Consiglio di Stato sezione V sentenza 17 maggio 2012 n 2823
Sindaco, elezioni, cifre elettorali, voti validi, premio elettorale, conteggio totale

La quinta sezione
(Presidente Baccarini – Relatore Buricelli)
Fatto e diritto
1.- Il 15 e il 16 maggio 2011 si sono svolte le elezioni per il rinnovo della carica di Sindaco e del
Consiglio comunale di Cagliari, Comune con più di 15.000 abitanti.
Riguardo all’elezione del Sindaco, al primo turno il totale dei voti validi espressi è stato di
92.893 voti.
I due candidati alla carica di Sindaco maggiormente votati sono stati M. Z. (con 41.895 voti
conseguiti) e M. F. (con 41.575 voti ottenuti): non avendo nessuno dei due conseguito la
maggioranza assoluta dei voti validi, entrambi sono stati ammessi al turno di ballottaggio,
svoltosi il 29 e il 30 maggio 2011.
All’esito del ballottaggio, M. Z. è stato proclamato Sindaco di Cagliari.
Riguardo all’elezione dei consiglieri comunali, il totale dei voti validi di lista o dei gruppi di
liste collegate riportati in tutte le sezioni del Comune è stato di 84.714.
A seguito del turno di ballottaggio per l’elezione del Sindaco, in sede di ripartizione dei 40
seggi di cui è composto il Consiglio comunale di Cagliari, l’Ufficio centrale elettorale, ritenendo
sussistenti i presupposti, ha assegnato alle liste collegate al Sindaco eletto M. Z. il c.d. premio
di maggioranza previsto dall’art. 73, comma 10, del d.lgs. n. 267 del 2000 il quale, per quanto
qui più interessa, dispone che «qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato
eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già
conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene
assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste
collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi».
Alle liste collegate al Sindaco eletto Z. sono stati, pertanto, attribuiti 24 dei 40 seggi del
Consiglio, pari al 60% del totale.
2.- Con il ricorso al TAR Sardegna n. 587/11 i ricorrenti –odierni appellanti- , cittadini elettori
del Comune di Cagliari, hanno contestato l’attribuzione del premio di maggioranza alle liste
collegate al Sindaco eletto Z., e l’assegnazione di 24 seggi del Consiglio comunale alle liste
collegate al Sindaco stesso, disposte sull’assunto –erroneo, per i ricorrenti- che le liste
collegate al candidato Sindaco non eletto, M. F., non avessero superato, al primo turno, il 50%
dei voti validi.
I ricorrenti, nel dedurre «violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 10, del d.lgs. n.
267/2000», hanno sostenuto che l’Ufficio elettorale, nell’applicare la norma suindicata,
avrebbe errato nell’attribuire il premio di maggioranza alle liste collegate con il candidato
Sindaco eletto Z., atteso che le liste collegate al candidato Sindaco non eletto F. avevano già
ottenuto al primo turno elettorale il 53,44% dei “voti validi” di lista: pertanto, alle liste
collegate al candidato Sindaco risultato eletto non poteva essere attribuito il premio di
maggioranza, in quanto il citato art. 73 comma 10 nega tale premio proprio nel caso in cui
altre liste abbiano già superato al primo turno il 50% dei “voti validi”, dovendo l’espressione
“voti validi” essere interpretata nel senso che la base di calcolo comprende soltanto i voti
validi di lista e non si estende ai voti espressi singolarmente a favore dei candidati sindaci
senza espressione del voto di lista, in esplicazione del c.d. voto disgiunto.
Di conseguenza, alle liste collegate al candidato Sindaco eletto sarebbero stati assegnati, in
danno delle liste collegate al candidato Sindaco non eletto, più seggi di quelli spettanti in base
ai risultati dalla competizione elettorale mentre, nella specie, avrebbe dovuto trovare
applicazione non già il comma 10, ma il comma 8 del citato art. 73, a norma del quale
l’attribuzione dei seggi deve avvenire in proporzione ai voti ottenuti dalle liste al primo turno.
