Corte Costituzionale sentenza 30 luglio 2012 n 211
Consiglieri regionali, indennità, aumento, spesa pubblica, illegittimità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Alfonso QUARANTA Presidente
– Franco GALLO Giudice
– Luigi MAZZELLA ”
– Gaetano SILVESTRI ”
– Sabino CASSESE ”
– Giuseppe TESAURO ”
– Paolo Maria NAPOLITANO ”
– Giuseppe FRIGO ”
– Alessandro CRISCUOLO ”
– Paolo GROSSI ”
– Giorgio LATTANZI ”
– Aldo CAROSI ”
– Marta CARTABIA ”
– Sergio MATTARELLA ”
– Mario Rosario MORELLI ”

ha pronunciato la seguente sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 13, 31, 32,
34, comma 5, e 39, comma 1, della legge della Regione
Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di
previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio
pluriennale per il triennio 2011-2013), promosso dal Presidente
del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 30 settembre-4
ottobre 2011, depositato in cancelleria il 7 ottobre 2011 ed
iscritto al n. 118 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;
udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2012 il Giudice
relatore Luigi Mazzella;
uditi l’avvocato dello Stato Attilio Barbieri per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la
Regione Basilicata.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato in cancelleria il 7 ottobre 2011, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento
agli articoli 97, primo comma, e 117 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale degli articoli 13, 31, 32, 34,
comma 5, e 39, comma 1, della legge della Regione Basilicata
4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione
per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il
triennio 2011-2013).
2.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, in
particolare, l’art. 13 della legge impugnata, che sostituisce
l’art. 30, comma 2, della legge Regione Basilicata 30 dicembre
2010, n. 33 (Disposizioni per la formazione del bilancio di
previsione annuale e pluriennale della Regione Basilicata –
legge finanziaria 2011), prevedendo che «gli Enti del Servizio
Sanitario Regionale, nel rispetto delle limitazioni e delle
procedure previste dalla normativa vigente, possono
effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie valide di
pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del
Servizio Sanitario Regionale, previo accordo tra le
amministrazioni interessate», si pone in contrasto con l’articolo
30, comma 2-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche), il quale, per contro, prevede
che «le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento
di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti
vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità
di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria,
all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre
amministrazioni in posizione di comando o di fuori ruolo,
appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano
domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui
prestano servizio» e che il trasferimento «è disposto, nei limiti dei
posti vacanti, con inquadramento nell’area funzionale e
posizione economica corrispondente a quella posseduta
presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può
essere disposto anche se la vacanza sia presente in area
diversa da quella di inquadramento, assicurando la necessaria
neutralità finanziaria».
Pertanto, il legislatore regionale, disponendo in modo non
conforme ai principi sanciti dal d.lgs. n. 165 del 2001, avrebbe
invaso la competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, il quale riserva alla
competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi
i rapporti dl diritto privato regolabili dal codice civile.
3.– Riferisce inoltre il ricorrente che l’art. 31 della legge
impugnata abroga la legge della Regione Basilicata 7 giugno
2011, n. 10 (Modifiche alla L.R. del 3 maggio 2002, n. 16 –
Disciplina generale degli interventi in favore dei lucani
all’estero) e ripristina le disposizioni di cui all’art. 12 della legge
regionale 3 maggio 2002, n. 16 (Disciplina generale degli
interventi in favore dei lucani all’estero), che riconosce al
Presidente della Commissione dei lucani all’estero una
indennità pari al 20 per cento di quella lorda mensile riservata
ai consiglieri regionali, nonché il trattamento riservato ai
dirigenti regionali per le missioni svolte all’estero o in Italia,
prevedendo, per il Presidente ed i membri della Commissione,
il rimborso delle spese di viaggio calcolate nella misura di 1/5
del prezzo al litro della benzina per ogni chilometro percorso
tra il Comune in cui ha sede la Commissione e quello ove si
svolge la missione.
Così disponendo, il legislatore regionale si sarebbe posto in
contrasto con l’art. 6, comma 3, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio
2010, n. 122, in base al quale «a decorrere dal 1° gennaio 2011,
le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità
comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31
dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai
componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli
di amministrazione e organi collegiali comunque denominati
ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono
automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi
risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2013,
gli emolumenti di cui al presente comma non possono
superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come
ridotti ai sensi del presente comma».
