RAPPORTO TRA RICORSO PRINCIPALE E RICORSO INCIDENTALE.
Consiglio di Giustizia amministrativa della regione Sicilia
Ordinanza del 17 ottobre 2013, n. 848*
IL CGA DELLA REGIONE SICILIA RIMETTE ANCORA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA ALCUNE QUESTIONI SUL RAPPORTO TRA RICORSO PRINCIPALE E RICORSO INCIDENTALE IN MATERIA DI APPALTI PUBBLICI E SUL
VALORE VINCOLANTE DELLE PRONUNCE DELL’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO ANCHE SE CONTRASTANTI CON IL DIRITTO COMUNITARIO.
a cura dell’avv. Federica Guglielmi
Massima
Vanno rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali:
“Formulazione dei quesiti.
D1. – Se i principi dichiarati dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che risulti l’intervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa questo Consiglio risulta di fatto circoscritta soltanto a due imprese;
D2. – se, limitatamente alle questioni suscettibili di essere decise mediante l’applicazione del diritto dell’Unione europea, osti con l’interpretazione di detto diritto e, segnatamente con l’art. 267 TFUE, l’art. 99, comma 3, c.p.a., nella parte in cui tale disposizione processuale stabilisce la vincolatività, per tutte le Sezione e i Collegi del Consiglio di Stato, di ogni principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, anche laddove consti in modo preclaro che detta Adunanza abbia affermato, o possa aver affermato, un principio contrastante o incompatibile con il diritto dell’Unione europea; e, in particolare,
– se la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato investiti della trattazione della causa, laddove dubitino della conformità o compatibilità con il diritto dell’Unione europea di un principio di diritto già enunciato dall’Adunanza plenaria, siano tenuti a rimettere a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso, in ipotesi ancor prima di poter effettuare un rinvio pregiudiziale alla CGUE per accertare la conformità e compatibilità europea del principio di diritto controverso, ovvero se invece la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato possano, o piuttosto debbano, in quanto giudici nazionali di ultima istanza, sollevare autonomamente, quali giudici comuni del diritto dell’Unione europea, una questione pregiudiziale alla CGUE per la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea;
– se – nell’ipotesi in cui la risposta alla domanda posta nel precedente alinea fosse nel senso di riconoscere a ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato il potere/dovere di sollevare direttamente questioni pregiudiziali davanti alla CGUE ovvero, in ogni caso in cui la CGUE si sia comunque espressa, viepiù se successivamente all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, affermando la sussistenza di una difformità, o di una non completa conformità, tra la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea e il principio di diritto interno enunciato dall’Adunanza Plenaria – ogni Sezione e ogni Collegio del Consiglio di Stato, quali giudici comuni di ultima istanza del diritto dell’Unione europea possano o debbano dare immediata applicazione alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea per come interpretato dalla CGUE o se, invece, anche in tali casi siano tenuti a rimettere, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso all’Adunanza plenaria, con l’effetto di demandare all’esclusiva valutazione di quest’ultima, e alla sua discrezionalità giurisdizionale, l’applicazione del diritto dell’Unione europea, già vincolativamente dichiarato dalla CGUE;
– se, infine, un’esegesi del sistema processuale amministrativo della Repubblica italiana nel senso di rimandare all’esclusiva valutazione dell’Adunanza Plenaria l’eventuale decisione in ordine al rinvio pregiudiziale alla CGUE – ovvero anche soltanto la definizione della causa, allorché questa direttamente consegua all’applicazione di principi di diritto eurounitario già declinati dalla CGUE – non sia di ostacolo, oltre che con i principi di ragionevole durata del giudizio e di rapida proposizione di un ricorso in materia di procedure di affidamento degli appalti pubblici, anche con l’esigenza che il diritto dell’Unione europea riceva piena e sollecita attuazione da ogni giudice di ciascuno Stato membro, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione siccome stabilita dalla CGUE, anche ai fini della massima estensione dei principi del cd. “effetto utile” e del primato del diritto dell’Unione europea sul diritto (non solo sostanziale, ma anche processuale) interno del singolo Stato membro (nella specie: sull’art. 99, comma 3, del c.p.a. della Repubblica italiana)”.
