corruzione ed illegalità verificatisi in quegli anni, all’interno ed all’esterno della pubblica amministrazione, avevano, infatti, determinato un forte sentimento di indignazione nell’opinione pubblica ed avevano, pertanto, spinto il Legislatore dell’epoca a cercare di porre rimedio a tale situazione.[1]
In tale ottica, vide la luce, tra l’altro, la Legge n. 241/1990, specificamente denominata “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, entrata in vigore il 02/09/1990 e, successivamente, oggetto di varie modificazioni ed integrazioni.
La rubrica stessa della su citata Legge pone, immediatamente, in evidenza la centralità dell’istituto del diritto di accesso all’interno della tematica, più generale, del procedimento amministrativo.
L’accesso, infatti, rappresenta, come avremo modo di esporre nel corso della presente trattazione, un principio generale dell’attività amministrativa, che consente la partecipazione dei cittadini al procedimento e la trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione.
L’istituto trattato, inoltre, può anche rivestire una funzione strumentale alla difesa in giudizio dell’interessato (c.d. accesso difensivo), qualora preordinato all’acquisizione di documenti la cui conoscenza sia necessaria ai fini della cura e della difesa degli interessi giuridici dell’istante (ai sensi dell’art. 24, co. 7, L. n. 241/1990).
Inizieremo la presente esposizione dalle caratteristiche generali dell’istituto del diritto d’accesso, per poi soffermarci attentamente su un suo profilo specifico: quello oggettivo.
Esamineremo il su citato profilo sia da un punto di vista normativo che attraverso la sua interpretazione dottrinale e giurisprudenziale ed analizzeremo, in particolare, i vari elementi di criticità emersi nella pratica.
Appare opportuno sottolineare che l’analisi dell’oggetto del diritto d’accesso riveste tuttora, infatti, un’importante utilità proprio con riferimento all’operato quotidiano degli uffici della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi che dello stesso si occupano, nonché in relazione alla consapevolezza, da parte dei cittadini/utenti, di ciò che essi hanno diritto di chiedere ed ottenere da parte dei suddetti uffici.
A tal fine, procederemo ad esaminare l’argomento dapprima attraverso un’individuazione “in positivo” di esso (ovvero, cosa rientri nella nozione di “oggetto”) e, successivamente, mediante una definizione “in negativo” (ovvero, i casi di esclusione).
Non verranno particolarmente approfonditi, invece, gli altri profili relativi all’accesso, né verranno trattati gli altri “diritti” di accesso (acceso civico, accesso dei consiglieri comunali e provinciali etc.), né la tematica del riconoscimento dell’istituto de quo nell’ordinamento comunitario ed europeo[2], rinviando l’analisi degli stessi ad altra sede.
Inoltre, data la notevole complessità e delicatezza della tematica relativa al rapporto tra accesso e riservatezza, pur accennando alla questione nella presente disamina, si ritiene maggiormente utile approfondire ulteriormente la questione con una trattazione mirata successiva.
§2. Brevi cenni sul diritto di accesso.
Il Capo V della Legge n. 241 ha consentito, attraverso il riconoscimento del diritto di accesso, una più efficace applicazione dei principi di pubblicità e trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione, in ragione di una concezione di tendenziale parità (quantomeno negoziale) tra la p.a. ed il cittadino.
I suesposti principi si contrappongono all’opposto principio della segretezza, previsto in precedenza dall’art. 15 del D.P.R. n. 3/1957 (c.d. T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) e dettato da una visione autoritaria dei rapporti p.a./cittadino.[3]
Invero, il diritto di accesso rappresenta anche l’esplicazione concreta dei principi di legalità, uguaglianza, partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo, buon andamento ed imparzialità.
Specificamente, il comma 2 dell’art. 22 L. 241/1990, come sostituito dall’art. 10, comma 1, lett. a), L. n. 69/2009, statuisce che “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
Inoltre, il medesimo permette l’attuazione del diritto costituzionale all’informazione ed è, altresì, costituzionalmente riconosciuto come livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
Orbene, per “diritto di accesso”, si intende, specificamente, “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi” (art. 22, comma 1, lett. a), L. 241/1990).