In tal modo, la norma regionale censurata determinerebbe la
lesione di un principio fondamentale della legislazione statale
in materia di coordinamento della finanza pubblica cui la
Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non potrebbe
derogare.

4.– Analoga censura, fondata sul contrasto con il già citato art.
6, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010, è proposta in
relazione all’art. 32 della legge impugnata. Tale norma, nel
modificare l’art. 8, comma 3, della legge della Regione
Basilicata 3 maggio 2002, n. 16 (Disciplina generale degli
interventi in favore dei lucani all’estero), prevede che «ai
componenti della Commissione, non consiglieri regionali, per la
partecipazione alle sedute e per le missioni in Italia ed
all’estero, compete il rimborso spese e il trattamento di
missione dei dirigenti regionali. Ai componenti della
Commissione, consiglieri regionali, compete il rimborso spese e
trattamento di missione previsto per i consiglieri regionali».
5.– Allo stesso modo, l’art. 34, comma 5, modificando l’art. 19,
comma 2, della legge regionale 13 aprile 1996, n. 21 (Interventi
a sostegno dei Migranti in Basilicata ed istituzione della
Commissione Regionale dell’Immigrazione), prevede la
sostituzione, in quella norma, dell’espressione «dipendenti della
Regione appartenenti alla qualifica funzionale più elevata», ivi
già contenuta, con le parole «consiglieri regionali», così
stabilendo che il ridetto art. 19, comma 2, della predetta legge
regionale preveda che «al Presidente della Commissione per
missioni in Italia e all’estero compete il rimborso spese o il
trattamento di missione previsto dalla legge per consiglieri
regionali.». Anche in tale modo, il legislatore regionale si
porrebbe in contrasto con il citato art. 6, comma 3, del ridetto
decreto-legge n. 78 del 2010, determinando un’ulteriore,
analoga lesione costituzionale della riserva di legislazione
stabilita dall’art. 117 della Costituzione in materia di
coordinamento della finanza pubblica.
6.– Riferisce, infine, il Presidente del Consiglio dei ministri che
l’art. 39, comma 1, della legge impugnata stabilisce che, ai
sensi della legge Regione Basilicata 7 dicembre 2000, n. 60
(Norme per la stabilizzazione lavorativa dei soggetti impegnati
in progetti di lavori socialmente utili), si possa procedere alla
stabilizzazione dei soggetti impegnati in attività socialmente
utili, già esclusi dalla stabilizzazione operata con il decreto di
Giunta regionale n. 1431 del 25 giugno 2001. Secondo il
ricorrente, l’art. 17, comma 10, del decreto-legge 1° luglio 2009
n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini) non
consente una generica salvaguardia di tutte le stabilizzazioni,
anche se programmate ed autorizzate, ma prevede
specifiche limitazioni, sia per ciò che concerne le modalità di stabilizzazione – sempre attraverso procedure concorsuali – sia
a livello di percentuali di riserva dei posti messi a concorso a
favore degli stabilizzandi.
Pertanto, la disposizione in esame si porrebbe in contrasto con
la vigente normativa nazionale in materia, laddove,
richiamando la legge della Regione Basilicata n. 60 del 2000,
che non si pone in linea con i dettami del ripetuto decreto-

legge n. 78 del 2009, configura una lesione dei principi stabiliti
dall’art. 117 della Costituzione, nell’ottica del coordinamento
della finanza pubblica. Inoltre, in considerazione del notevole
lasso di tempo intercorso dalla precedente stabilizzazione, la
disposizione contrasterebbe anche con i principi di buona
amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, della
Costituzione.
7.– Si è costituita in giudizio la Regione Basilicata ed ha
contestato la fondatezza del ricorso statale.
8.– Quanto all’art. 13 della legge regionale n. 17 del 2011,
secondo la resistente già la precedente formulazione, prima
della modifica censurata, in sostanza, non faceva che attuare
– a livello regionale – un principio già codificato su base statale
dalla legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in
materia di pubblica amministrazione), che, all’art. 9, consente
l’utilizzazione di graduatorie concorsuali di altri enti
appartenenti al medesimo comparto di contrattazione.
La censura di legittimità costituzionale proposta con il ricorso
appare alla Regione, pertanto, infondata, alla luce della ratio
della norma regionale contenuta nell’art. 13, consistente
nell’intento del legislatore regionale di evitare il ricorso
obbligatorio a graduatorie relative a concorsi espletati in data
non recente e, quindi, garantire una migliore selezione dei
soggetti più capaci per la copertura dei posti vacanti negli Enti
del Servizio sanitario Regionale.