Sintesi delle questioni
Con l’ordinanza del CGA della regione Sicilia la Corte di Giustizia è stata chiamata ad esaminare importanti problemi applicativi in ordine ad alcuni principi da essa enunciati in una pronuncia del mese di luglio scorso. In particolare, sono state poste le seguenti questioni interpretative: – in merito alla validità dei principi dichiarati dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, anche con riferimento alla specifica ipotesi oggetto sia del giudizio d’appello pendente dinanzi al CGA sia di quello volto alla soluzione della questione interpretativa mediante rinvio pregiudiziale, nei quali erano soltanto due le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, di guisa che la res controversia è risultata circoscritta a due sole imprese. In sostanza, il CGA chiede alla Corte europea se i suddetti principi siano applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che risulti l’intervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel giudizio;
– se, limitatamente alle questioni suscettibili di essere decise mediante l’applicazione del diritto dell’Unione europea, osti con l’interpretazione di detto diritto e, segnatamente con l’art. 267 TFUE, l’art. 99, comma 3, c.p.a., nella parte in cui tale disposizione processuale stabilisce la vincolatività, per tutte le Sezioni e i Collegi del Consiglio di Stato, di ogni principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, anche se essa abbia affermato, o possa aver affermato, un principio contrastante o incompatibile con il diritto dell’Unione europea. Nello specifico il CGA intende ottenere chiarezza sul valore della funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria e, in particolare, sapere “se la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato investiti della trattazione della causa, laddove dubitino della conformità o compatibilità con il diritto dell’Unione europea di un principio di diritto già enunciato dall’Adunanza Plenaria, siano tenuti a rimettere a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso, in ipotesi ancor prima di poter effettuare un rinvio pregiudiziale alla CGUE per accertare la conformità e compatibilità europea del principio di diritto controverso, ovvero se invece la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato possano, o piuttosto debbano, in quanto giudici nazionali di ultima istanza, sollevare autonomamente, quali giudici comuni del diritto dell’Unione europea, una questione pregiudiziale alla CGUE per la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea”.
Il Consiglio di Giustizia amministratica della regione Sicilia, infatti, dubita che la prima soluzione (cioè la rimessione de plano all’Adunanza Plenaria) possa contrastare, “oltre che con i principi di ragionevole durata del giudizio e di rapida proposizione di un ricorso in materia di procedure di affidamento degli appalti pubblici, anche con l’esigenza che il diritto dell’Unione europea riceva piena e sollecita attuazione da ogni giudice di ciascuno Stato membro, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione siccome stabilita dalla CGUE, anche ai fini della massima estensione dei principi del cd. “effetto utile” e del primato del diritto dell’Unione europea sul diritto (non solo sostanziale, ma anche processuale) interno del singolo Stato membro (nella specie, sull’art. 99, comma 3, del c.p.a. della Repubblica italiana)”.
Le sentenze emesse dalla Corte di Giustizia dell’Unione, infatti, hanno efficacia oltre il giudizio erga omnes (salva la possibilità di sollevare un nuovo ricorso pregiudiziale), secondo il procedimento di cui all’art.267 (già 234) del Trattato UE.
La funzione nomofilattica della Corte di Lussemburgo vale, dunque, a risolvere i dubbi interpretativi sollevati dai giudizi nazionali e si affianca, in tale compito sia alla Corte di Cassazione sia all’Adunanza plenara del Consiglio di Stato che, essendo organi deputati a sollevare le questioni dinanzi alla CGUE, concorrono all’emersione del principio di diritto.
Altri vincoli interpretativi derivano, come noto, anche dalla giurisprudenza della CEDU con riguardo ai diritti umani fondamentali, tenuto conto della riconduzione dei principi della Carta di Nizza, dopo l’entrata in vgore del Trattato di Lisbona, tra le fonti di rango superiore alle norme legislative.
Lo stesso diritto interno, dunque, deve essere interpretato alla stregua dei principi del diritto comunitario, come emergono dalle pronunce della Corte di Giustizia [9].