Più precisamente, l’Ufficio elettorale avrebbe errato nell’attribuire il premio di maggioranza di
cui all’art. 73, comma 10, del decreto n. 267/00 alle liste collegate al candidato Sindaco eletto
al secondo turno, in quanto, al momento di calcolare la percentuale di voti validi conseguita
dalle liste collegate al candidato Sindaco non eletto, ha considerato non già i voti validi di lista
(84.714) complessivamente ottenuti dalle liste concorrenti alla competizione elettorale, valore rispetto al quale i voti conseguiti dalle liste collegate al candidato Sindaco F. sarebbero stati
pari al 53,44% dei voti validi, bensì i voti validi complessivamente conseguiti al primo turno dai
candidati alla carica di Sindaco (92.893), valore rispetto al quale le liste collegate al candidato
Sindaco F. si sarebbero assestate solo al 48,37 del totale, ossia sotto la soglia del 50 % dei “voti
validi” di cui al citato art. 73, comma 10.
Tale “modus procedendi”, a parere dei ricorrenti, oltre a confliggere con la formulazione
letterale dell’art. 73, comma 10, cit., sarebbe errato poiché svilirebbe il principio del c. d.
voto disgiunto, di cui all’art. 72, comma 3, del d.lgs. n. 267/00, il quale esprime la volontà del
Legislatore di consentire la possibile separazione tra il voto per il governo del Comune e quello
per la rappresentanza consiliare, attraverso l’elezione di consiglieri appartenenti a liste che
possono essere anche in opposizione al Sindaco; con la conseguenza che ai fini del calcolo della
percentuale del 50% “dei voti validi” prevista dall’art. 73, comma 10, cit. ai fini
dell’attribuzione, o meno, del premio di maggioranza, occorre riferirsi non a tutti i voti validi
ma ai soli voti validi attribuiti alle liste.
I voti attribuiti solo al candidato Sindaco, senza tracciare contestualmente alcun segno sul
contrassegno di qualsivoglia lista, collegata o meno con il candidato Sindaco stesso, benché
validi ai fini dell’elezione del Sindaco, non comportando alcuna attribuzione di voto ad alcuna
delle liste in competizione, non potrebbero essere conteggiati ai fini del superamento, da
parte di ciascuna lista, o gruppo di liste, della soglia del 50% dei voti validi.
Al contrario, per calcolare il superamento della soglia anzidetta si dovrebbe tenere conto dei
soli voti validi attribuiti alle liste.
Le argomentazioni dei ricorrenti si sono quindi sviluppate con l’analisi critica della sentenza
della quinta Sezione del Consiglio di Stato n. 3022 del 2 marzo 2010, posta dell’Ufficio centrale
a fondamento delle modalità seguite per l’attribuzione del contestato premio di maggioranza,
sia là dove la decisione valorizza il dato legislativo letterale, con particolare riguardo al
criterio della costanza terminologica del Legislatore nell’àmbito di uno stesso testo normativo
(v. p. 3.1. sent.), sia là dove il Consiglio di Stato fa leva su argomentazioni di natura logico-

sistematica e teleologica (v. pp. 3.2. e 3.3. sent.) imperniate sul principio maggioritario che
informa la disciplina in materia di elezioni comunali disegnata con il decreto n. 267 del 2000
(sia pure con una diversa intensità: come regola generale nei comuni fino a 15.000 abitanti, in
modo attenuato nei comuni al di sopra dei 15.000 abitanti), dovendosi porre in risalto
l’esigenza di garantire la governabilità del Comune, derogabile in favore del sistema
proporzionale “in omaggio all’opposto e recessivo principio di garantire la rappresentatività del
voto espresso nell’elezione dei consiglieri comunali”, nella sola ipotesi delineata dal citato art.
73, comma 10.
In via subordinata alle censure proposte i ricorrenti hanno chiesto al TAR, in quanto rilevante e
non manifestamente infondata, di sollevare questione di legittimità costituzionale, per
contrasto con gli articoli 1 e 48 Cost., dell’art. 73, comma 10, del d.lgs. n. 267/2000 nella
parte riferita alla locuzione “il 50 per cento dei voti validi” come interpretata dal diritto
vivente.