Più in generale, per le motivazioni sopra esposte, il medesimo è stato definito, in dottrina, come “strumento di contemperamento delle contrapposte esigenze di celerità dell’azione amministrativa e di garanzia degli interessi dei soggetti titolari di situazioni giuridiche incise dall’agere pubblico”.[4]
I legittimati attivi sono costituiti da tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
Pertanto, non è sufficiente addurre un generico ed indistinto interesse di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon andamento dell’attività amministrativa, bensì è necessaria la sussistenza di un interesse qualificato e collegato ad esigenze che riguardino l’utente in modo diretto (si veda, in particolare, quanto recentemente osservato sul punto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sentenza n. 10/2020)[5].
Legittimati passivi sono, invece, le pubbliche amministrazioni (compresi gli organismi di diritto pubblico e l’in house providing, limitatamente all’attività pubblicistica esercitata), le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici, i gestori di pubblici servizi, le imprese di assicurazione[6], l’amministrazione europea[7] e le Autorità amministrative indipendenti[8].
Procediamo, ora, all’esame del profilo oggettivo del diritto di accesso ex L. 241/1990.
§3. Oggetto del diritto di accesso ex L. 241/1990.
Ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. a), L. 241/1990, l’oggetto del diritto di accesso è costituito dai documenti amministrativi.
Si noti che la lettera d) del medesimo comma fornisce una definizione molto ampia di “documento amministrativo”. È considerato tale, infatti, “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
Appare utile osservare che la suddetta definizione, applicabile alle ipotesi ivi trattate in ragione del principio di specialità, risulta perfettamente compatibile (sebbene maggiormente dettagliata) con quella prevista dall’art. 1, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 445/2000 (c.d. T.U. della documentazione amministrativa), che definisce, a propria volta, il “documento amministrativo” come “ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”.
Invero, risulta opportuno precisare, altresì, che il concetto di “documento” non coincide con quello di “atto”.
Il primo, infatti, è costituito da una rappresentazione del contenuto di atti o fatti, distinguendosi, pertanto, dall’atto (o fatto) amministrativo rappresentato; quest’ultimo è costituito, invece, dagli eventi umani o naturali da cui l’ordinamento giuridico fa dipendere la produzione di determinati effetti giuridici.[9]
Da ciò consegue che il diritto d’accesso possa essere esercitato non solo nei confronti degli originali dei documenti ma anche riguardo alle riproduzioni degli stessi[10].
Si sottolinea, inoltre, che, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del D.P.R. n. 184/2006 (“Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi”), l’esercizio del diritto di accesso è possibile solo nei riguardi di documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e che la pubblica amministrazione, alla stessa data, detenga.
Spetta, comunque, al richiedente l’onere di dimostrare che l’amministrazione detenga realmente gli atti oggetto dell’accesso.[11]
Pertanto, non è possibile chiedere alla p.a. alcuna notizia od informazione su atti che non abbiano ancora acquisito la veste documentale[12].
Non sono, pertanto, ostensibili gli atti prodromici, le note, gli appunti, le comunicazioni e tutti gli altri atti preparatori attinenti alla fase istruttoria e/o di formazione dei provvedimenti amministrativi ed i supporti tecnici alla base dell’emanazione degli atti amministrativi.
Infatti, come la giurisprudenza ha avuto occasione di sottolineare, è inammissibile la domanda di accesso che non riguardi atti specifici, ma miri ad acquisire notizie che presuppongano un’attività di elaborazione dati da parte dell’Amministrazione.[13]
Nello stesso senso, si esprime anche l’art. 2, comma 2, secondo alinea, del d.P.R. n. 184/2006, in virtù del quale «La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso».
Tuttavia, l’accesso è ammissibile qualora l’istante non abbia certezza dell’effettiva esistenza del documento oggetto dell’istanza; in tal caso, la p.a. è tenuta a rilasciare una dichiarazione da cui risulti l’inesistenza dello stesso[14].