In ausilio a tale funzione interpretativa vi sono le decisioni dei supremi organi della giustizia ordinaria e amministrativa che hanno un valore esemplare sulla giurisprudenza avvenire, ma che ancora non possiedono l’efficacia vincolante delle sentenze della Corte di Giustizia, almeno sino a quando nel nostro ordinamento non sarà definitivamente introdotta la regola dello stare decisis, regolaverso la quale il diritto processuale amministrativo oggi appare essere solo orientato (art.99, comma 3, c.p.a.).
Peculiarità del caso
La fattispecie concreta, in relazione alla quale è stata resa la sentenza della CGUE del 4 luglio 2013, nella causa C-100/12, riguardava un caso in cui i concorrenti rimasti in gara erano soltanto due e coincidevano dal punto di vista soggettivo, rispettivamente, con il ricorrente principale e con l’aggiudicatario-ricorrente incidentale, aventi ciascuno di mira, in maniera speculare, il risultato di ottenere in via giurisdizionale l’esclusione dell’altro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi di idoneità dell’offerta.
In tale ipotesi era evidente che, in caso di accoglimento di entrambe le contrapposte impugnazioni, la sentenza avrebbe realizzato l’azzeramento della gara che, ove ribandita, avrebbe consentito ad entrambe le parti, come ad ogni altro operatore del settore, di avere l’ulteriore chance di poter ripresentare domanda per la partecipazione alla nuova gara.
Nel caso che ha occupato il Consiglio di Giustizia amministrativa nell’ordinanza n.848/13, invece, la fattispecie concreta risulta in parte differente, poiché le imprese ammesse a partecipare alla procedura della cui legittimità si controverte sono più di due. Inoltre, dal punto di vista processuale e sostanziale (non essendo stata contestata la conformità delle offerte alle specifiche tecniche, ma unicamente la validità delle dichiarazioni relative al possesso di taluni requisiti generale previsti dalla legge italiana per la partecipazione a procedure di affidamento di appalti pubblici) anche questo contenzioso vede contrapposte soltanto due imprese.
Infatti, soltanto dette imprese hanno proposto ricorsi (principali e incidentali) nel primo e nel secondo grado del giudizio e nessuna delle altre imprese, successivamente escluse dalla gara, hanno contestato in sede amministrativa o giurisdizionale siffatta esclusione. La stazione appaltante, intervenuta la pubblicazione della gravata sentenza del T.a.r. per la Sicilia, ha escluso tutte le imprese che presero parte alla gara. Il giudizio d’appello, pertanto, ha avuto ad oggetto soltanto le reciproche contestazioni formulate da due imprese le quali, uniche tra tutte quelle originariamente ammesse alla procedura di affidamento, conservano un interesse, processualmente tutelabile, alla decisione in ordine alla legittimità della gara.
Il CGA, dunque, si interroga, e ritiene di essere obbligato a rivolgere l’interrogativo alla CGUE, se il principio di diritto dichiarato dalla CGUE nel mese di luglio scorso possa o debba ritenersi applicabile anche al caso sopra descritto, ossia se la situazione che si è venuta a determinare nella vicenda oggetto della controversia sia sostanzialmente assimilabile, in ragione del concreto isomorfismo che si ravvisa nei termini sopra spiegati, a quella in relazione alla quale è stata pronunciata la sentenza della CGUE del 4 luglio 2013, in causa C-100/12 (il quesito è quello meglio precisato sub D1). Infatti, nel caso in esame parrebbe ipotizzabile, proprio in quanto tutte le altre imprese partecipanti alla gara ne sono state escluse con provvedimenti rimasti inoppugnati e ormai inoppugnabili, che l’interesse processuale delle due parti in causa si atteggi nel medesimo modo in cui si atteggierebbe se tali due parti fossero state le uniche a partecipare alla gara (com’era nel caso che fu deciso dalla citata sentenza della CGUE). Entrambe le parti potrebbero avere interesse all’accoglimento (e, prima ancora, allo scrutinio) delle proprie doglianze, anche in caso di accoglimento di quelle di controparte, quantomeno per realizzare il proprio interesse (c.d. “strumentale”) all’azzeramento della gara, onde poter concorrere alla sua riedizione per rigiocarsi ex novo la chance di vincerla.