Con la sentenza impugnata il TAR Sardegna, a sostegno della decisione di rigetto del ricorso, ha
sintetizzato, condividendole, le ampie argomentazioni addotte da questa Sezione con la
sentenza n. 3022 del 2010, pronunciata su una “analoga questione”, aggiungendo argomenti
autonomi e giudicando le deduzioni esposte dai ricorrenti a confutazione insufficienti per
indurre il Giudice di primo grado a discostarsi dall’orientamento del Giudice d’appello (v.
pagine da 11 a 17 sent.) . Il TAR ha, quindi (v. pagine da 18 a 20 sent.) ritenuto
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti, in
riferimento al principio della sovranità popolare di cui all’art. 1, comma 2, Cost., e al principio
di uguaglianza del voto, di cui all’art. 48, comma 2, Cost.
3.- Nel ricorso in appello gli appellanti hanno:
-valorizzato l’elemento del voto disgiunto in applicazione del principio della libertà di voto ex
art. 48, comma 2, Cost. , osservando che l’interpretazione normativa seguita dall’Ufficio
centrale elettorale svilisce il diritto di voto disgiunto previsto dall’art. 72, comma 3 del TUEL;
-sottolineato che il voto per il Sindaco e quello per il Consiglio comunale hanno finalità ben
distinte: da un lato, la scelta del governo dell’ente; dall’altro, il mandato per la
rappresentanza consiliare, con la conseguenza che, per effetto del voto disgiunto, ben può
accadere che in Consiglio vi sia una maggioranza contrapposta al Sindaco (In Italia il termine
“Anatra zoppa” è usato[ nel gergo giornalistico e politico anche per indicare quei rari casi in cui un Sindaco, pur eletto a maggioranza, si trova a “convivere” con un Consiglio comunale la
cui maggioranza è rappresentata da liste che avevano sostenuto un diverso candidato a
sindaco);
-ribadito che se una lista, o una serie di liste tra loro collegate riuscisse a ottenere, in virtù del
voto disgiunto, la fiducia maggioritaria del corpo elettorale, al punto da arrivare a un consenso
superiore al 50 % dei voti, avrebbe il diritto di essere maggioranza in seno all’organo
rappresentativo, come stabilito dall’art. 73, comma 10 cit. dovendosi, nella ipotesi di
asimmetria tra voto per il Sindaco e voto per la rappresentanza in Consiglio, applicare l’art.
73, comma 10, nella parte in cui prevede che la distribuzione dei seggi consiliari avviene con
formula elettorale proporzionale, senza nessuna assegnazione di premi di maggioranza;
-confutato le argomentazioni esposte da Cons. St., V, n. 3022/10 e riproposto i motivi del
ricorso di primo grado evidenziando in particolare che:
-la base di calcolo (il c. d. “montante” ) della “cifra elettorale complessiva” andrebbe usata
solo nelle fattispecie, assai rare, di cui all’art. 72, commi 5 e 9, del TUEL, con riferimento alla
elezione del Sindaco e non alla distribuzione dei seggi consiliari;
-l’espressione “voti validi”, impiegata nell’art. 73, con riferimento alla assegnazione dei seggi
del Consiglio, va intesa come “voti validamente espressi, privi di vizi di irregolarità”, e va
riferita alla lista o al gruppo di liste collegate. La locuzione “voti validi”, di cui all’art. 73,
comma 7, sulla clausola di sbarramento del 3 % -aggiungono gli appellanti- riguarda i voti
riportati nel primo turno dalle liste o dai gruppi di liste;
-dubitato che governabilità e stabilità siano valori fondamentali e assoluti (cfr. C. cost. n.
107/96);
-dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 73, comma 10, del d. lgs. n. 267/00 nella
parte in cui si riferisce al “50 per cento dei voti validi”; norma che secondo l’interpretazione
“restrittiva” del diritto vivente deve intendersi riferita ai voti espressi nel complesso dagli
elettori anziché ai voti validamente espressi in favore della lista o delle liste tra loro collegate,
in riferimento agli articoli 1, comma 2, sulla sovranità popolare, e 48, comma 2, sull’esercizio
del voto quale diritto costituzionale alla rappresentanza, della Costituzione.
