Cassazione penale sezioni unite sentenza 20 settembre 2012 n 36258
Stupefacenti, eroina, ingente quantità, valore-soglia, consumatori, agevolazione
La sezioni unite penali
(Presidente Lupo – Relatore Blaiotta – Estensore Fumo)
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Teramo, con sentenza del 25 marzo 2010 condannò B.G. alla pena di anni
nove di reclusione ed Euro 35.000 di multa (oltre alle pene accessorie previste dalla legge e al
pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare), riconoscendolo colpevole del delitto
di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1-bis, lett. a), e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990,
perché, in concorso con G.A. (separatamente giudicato), deteneva, al fine di cedere a terzi,
ingente quantità di sostanza stupefacente di tipo eroina (complessivi kg. 14,165), suddivisa in
26 panetti, confezionati sottovuoto e in due involucri di cellophane.
1.1. Tale sostanza era stata rinvenuta, in data (OMISSIS), in (OMISSIS), nell’officina-
rimessaggio del B., ove il G. , secondo i giudici del merito, col consenso del primo e avvalendosi
di strumentazione ivi esistente e appositamente predisposta da entrambi, l’aveva portata, allo
scopo di impacchettarla e, quindi, di occultarla all’interno di una cassettiera e di una
mietitrebbia, presenti nei suddetto locale.
1.2. A B. fu contestata la recidiva semplice.
2. La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza del 3 novembre 2010, in parziale riforma della
pronunzia di primo grado, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del
1990, rideterminando la pena in anni sei di reclusione ed Euro 26.000 di multa; ha rigettato
nel resto gli appelli proposti dall’imputato e dal Procuratore generale.
In particolare, la Corte d’appello ha osservato che “non ricorre l’aggravante dell’ingente
quantità, di cui all’articolo 80 comma secondo d.P.R. 309/90, in considerazione della modestia
della percentuale di principio attivo accertato in esito alle analisi di laboratorio dell’ARTA.
Alla stregua di tale percentuale, infatti, il quantitativo di sostanza risulta pari a circa 17
grammi. Va in proposito richiamato quanto precisato dalla Suprema Corte, Sezione Quinta
(recte, Sesta), con la sentenza numero 20119 del 26/5/2010 e, cioè, che non possono, di regola,
definirsi ingenti quantitativi di droghe pesanti (in particolare, tra le più diffuse, eroina e
cocaina) (quelli) che, presentando un valore medio di purezza per tipo di sostanza, siano al di
sotto dei 2 chilogrammi”.
3. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione l’imputato e il Procuratore
generale presso la Corte di appello. 3.1. Il B. con il primo motivo deduce violazione di legge, per asserita insussistenza del ritenuto
concorso ex art. 110 cod. pen. nel reato commesso dal G., poiché nulla starebbe a provare che
egli abbia dato un contributo causale alla detenzione illecita addebitata al coimputato e
neanche che egli fosse consapevole del confezionamento, nella sua officina, di panetti di eroina
ad opera del G. A tutto concedere, il fatto avrebbe dovuto essere qualificato ex art. 379 cod.
pen.
Con il secondo motivo, deduce, ancora, violazione di legge in relazione al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche, atteso che, in proposito, è stato indebitamente
valorizzato un remoto precedente e si è erroneamente ritenuto reticente il comportamento
processuale dell’imputato.
3.2. Il Procuratore generale deduce, a sua volta, violazione di legge e contraddittorietà della
motivazione per travisamento del fatto, sostenendo che la Corte di appello ha equivocato sugli
esiti delle analisi eseguite, dalle quali era in realtà emerso che il principio attivo di sostanza
drogante, nelle diverse confezioni di eroina cadute in sequestro, variava tra il 13% e il 17%,
ammontando, sul totale degli oltre 14 chilogrammi di eroina sequestrati, a “circa due
chilogrammi o più”. La Corte abruzzese, dunque, aveva erroneamente ritenuto che la sostanza
caduta in sequestro consistesse in soli 17 grammi, avendo confuso il dato percentuale con il
principio attivo. D’altronde, la medesima Corte di appello, nell’ambito del separato
procedimento a carico del coimputato (G. ), aveva riconosciuto che il quantitativo di eroina in
oggetto era ingente, ritenendo, in quella occasione, la sussistenza dell’aggravante contestata.
Conseguentemente, una volta verificato l’esatto quantitativo di principio attivo nella sostanza
rinvenuta e sequestrata, avrebbe dovuto essere riconosciuta la corretta contestazione
dell’aggravante de qua, sia in relazione alla sua idoneità a soddisfare le esigenze di un numero
elevato di tossicodipendenti (indipendentemente dalla situazione del mercato locale e dalla
sua possibile saturazione, secondo un orientamento giurisprudenziale, che il ricorrente
qualifica come maggioritario), sia in relazione alla “soglia limite”, suggerita dal diverso
orientamento in proposito formatosi.