Nota esplicativa
L’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia europea in esame fa seguito ad alcune ordinanze con le quali la V (n.2059/13 [4] n.5104 [8]) e la VI (n.4023 /13 [5] e n.2681 [6]) sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato hanno già rimesso all’Adunanza Plenaria la soluzione della questione della priorità dell’esame del ricorso principale o di quello incidentale c.d. paralizzante nelle controversie aventi ad oggetto procedure di affidamento di appalti pubblici. L’ordinanza n.848 del CGA trae origine dalla sentenza del4 luglio 2013, C-100/12 [1], con la quale la Corte europea aveva sconfessato il precedente orientamento enunciato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n.4/11. [2] Il principio di fondo espresso dall’Adunanza Plenaria era quello secondo cui la legittimazione al ricorso non si acquisisce con la semplice domanda di partecipazione o con l’ammissione alla gara, ma con l’ammissione legittima, con la conseguenza che il concorrente ammesso illegittimamente perde la legittimazione nel momento in cui viene annullato (in sede giurisdizionale in seguito all’accoglimento del ricorso incidentale o, eventualmente, anche dall’Amministrazione, in via di autotutela) l’atto infraprocedimentale di ammissione. Nel processo amministrativo, infatti,il concetto di legittimazione al ricorso ha tradizionalmente un contenuto diverso rispetto all’omologa nozione di legittimazione ad agire sviluppatasi in ambito processualcivilistico. Nel processo civile, infatti, la legittimazione ad agire si determina sulla base della domanda e consiste nella semplice coincidenza tra il soggetto che propone la domanda e il soggetto che nella domanda si afferma titolare del diritto. Per essere legittimati, nel processo civile, basta, quindi, che l’attore si autodichiari titolare del diritto che fa valere in giudizio attraverso la domanda. L’attore sconta, infatti, l’eventuale non verità della sua autodichiarazione con la soccombenza nel merito, cui andrà incontro inevitabilmente se il diritto di cui si è affermato titolare non gli appartiene. Nel processo amministrativo, al contrario, la giurisprudenza e la dottrina hanno ormai da tempo recepito una nozione sostanziale del concetto di legittimazione al ricorso. Non basta cioè che il ricorrente si autodichiari titolare dell’interesse che fa valere, ma occorre andare a verificare se ne sia effettivamente titolare, se quindi egli sia realmente titolare di una posizione giuridica differenziata e normativamente qualificata. Ciò perché nel processo amministrativo, a differenza di quanto accade nel processo civile, il ricorso potrebbe in teoria essere fondato (nel senso che l’atto impugnato potrebbe essere illegittimo) anche se colui che lo propone non è titolare di alcun interesse a ricorrere. Per questo, si impone un concetto “sostanziale” di legittimazione al ricorso, al fine di evitare che il processo amministrativo si trasformi in una giurisdizione di diritto oggettivo. Condizionare la sopravvivenza della titolarità di posizione di interesse a ricorrere (e, quindi, della legittimazione al ricorso) alla fondatezza del ricorso principale verso l’atto di esclusione o all’infondatezza di quello incidentale avverso l’atto di ammissione, finisce per contraddire appunto la tradizionale affermazione che vede nell’interesse una situazione giuridica a ‘soddisfazione non garantita’, che esiste anche se chi ne è titolare ha torto. L’atto infraprocedimentale di ammissione attribuirebbe, quindi, solo una legittimazione provvisoria, destinata a venire meno una volta che esso vengo rimosso o in sede giurisdizionale o in sede di autotutela amministrativa, con l’ulteriore conseguenza che tutte le questioni relative alla legittimità dell’ammissione del ricorrente principale avrebbero priorità logica sulle altre, determinando, ove risultino fondate, l’improcedibilità del ricorso principale (o degli altri motivi del ricorso principale) diretto all’esclusione dell’aggiudicatario. I principi enunciati dall’Adunanza Plenaria n.4/11 hanno suscitato un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha fatto emergere anche posizioni di aperta critica rispetto alla soluzione accolta. La