Comune e controinteressati si sono costituiti e hanno controdedotto in modo ampio,
concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
4.- L’appello è infondato e va respinto. Le statuizioni della sentenza impugnata – che in larga
misura sintetizzano le condivisibili argomentazioni svolte da questa Sezione, con la decisione n.
3022 del 2010, emessa su una controversia relativa a una questione di diritto pressoché
identica a quella per cui oggi è causa- resistono a fronte dei motivi d’appello proposti.
Anzitutto, come affermato dalla Sezione con la più volte menzionata sentenza n. 3022/10 (si
vedano i punti da 3.1. a 3.3.), di rigetto dell’appello presentato avverso TAR Piemonte, II, n.
2316/09, con argomenti che questo Collegio fa propri: sul piano letterale il Legislatore,
laddove nell’ambito del testo normativo in esame ha voluto riferirsi ai soli voti di lista, ha
usato l’espressione “cifra elettorale” (v., ad es., il comma 5 dell’art. 73: “La cifra elettorale di
una lista è costituita dalla somma dei voti validi riportati dalla lista stessa in tutte le sezioni
del comune”), anche ai fini del calcolo dei seggi da attribuire alle singole liste o gruppi di liste
collegate (v. comma 8 dell’art. 73); laddove, invece, ha inteso riferirsi, quale base di calcolo di
una percentuale, alla totalità dei voti espressi, compresi quelli per l’elezione alla carica di
sindaco, ha usato l’espressione “voti validi”, assumendo a questo riguardo particolare rilevanza
l’art. 72, comma 9, sull’elezione del sindaco nei comuni con popolazione superiore a 15.000
abitanti, secondo cui “dopo il secondo turno è proclamato eletto sindaco il candidato che ha
ottenuto il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco
il candidato collegato, ai sensi del comma 7, con la lista o il gruppo di liste per l’elezione del
consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra
elettorale, è proclamato eletto sindaco il candidato più anziano d’età”.
Con riguardo a specifiche argomentazioni svolte nell’odierno atto di appello vale aggiungere
che il fatto che il citato art. 72, ai commi 5 e 9 (peraltro, la formulazione dell’art. 72, comma
5, non ha formato oggetto di uno specifico scrutinio da parte della Sezione con la sentenza n.
3022/10, né da parte del TAR Sardegna), nel riferirsi alla cifra elettorale complessiva, abbia
riguardo a fattispecie assai rare, quasi casi di scuola; a ipotesi eccezionali e straordinarie, non
toglie peso alla correttezza della operazione ermeneutica eseguita dalla Sezione con la dec. n.
3022/10 e dal TAR Sardegna con la sentenza impugnata. Inoltre il richiamo, fatto dagli appellanti, alla locuzione “voti validi”, di cui all’art. 73, comma 7, da intendersi riferita ai voti
riportati al primo turno dalle liste o dai gruppi di liste concorrenti, non vale a corroborare la
tesi di fondo degli appellanti stessi atteso che la norma di cui all’art. 73, comma 7, opera su un
piano distinto rispetto a quello dell’art. 73, comma 10: quest’ultima disposizione attiene
infatti alla operazione, logicamente precedente, della assegnazione del premio di
maggioranza; l’art. 73 comma 7, invece, ha riguardo alla concreta distribuzione dei seggi, di
per sé, senza alcuna correlazione con l’elezione del Sindaco.
In applicazione del criterio della costanza terminologica del linguaggio legislativo, nell’ambito
di uno stesso testo normativo, qualora il Legislatore avesse voluto riferirsi alla diversa base di
calcolo dei soli voti validi di lista –come preteso dagli appellanti- “avrebbe fatto ricorso alla
diversa ed univoca locuzione “50 per cento delle cifre elettorali complessive”, impiegata nel
precedente articolo di legge nella disciplina dell’elezione del sindaco nella stessa categoria di
comuni (o a espressione equipollente come, ad es., voti validi delle liste –n. d. est.) mentre,
usando la locuzione “50 per cento dei voti validi”, deve ritenersi che abbia inteso riferirsi alla
maggioranza assoluta della totalità dei voti validi, anche di quelli espressi per il candidato
sindaco (in coerenza con le stesse, identiche parole usate negli artt. 71, comma 10, e 72,
comma 4, nonché, per le lezioni provinciali, nell’art. 74, commi 6 e 11, dello stesso testo
legislativo)” (così Cons. St., V, 3022/10).