4. La Quarta Sezione penale della Corte di cassazione, cui i ricorsi sono stati assegnati, ha
rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in relazione alla questione sollevata dal
Procuratore generale ricorrente, vale a dire sui presupposti in relazione ai quali può essere
ritenuta sussistente la contestata aggravante di cui all’art. 80 del testo unico 9 ottobre 1990, n.
309. Per tale ragione, con ordinanza in data 11 ottobre 2011, ha rimesso i ricorsi alle Sezioni
Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen.
Secondo la predetta ordinanza, la sentenza della Corte di appello contiene un evidente lapsus
calami nella parte in cui indica in 17 grammi il peso complessivo dello stupefacente. Invero, si
osserva che, nella fase di merito, l’imputazione ha sempre riguardato un quantitativo di eroina
intorno ai 14 chilogrammi, con un principio attivo medio, come anticipato, del 13-14% e con
“punte” fino al 17% e oltre. Si tratterebbe quindi di un mero errore materiale, in quanto la
Corte territoriale avrebbe riportato la percentuale di principio attivo invece del peso
complessivo della sostanza; tuttavia, sulla base delle argomentazioni sviluppate, si rileva che
il giudice di appello ha “ragionato” sul corretto dato ponderale.
La questione relativa ai criteri in base ai quali ritenere, ovvero escludere, l’esistenza
dell’aggravante in oggetto, ha poi osservato la predetta Sezione, rimane comunque aperta e
non può che essere risolta, considerato il contrasto permanente, dalle Sezioni Unite.
Si osserva al riguardo che la Corte di cassazione si è, per un apprezzabile periodo di tempo,
orientata nel senso della sussistenza dell’aggravante nei casi in cui i quantitativi di sostanza
stupefacente si presentavano idonei al consumo da parte di un numero elevato di fruitori e alla
conseguente saturazione di una rilevante porzione del mercato clandestino.
Si rileva peraltro come si sia affermato, accanto alla opinione sopra sintetizzata, un diverso
indirizzo, in base al quale, pur senza far riferimento al mercato e alla sua eventuale
saturazione, l’aggravante in questione deve ritenersi ricorrente ogni qualvolta il quantitativo
di sostanza stupefacente, pur non raggiungendo il vertice massimo di valore, sia tale da
rappresentare un pericolo effettivo per la salute pubblica, atteso che esso può soddisfare le
“esigenze” di un numero elevato (anche se non determinabile) di consumatori. Al proposito, si
è osservato che il riferimento al mercato, oltre ad essere arbitrario, è anche di impossibile
riscontro, dal momento che, com’è ovvio, trattasi di mercato clandestino, che, appunto in
quanto tale, si sottrae ad ogni tipo di censimento e controllo.
Si osserva ancora nella ordinanza che, con la sentenza n. 17 del 2000, ricorrente Primavera, le
Sezioni Unite della Corte dì cassazione ebbero a stabilire che la circostanza aggravante
speciale dell’ingente quantità di sostanza stupefacente, prevista dall’art. 80, comma 2, d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309, la cui ratio legis è da ravvisare nell’incremento del pericolo per la salute
pubblica, ricorre ogni qualvolta il quantitativo di sostanza oggetto di imputazione, pur non
raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei
riguardi di un rilevante numero di tossicodipendenti, secondo l’apprezzamento del giudice del
merito che, vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da
ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale circostanza (Rv. 216666).
Per la pronunzia sopra riportata, ciò che rileva è che la quantità di sostanza stupefacente
superi notevolmente, “con accento di eccezionalità”, la quantità usualmente trattata in
transazioni del genere. Si tratta allora di accertare che detta sostanza sia oggettivamente di
notevole quantità, vale a dire molto elevata nella scala dei valori quantitativi, anche se non
raggiunga il valore massimo, che, per essere riferito a quantità, rimane sostanzialmente
indeterminabile, in quanto ampliabile all’infinito.
L’ordinanza di rimessione ha, al proposito, osservato che il principio sopra enucleato ha
trovato applicazione nelle successive pronunzie del giudice di legittimità, sottolineando che,
tuttavia, in seno alla Sesta Sezione penale, si è venuto – col tempo – delineando un divergente
orientamento, in base al quale la nozione di ingente quantità deve far riferimento ad un valore
ponderale eccezionale, rispetto alle usuali transazioni del mercato clandestino. In base ai dati
di comune esperienza, conoscibili e valutabili proprio dalla Corte di cassazione, in ragione del
fatto che essa è da ritenere “terminale di confluenza” dei moltissimi casi che si verificano e si
accertano su tutto il territorio nazionale, la predetta Sezione è giunta alla conclusione che non
possono definirsi ingenti i quantitativi delle cosiddette “droghe pesanti” – eroina e cocaina in
primis – che, presentando un valore medio di purezza, siano al di sotto dei 2 kg e quantitativi
di “droghe leggere” – in particolare hashish e marijuana – che, sempre in considerazione della
percentuale media di principio attivo, non superino i 50 kg.