decisione dell’Adunanza Plenaria, infatti, non è stata condivisa da molti Tribunali amministrativi regionali ed ha ricevuto le critiche sia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 21 giugno 2012, n. 10294) [7] sia di una parte della dottrina, poichè essa “denoterebbe una crisi del sistema che, al contrario, proclama di assicurare a tutti la possibilità di ricorrere al giudice per fargli rimediare a quello che (male) ha fatto o non ha fatto l’Amministrazione” (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 2681/13) [6]. Nel frattempo anche la Corte di Giustizia europea, riscrivendo i canoni ermeneutici del rapporto tra ricorso incidentale e quello principale secondo il criterio della pregiudiziale logica, ha affermato che non è possibile dichiarare inammissibile un ricorso in materia di appalti procedendo al previo esame del ricorso incidentale c.d. “interdittivo” senza esaminare nel merito il ricorso principale. La Corte europea, pertanto, ha riportato in auge l’orientamento precedentemente espresso dall’Adunanza Plenaria 10/11/08 n.11 [3], che aveva optato per la limitazione dell’effetto paralizzante dell’esame del ricorso incidentale su quello principale in base ai criteri ermeneutici di imparzialità del sindacato giurisdizionale e di parità processuale delle parti (artt.111 Cost. e 6 C.E.D.U.), poiché la trattazione di un ricorso, qualunque esso sia, non può precludere la fondatezza dell’altro. Secondo tale diverso orientamento entrambe le parti ricorrenti, infatti, sono titolari dell’interesse strumentale all’indizione di un’ulteriore gara e il Giudice può scegliere di dare priorità processuale al ricorso principale o a quello incidentale solo per ragioni di logicità ed economia processuale finalizzate a dirimere efficacemente la controversia. Contrariamente, l’Adunanza Plenaria n.4/11 aveva dato peso all’efficacia paralizzante del ricorso incidentale che, ove sorretto da questioni preliminari sul difetto di legittimazione del ricorrente principale, avrebbe dovuto determinare comunque l’inammissibilità del ricorso principale. Stante il contrasto interpretativo tra le due pronunce dell’Adunanza Plenaria, la questione era stata rimessa in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea con ordinanza del 9/2/12 dal T.A.R. Piemonte sez. II, che aveva espresso dubbi sulla compatibilità della giurisprudenza determinatasi a seguito dell’Adunanza Plenaria n.4/11, in particolare, nella misura in cui essa afferma incondizionatamente la prevalenza del ricorso incidentale su quello principale, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, libera concorrenza e tutela giurisdizionale effettiva, quali recepiti negli articoli 1, paragrafo 1, e 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 89/665. Secondo il giudice nazionale, infatti, l’esame in via preliminare, ed eventualmente assorbente, del ricorso incidentale attribuirebbe all’aggiudicatario un vantaggio ingiustificato rispetto a tutti gli altri operatori economici che hanno partecipato alla procedura di aggiudicazione, qualora risulti che l’appalto gli è stato aggiudicato illegittimamente.
Conclusioni
La pronuncia del Consiglio di Giustizia amministrativa della regione Sicilia sembra avvitarsi su se stessa, poichè con ogni probabilità l’invocato intervento della Corte di Giustizia potrà giungere a dirimere i dubbi interpretativi solo dopo che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si sarà nuovamente pronunciata, sulla base delle ordinanze di rimessione emesse dalla V e VI della sezione del Consiglio di Stato (peraltro antecedenti all’intervento della Corte di Giustizia europea), sulla priorità dell’esame del ricorso principale o di quello incidentale. Ove l’Adunanza Plenaria dovesse confermare il suo precedente orientamento enunciato nella sentenza n.4/11, anche in relazione al caso di due sole imprese ammesse alla procedura, potrebbero determinarsi insanabili contrasti tra gli orientamenti interpretativi dei due plessi giurisdizionali, l’uno del Giudice nazionale e l’altro espresso dalla Corte di Giustizia, eventualmente superabili, questa volta, solo attraverso una nuova rimessione della questione interpretativa alla Corte di Giustizia europea.