Sul piano logico –sistematico:
-il sistema elettorale comunale è imperniato sul principio maggioritario e sulla elezione del
Sindaco a suffragio universale e diretto, contestualmente alla elezione del Consiglio comunale.
L’elezione dei consiglieri comunali non ha carattere autonomo e svincolato dall’elezione del
Sindaco, essendo invece strettamente collegata a questa. La legge tende a garantire al Sindaco
anche una salda maggioranza consiliare. E’ in tale contesto che va inserito il voto disgiunto. Il
fatto che il voto disgiunto possa determinare, in ipotesi oggettivamente marginali, una
maggioranza consiliare contrapposta al Sindaco eletto non significa che, come affermano gli
appellanti, l’interpretazione da dare all’art. 73, comma 10, sulla assegnazione del premio di
maggioranza, debba essere quella propugnata nell’atto d’appello. Sotto una diversa
angolazione, non si tratta di spingere il principio maggioritario fino al suo limite estremo
(nell’atto di appello si parla, in termini critici, della attribuzione del premio di maggioranza “a
tutti i costi”), in contrasto coi principi costituzionali di cui agli articoli 1, comma 2, e 48,
comma 2 Cost. Si tratta, invece, di coniugare il principio di governabilità dell’Ente con
l’esigenza di rispettare l’effettiva volontà degli elettori. Alla luce della prevalenza della
governabilità sulla rappresentatività va preferita una interpretazione dell’art. 73, comma 10,
che garantisca, appunto, almeno di norma, la governabilità. Il Legislatore del 2000,
nell’esercizio della sua discrezionalità in materia, ha ritenuto di individuare un punto di
equilibrio tra rappresentanza e governabilità, nella disciplina del premio di maggioranza,
“diversamente modulata nei comuni a popolazione rispettivamente inferiore o superiore ai
15.000 abitanti e, nell’ambito di questi ultimi, ulteriormente differenziata a seconda che si
tratti di garantire la governabilità del comune guidato da un sindaco “forte” o “debole” –

rafforzandone l’operatività in quest’ultima ipotesi – “ (così, ancora CdS 3022/10), prevedendo
una deroga alla attribuzione del premio di maggioranza –e alla regola del principio
maggioritario- in favore del sistema proporzionale nel solo caso in cui le liste diverse da quelle
collegate al candidato eletto sindaco abbiano superato il 50% dei voti validi (nel primo turno,
non essendoci più spazio per i voti di lista nel secondo turno; dovendo in questa ipotesi la
governabilità “arretrare di un passo” a favore della rappresentatività e del principio
proporzionale qualora le liste o i gruppi di liste che hanno sostenuto un Sindaco, poi non
risultato eletto nel primo turno, abbiano raggiunto e superato un numero di voti validi –il 50 %,
appunto, ex art. 73, comma 10- idoneo a dimostrare una effettiva rappresentatività della
maggioranza del corpo elettorale nel suo complesso). Ma anche senza porre in particolare
risalto lo scopo del premio di maggioranza di assicurare la governabilità dell’ente, va condivisa
l’osservazione del TAR secondo cui “solo l’interpretazione prescelta consente di non escludere
dal meccanismo di determinazione di composizione del consiglio comunale il voto di quei
cittadini che, avendo espresso la loro preferenza in favore del solo Sindaco, senza voler affatto
abdicare dalla volontà di partecipare alla determinazione del riparto dei seggi consiliari, hanno
fornito un’indicazione, ancora più marcata, circa la volontà di aderire alla realizzazione del
programma elettorale indicato dal candidato prescelto, con implicita volontà di contribuire alla
realizzazione delle condizioni politico-amministrative più funzionali ad una sua più efficace attuazione. È ben vero, infatti, che il sistema elettorale vigente consente il c.d. voto
disgiunto, e che astrattamente è senz’altro possibile che il Sindaco eletto non disponga in
consiglio comunale di una maggioranza predeterminata, ma tale possibile esito delle operazioni
elettorali non può che trovare ingresso nei casi ed entro i ristretti limiti in cui in cui è stato
previsto dal legislatore, non costituendo esso, comunque, anche in considerazione delle
difficoltà che è inevitabilmente destinato a comportare all’azione politica e amministrativa del
Sindaco eletto, un risultato in vista del quale “forzare” l’interpretazione letterale della norma
fino a porre in non cale il voto validamente espresso da migliaia di cittadini”;
-venendo quindi in rilievo una deroga alla regola del principio maggioritario, “che
tendenzialmente informa il sistema di voto nelle elezioni comunali quale delineato dagli artt.