Pertanto, secondo la Regione Basilicata, non avendo essa
legiferato in contrasto con la succitata previsione del d.lgs. n.
165 del 2001, non avrebbe invaso le competenze esclusive
dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della
Costituzione.
9.– Quanto agli artt. 31, 32 e 34, comma 5 della legge
regionale censurata, secondo la Regione, anche laddove si
interpreti la violazione del precetto statale quale violazione di
un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei
bilanci pubblici, il ricorso avrebbe comunque mancato di porre la censura in relazione al comma 20 dell’art. 6 del
decreto-legge n. 78 del 2010 – in base al quale le disposizioni
contenute nell’art. 6 sono destinate a valere nei confronti delle
Regioni solo come principi fondamentali in materia di
coordinamento della finanza pubblica – e pertanto, sarebbe,
tardivo e quindi in parte irricevibile.
Inoltre, poiché la legge statale potrebbe stabilire solo un limite
complessivo che lascia agli enti l’ampia libertà di allocazione
delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa, ma non
imporre nel dettaglio gli strumenti concreti per raggiungere
quegli obiettivi, nella fattispecie non ricorrerebbe alcuna
violazione, dato che la Regione Basilicata, con precedente
legge regionale 5 agosto 2010, n. 28 (Assestamento del
bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2010 e del
bilancio pluriennale 2010-2012), aveva già proceduto ad
uniformarsi alla richiamata normativa nazionale sul risparmio e,
con l’art. 12 di tale legge regionale, era già stata prevista la
riduzione del 10 per cento dell’indennità di carica dei
consiglieri regionali e disposta la riduzione in egual misura di
tutte le indennità spettanti ai nominati e designati in enti,
aziende, società regionali, organismi e cariche di competenza
della Regione Basilicata determinate ai sensi della vigente
legislazione con riferimento a quella dei consiglieri regionali.
Dunque, secondo la Regione Basilicata, l’indennità
riconosciuta al Presidente della Commissione dei Lucani
all’estero (pari al 20 per cento dell’indennità lorda mensile del
consigliere regionale) già risentirebbe della riduzione del 10 per
cento prevista dal predetto art. 12 della legge regionale n. 28
del 2010.
In ordine alle prescrizioni che riguardano i componenti della
Commissione, non ci sarebbe la prova che con esse sia stato
operato un aumento di spesa in quanto, trattandosi di un
organismo di consulenza che opera a stretto contatto con la
Giunta regionale e presso la sua sede istituzionale, lo
spostamento fuori sede è pressoché irrisorio. Il rimborso spese,
inoltre, non rientrerebbe nella tipologia dei trattamenti
economici indicati all’art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 78
del 2010.
10.– Quanto all’art. 39, comma 1, della legge regionale n. 17
del 2011, tale norma si riferirebbe ad un caso particolare in cui
viene richiamato un diritto alla stabilizzazione già ben definito
ed individuato a data certa, per cui sarebbe quantomeno dubbio che ricorra la violazione dell’art. 17, comma 10, del
decreto-legge n. 78 del 2009.

Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, con riferimento
agli articoli 97, primo comma, e 117, terzo comma, della
Costituzione, della legittimità costituzionale degli articoli 13, 31,
32, 34, comma 5, e 39, comma 1, della legge della Regione
Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di
previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio
pluriennale per il triennio 2011-2013).
1.1.– Con la prima delle norme regionali censurate, l’art. 13
della legge della Regione Basilicata n. 17 del 4 agosto 2011, il
legislatore regionale è intervenuto su una previgente norma
regionale, contenuta nell’art. 30, comma 2, della legge della
Regione Basilicata 30 dicembre 2010, n. 33 (Disposizioni per la
formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale
della Regione Basilicata – legge finanziaria 2011).
Quest’ultima prevedeva, per il reclutamento del personale
degli enti del servizio sanitario regionale, il ricorso obbligatorio
alle procedure di mobilità, e, solo successivamente a tale
ricorso, l’obbligatoria utilizzazione delle graduatorie di
procedure concorsuali precedentemente espletate, anche, su
base regionale, da altre amministrazioni del Servizio Sanitario
regionale.