Sorge spontaneo chiedersi allora se, dato che tutto il diritto interno deve essere interpretato alla stregua dei principi del diritto comunitario, così come emergenti dalle pronunce della Corte di Giustizia, anche nell’interpretazione del diritto processuale (da intendersi come erogazione del servizio giustizia) non debba spontaneamente ricercarsi quell’omogeneità con i principi comunitari che è indispensabile per garantirne l’uniforme applicazione.
Riferimenti essenziali alla giurisprudenza citata e ai relativi contenuti:
[1] – Corte di Giustizia dell’Unione europea sentenza 4 luglio 2013, C-100/12:
“L’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto e proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla conformità con le suddette specifiche tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso principale”.
[2] – Adunanza Plenaria n.4/11:
“In conclusione, quindi, deve essere affermato il principio di diritto secondo cui il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura.
Detta priorità logica sussiste indipendentemente dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate dall’amministrazione resistente.
L’esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora sia evidente la sua infondatezza, inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità.”In conclusione, quindi, deve essere affermato il principio di diritto secondo cui il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura.
Detta priorità logica sussiste indipendentemente dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate dall’amministrazione resistente.
L’esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora sia evidente la sua infondatezza, inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità.”
[3] – Adunanza Plenaria n.11/08:
“Per definire l’ordine di trattazione del ricorso principale e di quello incidentale e quali siano i conseguenti effetti processuali, nel caso di controversia tra le due uniche imprese che siano state ammesse alla gara, ritiene l’Adunanza Plenaria che sia decisivo il principio per il quale il giudice, per essere «imparziale», deve trattare le parti «in condizioni di parità».
Tale principio è espressamente affermato dall’art. 111, secondo comma, della Costituzione, nonché dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale, poiché per l’art. 6 (F) del Trattato di Maastricht, modificato dal Trattato di Amsterdam, l’Unione Europea annovera – tra i «principi generali del diritto comunitario» – «i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»).
Per i principi della parità delle parti e di imparzialità, dunque, quando le due uniche imprese ammesse alla gara abbiano ciascuna impugnato l’atto di ammissione dell’altra, le scelte del giudice non possono avere rilievo decisivo sull’esito della lite, anche quando riguardino l’ordine di trattazione dei ricorsi: non si può statuire che la fondatezza del ricorso incidentale – esaminato prima – preclude l’esame di quello principale, ovvero che la fondatezza del ricorso principale – esaminato prima – preclude l’esame di quello incidentale, poiché entrambe le imprese sono titolari dell’interesse minore e strumentale all’indizione di una ulteriore gara.
Quanto precede comporta che, nel rispetto dei principi processuali sull’interesse e sulla legittimazione a ricorrere, il giudice:
a) per ragioni di economia processuale, può esaminare con priorità il ricorso principale (quando la sua infondatezza comporta l’improcedibilità di quello incidentale), ovvero quello incidentale (la cui infondatezza comporta l’esame di quello principale);
b) in base al principio della parità delle parti, non può determinare una soccombenza anche parziale in conseguenza dei criteri logici che ha seguito nell’ordine di trattazione delle questioni;
c) qualunque sia il primo ricorso che esamini e ritenga fondato (principale o incidentale), deve tenere conto dell’interesse strumentale di ciascuna impresa alla ripetizione della gara e deve esaminare anche l’altro, quando la fondatezza di entrambi comporta l’annullamento di tutti gli atti di ammissione alla gara e, per illegittimità derivata, anche dell’aggiudicazione, col conseguente obbligo dell’amministrazione di indirne una ulteriore.
In tal caso, dunque, il ricorso incidentale ha natura impugnatoria dell’atto di ammissione alla gara della ricorrente principale, la cui efficacia precluderebbe l’indizione di quella ulteriore“.