71, 72 e 73 del d. lgs. n. 267/2000, e trattandosi dunque di norma eccezionale –così, ancora,
Cons. St. n. 3022/10- , la stessa va interpretata in modo restrittivo, sicché anche per tale
ragione s’impone la soluzione ermeneutica” del TAR di rapportare la percentuale del 50% dei
voti validi non solo ai voti di lista ma anche ai voti validi ottenuti dai sindaci nel primo turno,
senza il voto di lista;
-opinando diversamente, vale a dire calcolando la percentuale del 50 % ex art. 73, comma 10,
in favore delle liste collegate al candidato Sindaco non eletto, sul montante costituito dai soli
voti validi di lista, senza considerare anche i voti validamente espressi a favore del (solo)
candidato Sindaco, senza espressione di voto in favore di alcuna lista, “si perverrebbe –così,
ancora, la Sezione, con la sent. n. 3022/10- al risultato assurdo, certamente esulante dalla
“voluntas legis”, di paralizzare l’attribuzione del c.d. premio di maggioranza anche nei casi in
cui solo una minoranza dell’elettorato abbia espresso il voto di lista e la maggioranza si sia
limitata ad esprimere il voto per i candidati alla carica di sindaco. In casi siffatti, sarebbe del
tutto irragionevole controbilanciare la posizione del sindaco, il quale abbia conseguito la
maggioranza assoluta dei voti validi senza il sostegno di una lista o di un gruppo di liste munite
di una maggioranza altrettanto assoluta, con una maggioranza di consiglieri esponenti di liste a
lui antagoniste, in ipotesi espressione di una percentuale dell’elettorato di gran lunga inferiore
alla maggioranza assoluta dei voti validi espressi nell’elezione del sindaco. Solo rapportando “il
50 per cento dei voti validi”, di cui al comma 10 dell’art. 73, al numero complessivo dei voti
espressi nel primo turno, compresi quelli per la sola elezione del sindaco, la norma va
ricondotta a razionalità, in quanto in tal caso soltanto rimane giustificato – nel disegno del
legislatore – il contrappeso della diversa composizione del consiglio comunale quale
espressione rappresentativa di una maggioranza di voti di lista divergente da quella conseguita
dalle liste collegate al sindaco eletto con la maggioranza assoluta dei suffragi” (sull’ulteriore
argomentazione logico –sistematica svolta dalla Sezione si rinvia, anche ai sensi degli articoli
60, 74 e 88/d) del c. p. a. , al p. 3.2. sent. cit. , “in finem”) . Ciò è proprio quanto si è
verificato nel caso in esame, nel quale il candidato Sindaco, poi risultato eletto, M. Z., ha
ottenuto un numero di suffragi “personali”di gran lunga maggiore dei voti della coalizione che
lo sosteneva: anche i voti singolarmente espressi a favore del Sindaco eletto sono espressione
di una “indicazione marcata circa la volontà di aderire alla realizzazione del programma
elettorale del candidato Sindaco prescelto” (v. TAR Sardegna, cit.), indicazione direttamente
manifestata dal corpo elettorale, da non penalizzare negando al Sindaco eletto una
maggioranza in Consiglio che possa permettergli di governare in modo agevole (fatto salvo,
come detto, l’arretramento del “favor” per la governabilità, e il prevalere della
rappresentatività proporzionale, nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 10, secondo
l’interpretazione di questo Consiglio);
-sotto il profilo teleologico, sullo scopo del premio di maggioranza di garantire al Sindaco “un
ampio margine di governabilità” dell’Ente, “che gli consenta di portare agevolmente a termine
il mandato”, “anche nel caso in cui, per effetto del meccanismo del voto disgiunto, il corpo
elettorale si presenti particolarmente frammentato”, si rinvia ancora a Cons. St., V, 3022/10,
p. 3.3. rimarcando che l’ambito di applicazione del correttivo all’attribuzione del premio di
maggioranza va individuato, in stretta aderenza al testo della norma, tenendo conto del
carattere “recessivo” (così CdS 3022/10 cit.) del principio diretto a garantire la
rappresentatività del voto espresso nell’elezione dei consiglieri comunali, e tenendo presente
il valore fondamentale della governabilità degli enti territoriali, desumibile dalla regola
generale del maggioritario individuata dal legislatore quale criterio ispiratore della disciplina
delle elezioni comunali; valore derogabile solo in ipotesi di stretta interpretazione.