Inoltre, è inammissibile la richiesta di accesso contraddistinta da una formulazione oltremodo generalizzata che non specifichi gli atti o i provvedimenti (ad esempio, una richiesta di accesso a tutta la documentazione relativa ad un’attività svoltasi mediante un indefinito numero di atti riguardanti un intero procedimento). Infatti, l’eventuale soddisfazione di tale richiesta comporterebbe un’opera di ricerca, catalogazione e sistemazione che non rientra tra i doveri imposti all’Amministrazione dalla normativa di cui al Capo V della L. 7 agosto 1990 n. 241, oltre che un generalizzato controllo sull’Amministrazione.[15]
È pacifico, inoltre, sia in dottrina che in giurisprudenza, che la domanda di accesso debba avere un oggetto determinato e non possa essere generica.[16]
A questo punto dell’esposizione, giova domandarsi se l’accesso agli atti sia esercitabile solo nei confronti di documenti cartacei o anche nei confronti di documenti informatici e loro duplicati.
§4. Accesso a documenti informatici e relativi duplicati.
Il documento informatico, a differenza di quello cartaceo, rileva a prescindere dalla materialità del supporto.
Il medesimo si differenzia, pertanto, dal “documento analogico”, in quanto quest’ultimo è costituito, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. p-bis), C.A.D., dalla “rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.
Orbene, al fine di comprendere se il documento informatico possa costituire oggetto di accesso, giova analizzare nuovamente la definizione di documento amministrativo fornita dal Legislatore.
Come sopra precisato, l’art. 22, comma 1, lett. d), definisce il “documento amministrativo” come “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
La lettura della norma non sembra lasciare adito a dubbi riguardo al fatto che, nel concetto de quo, siano ricompresi anche i documenti informatici; la definizione scelta dal legislatore, infatti, non appare un’elencazione tassativa di ipotesi specifiche, bensì sembra chiaramente far riferimento a qualunque tipo di rappresentazione, quindi anche quella di tipo informatico.
Si condivide, inoltre, in proposito, l’orientamento dottrinale secondo il quale “Il concetto che la norma in esame introduce è […] particolarmente ampio sotto il profilo dei supporti utilizzabili per esternare l’atto, utilizzando una definizione in grado di espandersi su tutte le tecnologie eventualmente sviluppabili nel futuro”.[17]
In ragione di quanto esposto, può evincersi che il diritto d’accesso possa essere esercitato anche in relazione ai duplicati dei documenti informatici.
Ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. i-quinquies), D. Lgs, n. 82/2005 (c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale), per “duplicato informatico” si intende “il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”.
Sul punto, è stato evidenziato, in dottrina, che, idealmente, il documento informatico è uno solo, ma di esso possono coesistere tante “memorizzazioni” su supporti informatici anche diversi e separati.[18]
A tal proposito, appare opportuno precisare che le caratteristiche ontologiche del documento informatico fanno sì che ad esso non possa applicarsi pienamente il principio di unicità dell’originale.
Pertanto, non risulta possibile distinguere l’originale informatico dai suoi “duplicati identici” (diversamente da quanto accade in ipotesi di copie di documento cartaceo), potenzialmente illimitati -che altro non sono se non lo stesso esemplare su supporti differenti-, se non per il fatto che l’originale possa essere, eventualmente, conservato in un archivio custodito osservando determinate regole e con una valenza erga omnes prestabilita.
Può osservarsi, inoltre, che, mentre la copia di un documento cartaceo può essere effettuata solo da soggetto che sia in possesso dell’originale, l’operazione di duplicazione di un documento informatico può essere effettuata da chiunque sia in possesso di uno qualunque degli esemplari identici.[19]
Terminata l’analisi dell’ostensibilità dei documenti informatici e relativi duplicati, risulta ora possibile concentrare l’attenzione su ulteriori ipotesi peculiari di accesso, concernenti ancora il suo profilo oggettivo, che sono state spesso discusse in giurisprudenza e dottrina.