Tale disposizione ricalcava quanto disposto, a livello di
legislazione statale, dall’art. 30, comma 2-bis, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), che esplicitamente prevede che
«le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di
procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti
vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità
di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria,
all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre
amministrazioni in posizione di comando o di fuori ruolo,
appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano
domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui
prestano servizio» e che il trasferimento «è disposto, nei limiti dei
posti vacanti, con inquadramento nell’area funzionale e
posizione economica corrispondente a quella posseduta
presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area
diversa da quella di inquadramento, assicurando la necessaria
neutralità finanziaria».
L’originaria disposizione regionale, dunque, per effetto della
censurata riforma, prevede oggi, più genericamente, che «gli
Enti del Servizio Sanitario Regionale, nel rispetto delle limitazioni
e delle procedure previste dalla normativa vigente, possono
effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie valide di
pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del S.S.R.,
previo accordo tra le amministrazioni interessate».
Secondo il ricorrente, la disposizione regionale, nella
formulazione vigente per effetto della contestata novella, non
riproducendo in modo pedissequo il contenuto della
corrispondente disposizione statale, come faceva la
disposizione regionale previgente – nella parte in cui
esplicitamente prevedeva il previo ricorso obbligatorio alle
procedure di mobilità – determinerebbe una deroga alla
predetta norma statale.
Tale disciplina delle diverse forme di reclutamento
normativamente imposte (mobilità, scorrimento delle
graduatorie di precedenti concorsi e nuovo concorso),
secondo il ricorrente, divergerebbe da quella dettata dalla
normativa statale e, vertendo in materia di ordinamento civile,
esulerebbe dalla competenza legislativa regionale.
1.2.– Gli artt. 31, 32 e 34, comma 5, della legge regionale n. 17
del 2011, contengono disposizioni in varia misura incidenti su
indennità, compensi, rimborsi di due enti regionali: la
Commissione dei lucani all’estero e la Commissione Regionale
all’immigrazione. Tali norme regionali vengono impugnate in
quanto contrastanti con gli obiettivi di contenimento della
spesa pubblica contenuti nell’art. 6 del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio
2010, n. 122, costituenti, secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, principio fondamentale in materia di coordinamento
della finanza pubblica.
1.2.1.– In particolare, l’art. 31, ripristinando le disposizioni di cui
all’art. 12 della legge della Regione Basilicata 3 maggio 2002,
n. 16 (Disciplina generale degli interventi in favore dei lucani
all’estero), reintroduce, per il Presidente della “Commissione
dei lucani all’estero”, una indennità pari al 20 per cento di quella lorda mensile riservata ai consiglieri regionali, nonché il
trattamento riservato ai consiglieri regionali medesimi per le
missioni svolte all’estero o in Italia, trattamenti che erano stati
precedentemente abrogati da precedente legge regionale.
Analogamente, sempre per il Presidente ed i membri della
Commissione, essa ripristina il rimborso delle spese di viaggio
(calcolate nella misura di 1/5 del prezzo al litro della benzina
per ogni chilometro percorso tra il Comune in cui ha sede la
Commissione e quello ove si svolge la missione).
1.2.2.– L’art. 32 della legge impugnata, a sua volta, ha
modificato il comma 3 dell’art. 8 della legge predetta
regionale n. 16 del 2002, prevedendo che, mentre «a
componenti della Commissione, non consiglieri regionali, per la
partecipazione alle sedute e per le missioni in Italia ed
all’estero, compete il rimborso spese e il trattamento di
missione dei dirigenti regionali […]. Ai componenti della
Commissione, consiglieri regionali, compete il rimborso spese e
trattamento di missione previsto per i consiglieri regionali». La
norma dunque stabilisce che, per i componenti che siano
anche Consiglieri regionali, il rimborso spese e il trattamento di
missione non sia pari a quello dei dirigenti regionali, ma sia pari
a quello previsto per l’attività degli stessi componenti quali
consiglieri regionali.
1.2.3.– L’art. 34, comma 5, nel modificare l’art. 19, comma 2,
della legge regionale 13 aprile 1996, n. 21 (Interventi a
sostegno dei Migranti in Basilicata ed istituzione della
Commissione Regionale dell’Immigrazione), dispone la
sostituzione, in quella norma, dell’espressione «dipendenti della
Regione appartenenti alla qualifica funzionale più elevata», ivi
già contenuta, con le parole «consiglieri regionali». Di
conseguenza, l’art. 19, comma 2, della legge regionale n. 21
del 1996, prevede che «al Presidente della Commissione per
missioni in Italia e all’estero compete il rimborso spese o il
trattamento di missione previsto dalla legge per i consiglieri
regionali».