Sul richiamo, da parte degli appellanti, alla sentenza della Corte costituzionale n. 107 del

1996, che riguardava una questione diversa da quella odierna –e, precisamente, la conformità a
Costituzione dell’art. 7, comma 6, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del
sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale)
nella parte in cui richiedeva il conseguimento della maggioranza assoluta (con le parole “ma
abbia superato il 50% dei voti validi”) quale condizione per l’attribuzione del 60% dei seggi del
consiglio comunale in favore delle liste o del gruppo di liste collegate al candidato proclamato
sindaco al primo turno, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 48, secondo comma, e 97
della Costituzione-, il TAR Sardegna ha correttamente rammentato che:
– la Corte ha tra l’altro affermato che il principio del voto disgiunto rientra nei possibili modelli
elettorali che il legislatore può, nell’esercizio della sua discrezionalità, disegnare, e che da ciò
deve necessariamente riconoscersi che la governabilità dell’ente locale non è assunta come un
valore assoluto, ma è apprezzata come valore specificamente tutelabile, giustificandosi
l’alterazione del criterio proporzionale nel caso, di maggior allarme, della frammentazione dei
consensi espressi; e che
– la sentenza n. 107/96 non affronta la questione per la quale oggi è causa (vale a dire quella
dell’individuazione del significato dell’inciso voti validi), né afferma che l’ingovernabilità
dell’ente sia un risultato ineludibilmente conseguente all’adozione del sistema del voto
disgiunto, ben potendosi ricavare dalle argomentazioni della Corte (si veda, in particolare, il p.
3. sent. cit.) non solo la conformità a Costituzione ma l’auspicabilità degli interventi legislativi
(intervenuti con la riforma del 2000) finalizzati a garantire una maggiore stabilità politico-

amministrativa dell’ente.
Infine, la questione di legittimità costituzionale riproposta in appello è manifestamente
infondata giacché:
-quanto alla ritenuta violazione del principio di uguaglianza del voto di cui all’art. 48, comma
2, Cost., il citato principio costituzionale si limita a esigere che l’esercizio del diritto di
elettorato attivo avvenga in condizioni di parità, donde il divieto del voto multiplo o plurimo,
ma non anche che il risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettorato sia
proporzionale al numero dei consensi espressi, dipendendo questo invece dal concreto
atteggiarsi delle singole leggi elettorali rimesse, come detto, alla discrezionalità del
legislatore, fermo il controllo sulla ragionevolezza delle scelte fatte. Più nello specifico,
l’alterazione del voto, ipotizzata dagli appellanti con particolare riferimento alla espressione
del voto disgiunto, “sub specie” di compressione del voto medesimo, in base
all’interpretazione fatta propria da questo Consiglio, non sussiste giacché la norma “de qua”,
come interpretata dalla giurisprudenza, non assicura affatto, al candidato Sindaco eletto,
l’attribuzione del premio di maggioranza –e quindi una stabile maggioranza consiliare- “a tutti i
costi” (cfr. pag. 27 ric. app.), essendo la norma nel suo complesso rispettosa del voto
disgiunto;
-quanto al profilo riferito all’affermato contrasto con l’art. 1, comma 2, Cost., l’art. 73,
comma 10, del d.lgs. n. 267/00 non preclude il naturale dispiegarsi della sovranità popolare.
In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza impugnata confermata.
Tuttavia, nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, in base al combinato
disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni
per l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando
sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza
impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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