§5. Ostensibilità degli atti interni.
Come sopra accennato, l’art. 22, comma 1, lett. d), L. n. 241/1990 ss.mm.ii. prevede, espressamente, l’ostensibilità anche degli atti interni, cioè non dotati della capacità di incidere formalmente su procedimenti o su situazioni giuridiche.
Tuttavia, la norma richiamata non fornisce un elenco tassativo delle ipotesi contemplate in tale definizione.
In particolare, per lungo tempo è stata oggetto di dibattito la possibilità di considerare i pareri legali resi alla p.a. come oggetto di accesso.
Sul punto, giova, senz’altro, richiamare l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1893/2001[20], successivamente condiviso da numerose altre pronunce giurisdizionali anche recenti.[21]
Secondo tale indirizzo interpretativo, i pareri legali sarebbero da considerarsi ostensibili qualora siano riferiti all’iter procedimentale e, quindi, correlati ad un procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento finale ad esso collegato (anche solo in termini sostanziali) e, quindi, pur in assenza di un richiamo formale ad esso.
Sarebbero, viceversa, coperti dal segreto professionale (ex artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.) nei casi in cui attengano alle tesi difensive in un procedimento giurisdizionale; ossia, quando il parere venga espresso al fine di definire una strategia dopo che sia insorto un determinato contenzioso ovvero dopo che abbiano avuto inizio situazioni potenzialmente idonee a sfociare in un giudizio.[22]
§6. Accesso agli atti di diritto privato dell’amministrazione.
Un altro tema assai discusso in passato, in dottrina e giurisprudenza, concerne l’ostensibilità o meno degli atti di diritto privato dell’amministrazione; in particolare, degli atti dei gestori di servizi pubblici.
Al riguardo, appare utile richiamare, ancora una volta, la definizione di “documento amministrativo” di cui all’art. 22, comma 1, lett. d), L. n. 241/1990: “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
Giova rammentare, altresì, che, in virtù dell’art. 22, comma 1, lett. e), per “pubblica amministrazione” si intende “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.
In tal modo, il Legislatore ha mostrato la propria preferenza per l’orientamento giurisprudenziale già espresso in passato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, decisioni nn. 4 e 5/1999, che includeva i gestori di servizio pubblico tra i soggetti passivi dell’accesso, in ragione del rilievo pubblicistico dell’attività dagli stessi espletata e del loro conseguente assoggettamento ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Pertanto, anche attualmente, la giurisprudenza riconosce l’esercizio dell’actio ad exhibendum nei confronti del gestore di un pubblico servizio, nonché che possano costituire oggetto di accesso tutti gli atti di gestione del personale dipendente degli enti pubblici e degli altri soggetti previsti dall’art. 23 L. n. 241/1990 (quindi, anche i gestori di pubblici servizi), in quanto, pur trattandosi di atti di diritto privato (a seguito della c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro), le esigenze di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione ex art. 97 Cost. riguardano non solo l’attività volta all’emanazione dei provvedimenti, bensì anche quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici disciplinati dal diritto comune.[23]
In generale, pertanto, in ragione di tutto quanto sopra esposto, può affermarsi che il Legislatore abbia optato per la regola della massima accessibilità ai documenti amministrativi, ad eccezione delle ipotesi specificamente previste.
§7. Documenti esclusi dall’accesso.
Il comma 3 dell’art. 22, L. n. 241/1990, dopo aver statuito la regola della massima accessibilità ai documenti amministrativi, individua alcune eccezioni, specificate dall’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6 della medesima Legge.
Orbene, in virtù dell’art. 24, comma 1, L. n. 241/1990, il diritto di accesso è escluso:
“a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge n. 801/1977 ss.mm.ii., e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”. Ad esempio, atti coperti da segreto d’ufficio (che può essere imposto solo dalla legge[24]) ed atti coperti da segreto istruttorio (art. 329 c.p.p.). Un’altra ipotesi può rinvenirsi, ad esempio, in materia di contratti pubblici (art. 53, D. Lgs. n. 50/2016): in tal caso, l’accesso, da parte dei partecipanti alle offerte presentate, è differito, in relazione alle offerte, fino all’approvazione dell’aggiudicazione.