Il ricorrente reputa che tutte le descritte disposizioni si pongano
in contrasto con il principio fondamentale della legislazione
statale in materia di coordinamento della finanza pubblica di
cui all’art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010,
norma in forza della quale «a decorrere dal 1° gennaio 2011, le
indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità
comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31
dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai
componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli
di amministrazione e organi collegiali comunque denominati
ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono
automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi
risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2013,
gli emolumenti di cui al presente comma non possono
superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come
ridotti ai sensi del presente comma».
1.3.– L’art. 39, infine, dà attuazione ad una stabilizzazione senza
concorso di lavoratori socialmente utili, già programmata in
precedenza dalla legge della Regione Basilicata 7 dicembre
2000, n. 60 (Norme per la stabilizzazione lavorativa dei soggetti
impegnati in progetti di lavori socialmente utili). La norma
viene denunciata perché, vertendo in materia di
coordinamento della finanza pubblica, si porrebbe in
contrasto con il principio fondamentale della legislazione
statale, dettato dall’art. 17, comma 10, del decreto-legge 1°
luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di
termini), che vieta le stabilizzazioni ancorché programmate,
nonché con il principio del buon andamento della pubblica
amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
2.– La questione relativa all’art. 13 della legge della Regione
Basilicata n. 17 del 2011 non è fondata. Essa è basata su una
erronea interpretazione della predetta norma regionale.
Diversamente da quanto asserito dal Presidente del Consiglio
dei ministri, deve ritenersi che la legge regionale prescriva il
ricorso obbligatorio alle procedure di mobilità disciplinate
dall’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, prima che si
possa procedere all’utilizzazione delle graduatorie degli altri
concorsi, precedentemente espletati, o, in mancanza, indirne
di nuovi.
La volontà del legislatore regionale di far salvo il rispetto di tale
obbligo è desumibile non solo dall’assenza, nella norma
regionale, di una qualsiasi espressione che autorizzi una
deroga al principio, ma anche, e soprattutto, dall’esplicita
clausola di salvaguardia contenuta in essa, laddove si
prescrive che il ricorso agli altri meccanismi di reclutamento ivi
esplicitamente previsti debba avvenire «nel rispetto delle
limitazioni e delle procedure previste dalla normativa vigente».
Questa espressione, sia per il significato lessicale, sia per la collocazione sistematica, è riferita, con evidenza, alle
procedure di mobilità previste dalla citata disposizione di
legge statale che, dunque, devono ritenersi, anche nella
vigente formulazione della norma, tuttora obbligatorie.
3.– Le questioni, relative agli artt. 31, 32 e 34, comma 5, della
legge regionale censurata, sono invece fondate. Sussiste il
denunciato contrasto con gli obiettivi di contenimento e
riduzione della spesa pubblica perseguiti dal legislatore statale
con l’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, che costituisce
espressione di un principio fondamentale della finanza
pubblica.
Le censurate disposizioni regionali, ben lungi dall’imporre,
come richiesto dalla disposizione statale richiamata, dei tagli
alla spesa regionale, comportano tutte un sensibile incremento
in un aggregato di spesa particolare, quello relativo alle
indennità (anche di missione), ai compensi e ai rimborsi dei
dipendenti di due enti regionali che ricevono contributi a
carico delle finanze pubbliche (La “Commissione per i lucani
all’estero” e la “Commissione per missioni in Italia e all’estero”),
o mediante l’innalzamento ex novo di compensi e rimborsi per
l’attività dei due organismi collegiali, o attraverso il ripristino di
previgenti disposizioni, soppresse proprio nell’intento di
abbatterne i costi di funzionamento.
Il contrasto con le disposizioni contenute nel citato art. 6 del
decreto-legge n. 78 del 2010 è di tutta evidenza. Il comma 3 di
tale norma dispone che «le indennità, i compensi, i gettoni, le
retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti
dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità
indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e
controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali
comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo,
sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli
importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31
dicembre 2013, gli emolumenti di cui al presente comma non
possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile
2010, come ridotti ai sensi del presente comma».