[4] – Consiglio di Stato, Sezione V, ordinanza 15 aprile 2013, n. 2059:
“Tenuto conto del numero e della complessità delle questioni spesso portate nelle controversie in materia di appalti, del pubblico interesse alla migliore aggiudicazione, del principio del contraddittorio (v. la citata pronuncia della Cassazione civile – Sezioni unite – 21 giugno 2012, n. 10294) – una complessa delibazione di merito della sola istanza dell’aggiudicatario (anche se diretta a “paralizzare”, con lo strumento del ricorso incidentale, l’istanza di chi – col ricorso introduttivo del giudizio – afferma l’illegittimità dell’aggiudicazione) appare concretare uno sbilanciamento e uno snaturamento del contenzioso, poiché privilegia, nella congerie delle questioni di merito portate dinanzi al giudice, solo quelle di chi resiste al ricorso introduttivo.
Anche se per un verso la Sezione condivide l’orientamento secondo il quale la giustizia amministrativa non ha il compito di ripristinare la legalità in senso assoluto, ma quello di tutelare situazioni giuridiche soggettive qualificate, e può ricorrere al giudice amministrativo solo chi abbia una posizione giuridica legittimante (sicché qualora il ricorso incidentale abbia lo scopo di promuovere la verifica della legittimazione del ricorrente principale, correttamente è il ricorso incidentale a dover essere esaminato per primo: v. anche C.d.S., Sez. III, 27 settembre 2012, n. 5111), per altro verso questa stessa Sezione osserva che in fattispecie come quella in esame il ricorso incidentale porta preliminarmente in giudizio, con la verifica della legittimazione, una parte cospicua del merito della controversia, nonché il sindacato sui criteri di valutazione delle offerte da parte della stazione appaltante. Sicché l’esame delle sole prospettazioni dell’aggiudicatario sembrerebbe contrario al principio di parità delle parti.
Pertanto appare necessario che l’Adunanza Plenaria si pronunci sulla applicabilità del principio di diritto da essa affermato nella pronuncia n. 4/2011 anche a una fattispecie come quella in esame. ..” (il giudizio aveva ad oggetto una gara per la realizzazione di un programma di housing sociale).
[5] – Consiglio di Stato, Sezione VI, ordinanza 30 luglio 2013 n. 4023:
“Il Collegio, sul punto, ritiene che, anche alla luce di quanto stabilito dalla Corte di giustizia, con la sentenza 4 luglio 2013, n. C. 100/12, debba essere rivisto l’orientamento espresso dalla stessa Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del 2011.
I motivi che depongono per un cambiamento di orientamento interpretativo sono stati già espressi da questa Sezione con l’ordinanza 17 maggio 2013, n. 2681, cui, per esigenze di sinteticità, si rinvia integralmente.
Per ragioni di certezza del diritto, è preferibile che sia la stessa Adunanza Plenaria a verificare se la motivazione posta a base della citata sentenza della Corte di Giustizia comporti una complessiva rimeditazione delle questioni riguardanti la perdurante sussistenza o meno della legittimazione e dell’interesse dell’impresa esclusa o da escludere, quando impugni gli atti di gara“.
[6] – Consigio di Stato, sezione VI, ordinanza 17 maggio 2013, n. 2681:
“La V Sezione del Consiglio di Stato (ordinanza 15 aprile 2013, n. 5104) ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione relativa all’applicabilità del principio di diritto da essa affermato nella pronuncia n. 4 del 2011 anche a una fattispecie nella quale il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicatario implichi, ai fini della verifica della legittimazione del ricorrente principale, l’esame di una parte cospicua del merito della controversia, nonché il sindacato sui criteri di valutazione delle offerte da parte della stazione appaltante.
In tal caso, infatti, ha osservato la V Sezione nella citata ordinanza di rimessione, l’esame delle sole prospettazioni dell’aggiudicatario potrebbe rivelarsi contrario al principio di parità delle parti…
..omissis.La posizione del soggetto che presenta domanda di partecipazione assume, invece, connotati già significativamente diversi. Questo soggetto, in virtù del fatto che ha partecipato alla gara, diviene per ciò solo, titolare di una posizione differenziata (rispetto a tutti coloro che non hanno partecipato) e normativamente qualificata, in quanto titolare, in conseguenza del fatto della partecipazione, di un interesse al regolare svolgimento della gara, interesse che viene qualificato e tutelato direttamente dalle norme che disciplinano l’evidenza pubblica.