“b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano”;
“c) nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”. Come rilevato da attenta dottrina, la ratio della norma è, sostanzialmente, quella di evitare possibili condizionamenti all’attività degli organi collegiali, specialmente politici, attraverso la conoscenza anticipata dei processi decisionali e dei supporti tecnici che ne sono alla base.[25]
“d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi”. Come condivisibilmente osservato in dottrina, tale disposizione può trovare applicazione non solo in caso di concorsi per l’assunzione in senso stretto, ma anche, ad esempio, in ipotesi di procedimenti di trasferimento, per la nomina ad incarichi particolari o a mansioni superiori etc.[26]
Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, inoltre, le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi della disciplina ora menzionata.
Si noti, inoltre, che, ai sensi del comma 3, le istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni (c.d. finalità esplorativa) non sono ammissibili.
Tale regola è espressione del principio di derivazione costituzionale di cui all’art. 97 Cost., poiché un obbligo generale come quello di rispondere a tutte le istanze costringerebbe, in ultima analisi, l’Amministrazione ad un impegno sproporzionato di risorse di fronte a qualsivoglia richiesta, per assurdo, anche manifestamente infondata o soltanto emulativa[27], contrariamente al principio ad impossibilia nemo tenetur.
Il comma 5 dell’art. 24 precisa, altresì, che i documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine, le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso.
Infine, il comma 6 dell’art. 24 stabilisce che, con regolamento[28], il Governo può prevedere casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi in determinati casi tassativamente previsti dal comma 6 medesimo.[29]
Il comma 4 dell’art. 22, L. n. 241, precisa, inoltre, che “Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono”. In tale ultima ipotesi, pertanto, i dati (c.d. accesso alle informazioni) sono ostensibili anche se non contenuti in un documento, ma detenuti dalla P.A. in altre forme e con altre modalità.[30]
Si veda, altresì, quanto previsto dalla norma di cui all’art. 2, comma 2, secondo alinea, del d.P.R. n. 184/2006, secondo cui «La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso».
Sul punto, anche la giurisprudenza ha avuto occasione di osservare che l’accesso documentale è rivolto a ottenere documenti esistenti ed in possesso della pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013 n. 846; Consiglio di Stato, sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4316; con tale ultima pronuncia, in particolare, è stata dichiarata inammissibile l’istanza con la quale si chieda all’Amministrazione non l’ostensione di atti già esistenti in rerum natura, ma un’attività di elaborazione e formazione di nuovi documenti, che non può essere pretesa in sede di accesso).
In aggiunta, si noti che sono sottratte all’accesso anche le segnalazioni di condotte illecite (c.d. whistleblowing), in virtù di quanto previsto dall’art. 54-bis, comma 4, D. Lgs. n. 165/2001 ss.mm.ii.[31] Tuttavia, ai sensi del comma 9, tale tutela (così come le altre previste dal medesimo art. 54-bis) non è garantita qualora venga accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o, comunque, per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nelle ipotesi di dolo o colpa grave.
Giova evidenziare, tuttavia, che, ai sensi dell’art. 24, comma 7, alinea 1, L. n. 241/1990, deve, comunque, essere garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
In tal senso, appare interessante richiamare quanto recentemente sostenuto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 19/2020, secondo cui sarebbe possibile esercitare l’accesso documentale difensivo (in particolare, l’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria), a prescindere dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile (disciplinati ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ e, nello specifico, dagli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ.).[32]
Ai sensi dell’alinea 2 del medesimo comma, nel caso di documenti contenenti dati sensibili, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del D. Lgs. n. 196/2003 e ss.mm.ii. e dall’art. 9 del Regolamento generale sulla protezione dei dati (UE/2016/679), in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
Pertanto, qualora l’interesse all’ostensione risulti, effettivamente, indispensabile all’esercizio del diritto, l’accesso prevale rispetto al diritto alla privacy dei terzi, purché sia rispettato il c.d. principio di minimizzazione.