In proposito questa Corte ha affermato (sentenze n. 182 del
2011 e n. 139 del 2012) che «può considerarsi espressione di un
principio fondamentale della finanza pubblica» la disposizione
che stabilisce «rispetto a specifiche voci di spesa, limiti puntuali
che […] vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite complessivo di
spesa». Ed, in particolare, con specifico riferimento al comma
3, che l’obbligo di riduzione delle spese per il personale ivi
elencate nella misura del 10 per cento, e di mantenere le
stesse ferme fino al 2013, costituisce principio fondamentale
nel senso di limite globale, complessivo, al punto che ciascuna
Regione deve ritenersi libera di darvi attuazione, nelle varie
leggi di spesa, relativamente ai diversi comparti, in modo
graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari
a quello indicato nella legge statale. Nel caso in esame, pur
ammettendo, per il carattere di globalità enunciato da questa
Corte, attuazioni gradate e differenziate nel quantum della
riduzione da parte delle diverse leggi regionali di spesa, non è
tollerabile alcuna deroga rispetto all’an della riduzione.
Le disposizioni della legge regionale censurata, più che
lasciare del tutto inalterate le spese, ne determinano,
addirittura, un aumento. Esse vanno oltre i margini di
discrezionalità del legislatore regionale e finiscono per porsi in
contrasto con il nucleo stesso del principio statale, che mira ad
una diminuzione della spesa per il personale. Le disposizioni
impugnate, in altre parole, sono intrinsecamente lesive non
solo dell’obiettivo di abbattimento della spesa pubblica
regionale, ma direttamente di quello, minimale, di
contenimento della stessa.
D’altra parte, le norme regionali censurate si pongono, in
modo evidente, in contrasto con un’altra disposizione del
citato art. 6, comma 2, in base alla quale la partecipazione in
organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che
comunque ricevono contributi a carico delle finanze
pubbliche, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è
onorifica e può dar luogo solo al rimborso delle spese
sostenute ove previsto dalla normativa vigente. Tale
disposizione non è stata esplicitamente richiamata dal
ricorrente. Essa, però, insieme a quella contenuta nel comma
3, rappresenta l’espressione di un unico principio
fondamentale che persegue il contenimento della spesa di
funzionamento degli enti pubblici regionali.
4.– La questione relativa all’art. 39 della legge regionale
censurata è fondata, con riferimento ad entrambi i parametri
invocati.
La norma regionale dispone, sulla base di un’altra legge
regionale che l’avrebbe già autorizzata (la legge della

Regione Basilicata 7 dicembre 2000, n. 60, recante «Norme per
la stabilizzazione lavorativa dei soggetti impegnati in progetti di
lavori socialmente utili»), la stabilizzazione di lavoratori
socialmente utili che erano stati esclusi da tale beneficio in
forza di una precedente delibera della Giunta regionale.
La legge regionale che aveva autorizzato la stabilizzazione di
cui all’art. 39, però, era stata travolta dalla successiva entrata
in vigore del decreto-legge n. 78 del 2009 che, all’art. 17,
comma 10, prevedeva specifiche limitazioni all’effettuazione di
assunzioni senza concorso, sia per ciò che concerne le
modalità di stabilizzazione – sempre attraverso procedure
concorsuali – sia a livello di percentuali di riserva dei posti messi
a concorso a favore degli stabilizzandi.
Con riferimento ad un’analoga disposizione regionale, relativa
alla Regione Calabria, questa Corte (sentenza n. 310 del 2011)
ha già dichiarato l’illegittimità della proroga, contemplata da
tale disposizione, del termine dei piani di stabilizzazione
occupazionale dei lavoratori contenuti in precedenti leggi
regionali.
La disposizione in esame, dando attuazione, successivamente
al regime dettato dall’art. 17, comma 10, del decreto-legge n.
78 del 2009, ad una stabilizzazione da precedente legge
regionale, si pone in contrasto con la vigente normativa
nazionale in materia e configura una lesione dei principi di cui
all’art. 117, terzo comma, della Costituzione (coordinamento
della finanza pubblica).
Tale stabilizzazione, inoltre, per taluni lavoratori, realizza una
forma di assunzione riservata, senza predeterminazione di
criteri selettivi di tipo concorsuale ed esclude o riduce
irragionevolmente la possibilità di accesso al lavoro
dall’esterno e viola, come questa Corte ha reiteratamente
affermato (ex plurimis, sentenze nn. 108 e 127 del 2011) il
principio del pubblico concorso e quello di buona
amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, della
Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 31, 32, 34,
comma 5, e 39, comma 1, della legge della Regione Basilicata
4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il
triennio 2011-2013);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 13 della legge della Regione
Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di
previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio
pluriennale per il triennio 2011-2013), promossa, in riferimento
all’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione,
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2012.

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