Sotto tale profilo, non appare, quindi, del tutto condivisibile l’affermazione contenuta nella motivazione della sentenza n. 4 del 2011 (che rappresenta un argomento centrale nel ragionamento svolto da quella decisione) secondo cui l’interesse di chi partecipa alla gara diventa normativamente qualificato solo in seguito al “positivo esito del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva”.
Un interesse sostanziale riceve, infatti, di regola, la sua qualificazione normativa direttamente dalla legge, non dal provvedimento. Il provvedimento non può né cancellare la qualificazione normativa che un interesse ha già ricevuto dal sistema ordinamentale, né conferirla ad interessi che non ce l’hanno a prescindere da esso.
In altri termini, non si può neppure ritenere sussistente l’inedito potere dell’Amministrazione di selezionare (con i provvedimenti di ammissione o di esclusione) i soggetti titolari di interessi qualificati e, quindi, di ampliare o restringere la cerchia dei soggetti legittimati ad impugnare i suoi atti…
…omissis. L’iniquità cui potrebbe dar luogo una rigida applicazione dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 appare ancora più evidente se si considera che il ricorrente principale, dopo essere stato aggiudicatario provvisorio, è stato escluso, non perché privo dei requisiti di partecipazione, ma per una mera incompletezza documentale (la mancata allegazione di una fotocopia), che egli, peraltro, sostiene aver caratterizzato anche la posizione dell’aggiudicatario.
La disparità di trattamento in concreto verificatasi (in sede amministrativa e all’esito del giudizio di primo grado) risulta particolarmente eclatante, perché l’Amministrazione – nel chiedere alla Avvocatura Distrettuale dello Stato il parere sulla legittimità dell’atto di aggiudicazione provvisoria – ha rappresentato alla medesima Avvocatura che la società appellante non ha prodotto la fotocopia di un documento di identità, senza esporre che anche l’altra impresa – poi divenuta aggiudicataria definitiva – era incorsa nella medesima dimenticanza.
…omissis… Alla luce delle considerazioni che precedono, il Collegio ritiene di rimettere all’esame della Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 3, cod. proc. amm:
a) la prima questione indicata al precedente § 21;
b) l’ulteriore questione – già esaminata dalla citata sentenza n. 4 del 2011 – della sussistenza o meno della legittimazione del soggetto escluso dalla gara per atto dell’Amministrazione (ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale) ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, al fine di dimostrare che anche questo doveva essere escluso dalla gara e soddisfare in tal modo l’interesse strumentale alla eventuale ripetizione della procedura”.
[7] – Corte di Cassazione, sezioni Unite, sentenza 21 giugno 2012, n. 10294:
Le Sezioni hanno sollevato alcuni dubbi interpretativi in merito al contenuto della sentenza n. 4 del 2011 dell’ Adunanza Plenaria, affermando che essa suscita “indubbiamente delle perplessità che lasciano ancor più insoddisfatti ove si aggiunga che l’aggiudicazione può dare vita ad una posizione preferenziale soltanto se acquisita in modo legittimo e che la realizzazione dell’opera non rappresenta in ogni caso l’aspirazione dell’ordinamento (v. artt 121/23 cod. proc. amm.), che in questa materia richiede un’attenzione e un controllo ancora più pregnanti al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato”.
[8] – Consiglio di Stato, sezione V, ordinanza 15 aprile 2013, n. 5104:
ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione relativa all’applicabilità del principio di diritto da essa affermato nella pronuncia n. 4 del 2011 anche a una fattispecie nella quale il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicatario implichi, ai fini della verifica della legittimazione del ricorrente principale, l’esame di una parte cospicua del merito della controversia, nonché il sindacato sui criteri di valutazione delle offerte da parte della stazione appaltante.
In tal caso, infatti, l’esame delle sole prospettazioni dell’aggiudicatario potrebbe rivelarsi contrario al principio di parità delle parti.
[9] Le conclusioni sono contenute nella relazione delle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione.
* Il testo integrale dell’ordinanza n.848/13 è reperibile sul sito NFD nello spazio riservato alle novità giurisprudenziali.