§8. Conclusioni.
In conclusione, appare opportuno sottolineare l’utilità ed efficacia della definizione legislativa di “documento amministrativo” di cui all’art. 22, comma 1, lett. d), L. n. 241/1990 ss.mm.ii.
L’ampiezza della stessa, infatti, ha consentito di qualificare, senza più dubbi, come possibile oggetto di accesso documentale, una grande quantità di ipotesi, sulle quali, in passato, vi erano stati lunghi dibattiti in dottrina e giurisprudenza.
La sua formulazione “aperta” ha permesso, inoltre, di qualificare come tale anche i documenti informatici e relativi duplicati, nonché ipotesi al momento non ancora esistenti o prevedibili, in quanto non ancora tecnologicamente sviluppate.
Tuttavia, data la particolarità delle ipotesi costituite dai pareri legali resi alla pubblica amministrazione, di cui si è trattato nel paragrafo n. 5 della presente disamina, si ritiene auspicabile un intervento del Legislatore in materia, volto ad individuare, con maggior precisione, cosa debba intendersi per “atti interni”, fornendo un’elencazione non tassativa degli stessi e comprendendo espressamente in essa, appunto, i pareri legali resi alla p.a., alle condizioni individuate dall’orientamento giurisprudenziale ormai maggioritario, così da non lasciare adito ad alcun dubbio in ordine alla citata questione.
[1] Per maggiori approfondimenti, si veda Casetta E., Manuale di diritto amministrativo, XXII ed., 7 ss.
[2] Basti qui osservare che, nell’ordinamento comunitario, il diritto d’accesso venne riconosciuto, per la prima volta, dal Trattato di Amsterdam, sottoscritto il 02/10/1997 ed entrato in vigore il 01/05/1999; pertanto, diversi anni dopo l’entrata in vigore della normativa italiana.
[3] Arena G., Il segreto amministrativo. Profili storici e sistematici, Padova, 1983.
Arena G., Trasparenza amministrativa, in Enc. Giur. Treccani, 1995.
[4] Si veda, in proposito, Caringella F., Manuale di diritto amministrativo, XIII ediz., 2020, 917 ss.
[5] Secondo tale pronuncia, infatti, è ravvisabile un interesse concreto ed attuale, ai sensi dell’art. 22 della L. n. 241/1990, ed una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e, quindi, allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, a condizione che tale istanza non si traduca in una generica volontà, da parte del terzo istante, di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale.
Si veda, altresì, ex multis, Cons. St., Sez. VI, 27/05/2019, n. 3427 e Cons. St. Sez. V, 09/05/2019, n. 3017.
[6] Si veda, in proposito, l’art. 146 del D. Lgs. n. 209/2005.
[7] In virtù del Regolamento n. 1049/2001/CE.
[8] Nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, in base a quanto previsto dall’art. 24 L. 241/1990.
[9] Masucci A., Procedimento amministrativo e nuove tecnologie. Il procedimento amministrativo elettronico ad istanza di parte, Torino, 2011, 60.
[10] Rocca C., Il diritto di accesso agli atti interni, tesi di Dottorato di ricerca in “Diritto dell’attività amministrativa informatizzata e della comunicazione pubblica”, Università degli Studi di Cagliari, 2014, 84.
[11] In tal senso, T.A.R. Roma, Lazio, Sez. I, 09/04/2019, n. 4588.
[12] Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 7725.
[13] Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555.
[14] T.A.R. Catanzaro, Calabria, Sez. II, 5 novembre 2018, n. 1865.
[15] Cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4721/2012; TA.R. Emilia Romagna – Parma, sez. I, n. 75/2013.
[16] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-ter, 22 dicembre 2006, n. 15538.
[17] Rocca C., op. cit., 90.
[18] M. Cammarata ed E. Maccarone, La natura del documento informatico, 06/01/2000, articolo pubblicato sul sito web “InterLex – Diritto Tecnologia Informazione”.
[19] In proposito, sia consentito rinviare a Cadelano S., La funzione notarile e l’ausilio delle nuove tecnologie, tesi di Dottorato di ricerca in “Diritto dell’attività amministrativa informatizzata e della comunicazione pubblica”, Università degli Studi di Cagliari, 2014, 41.
[20] Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893.
[21] In particolare, si veda Cons. St., Sez. III, 15/05/2018, n. 2890; Cons. St., Sez. V, 05/05/2016, n. 1761; Cons. St., Ord., Sez. VI, 24/08/2011, n. 4798; Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2010, n. 7237; Cons. St., Sez. VI, 13/10/2003, n. 6200.
[22] Tale conclusione troverebbe conferma anche nelle norme di cui agli artt. 2 e 5 del D.P.C.M. 26/01/1996, n. 200.
In argomento, si veda, in dottrina, N. Saitta, L’accesso ai pareri legali tra segreto professionale e trasparenza amministrativa, in www.lexitalia.it, nonché Schiavone A., L’accesso ai documenti amministrativi: in particolare, ai pareri legali, Altalex, 2011, consultabile al seguente U.R.L.: https://www.altalex.com/documents/news/2011/01/25/l-accesso-ai-documenti-amministrativi-in-particolare-ai-pareri-legali#_ftn15
Per quanto concerne, invece, le pronunce giurisdizionali, si rinvia (oltre che a quelle sopra menzionate) a T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 6 giugno 2008, n. 757; T.A.R. Lazio, sez. III del 27 agosto 2008, n. 7930; T.A.R. Sardegna, sez. II, 26 gennaio 2007, n. 38; Cons. St., sez. V, 15 aprile 2004, n. 2163; Cons. St., sez. IV, 13 ottobre 2003, n. 6200; Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893; Cons. St., sez. V, 26 settembre 2000, n. 5105; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 12 dicembre 2003, n. 5804; T.A.R. Lazio, sez. III, 15 ottobre 2003, n. 8466; T.A.R. Sardegna, 24 luglio 2003, n. 893; T.A.R. Trento, 27 gennaio 2003, n. 39; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 23 gennaio 2003, n. 386; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 30 gennaio 2001, n. 13; T.A.R. Lazio, sez. III, 30 settembre 1999, n. 2982.
[23] Tar Sicilia-Catania, sez. II, 18/7/2019 n. 1809.
[24] Si veda, in proposito, quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con sent. n. 39706 del 12/10/2009.
[25] Giannini D., Diritto di accesso: oggetto e casi di esclusione, DeJure, consultabile al seguente U.R.L.: https://www.iusexplorer.it/Publica/FascicoloDossier/Diritto_di_Accesso_oggetto_e%20_casi_di_esclusione/?idDocMaster=3690507
[26] Caringella F., op. cit.
[27] Si veda, in proposito, Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2017, n. 2099, nonché, più recentemente, la sentenza del 20 ottobre 2020, n. 10660, del T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis.
[28] Adottato ai sensi dell’art. 17, co. 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
[29] Per completezza, si precisa che i casi previsti dal comma 6 sono i seguenti:
“a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione;
b) quando l’accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;
c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;
d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;
e) quando i documenti riguardino l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato”.
[30] Caringella F., Manuale di diritto amministrativo, XIII ediz., 2020, 917 ss.
[31] Si veda, in proposito, per completezza, anche quanto previsto dal comma 3 del medesimo articolo: “L’identità del segnalante non può essere rivelata. Nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale. Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Nell’ambito del procedimento disciplinare l’identità del segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità”.
[32] Si veda, altresì, Idone F., Accesso difensivo, chiariti i rapporti con il diritto alla riservatezza, Altalex, consultabile al seguente U.R.L.: https://www.altalex.com/documents/news/2020/10/19/accesso-difensivo