Tale opinione, tuttavia, osserva la Quarta Sezione, è stata criticata in altre pronunzie, coeve e
successive, le quali hanno rilevato come la individuazione di precisi parametri quantitativi,
per individuare il carattere ingente della sostanza stupefacente “trattata”, costituisca
attribuzione esclusiva del legislatore, il quale, però, non ha ritenuto di fornire alcuna precisa e
specifica indicazione sul punto. È pur vero, d’altra parte – si fa notare – che anche altre ipotesi
criminose sono state costruite dal legislatore con l’utilizzo di espressioni verbali generiche,
espressioni relative a una maggiore o minore gravità dell’illecito. Ebbene, in tali casi, la
giurisprudenza di legittimità non ha ritenuto necessario fissare un tetto quantitativo, espresso
in precisi termini numerici; la giurisprudenza di merito, per parte sua, risulta aver elaborato
parametri idonei all’individuazione delle fattispecie circostanziate, sulla base dei giudizi di
fatto, che, appunto, attengono al merito. La logicità di tali criteri ha costituito, nei casi sopra
indicati, oggetto del vaglio del giudice di legittimità.
5. Con decreto in data 3 novembre 2011, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle
Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2012 e
disponendo la trasmissione degli atti all’Ufficio del Massimario penale per la redazione della
consueta relazione illustrativa.
Alla data sopra indicata, in considerazione dell’astensione dalle udienze dei difensori, la
trattazione è stata rinviata al 24 maggio 2012.
Considerato in diritto
1. La questione di diritto per la quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni unite è la
seguente: “Se, per il riconoscimento della circostanza aggravante speciale dell’ingente quantità
nei reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, si debba far ricorso al criterio
quantitativo, con predeterminazione di limiti ponderali per tipo di sostanza, ovvero debba
aversi riguardo ad altri indici che, al di là di soglie quantitative prefissate, valorizzino il grado
di pericolo per la salute pubblica, derivante dallo smercio di un elevato quantitativo, e la
potenzialità di soddisfare I numerosi consumatori per l’alto numero di dosi ricavabili”.
2. Prima di affrontare la predetta questione, è necessario esaminare il ricorso dell’imputato,
essendo evidente che, se esso dovesse rilevarsi fondato in riferimento alla prima censura
proposta dal B. (il quale – si ripete – ha sostenuto, in via principale, l’insussistenza dei
presupposti in base ai quali fu ritenuto il suo concorso nel delitto per il quale il G. ha già
riportato condanna), non vi sarebbe possibilità, né ragione, di affrontare la questione rimessa
alle Sezioni Unite.
2.1. La prima censura proposta dall’imputato, peraltro, è infondata.
Si legge nella sentenza impugnata (e il dato è pacifico, non risultando essere mai stato
contestato) che nell’officina-rimessaggio del B. fu rinvenuta la sostanza stupefacente di cui al
capo di imputazione, suddivisa in 26 panetti, confezionati sotto vuoto e avvolti in due involucri
di cellophane.
2.2. Con il ricorso, il difensore dell’imputato sostiene che il solo fatto che il locale nel quale la
droga era stata occultata fosse di proprietà del B. non costituisce certo circostanza sufficiente
perché sia ritenuto il suo concorso nel reato in questione.
Il ricorrente invero ricorda che “affinché si possa contestare il concorso di persona nel reato è
necessario dimostrare l’apporto di ciascun concorrente alla determinazione dell’evento. Tale
apporto, per altro, deve configurarsi in termini di funzionalità, utilità o maggiore sicurezza
rispetto al risultato finale”.
3. In realtà, il presupposto dal quale muove la critica del ricorrente non corrisponde a quanto
ritenuto ed esposto dalla Corte abruzzese. I giudici di appello, infatti, non hanno affermato la
sussistenza degli estremi del concorso del B. nel reato (già) addebitato al G. per il solo fatto
che il primo era il proprietario del locale nel quale la droga era occultata, ma hanno
considerato: a) le modalità di tale occultamento, b) la presenza nella rimessa-officina di
strumentazione utilizzabile per il confezionamento “sotto vuoto”, c) il fatto che sarebbe stato
illogico che G. avesse, senza il consenso del B., nascosto una così rilevante quantità di eroina
(avente un controvalore tutt’altro che trascurabile) in un luogo, nel quale – per stessa
ammissione dell’imputato e per quel che si è sforzata di provare la sua difesa – avevano
accesso più persone. Proprio tale ultima circostanza è particolarmente valorizzata dal giudice
di secondo grado, il quale afferma che certamente il G. non avrebbe corso il rischio di perdere
il controllo della “merce”, nascosta in un luogo di pertinenza di altri e, per di più (secondo
quanto si sosteneva nell’atto di appello e si sostiene nel ricorso) invito domino, anzi,
addirittura, all’insaputa del proprietario del locale. Il rischio, secondo la Corte di merito, era
notevolmente accresciuto, appunto, dal fatto che la rimessa-officina era frequentata anche da
terze persone, di talché era stato necessario individuare e utilizzare “nascondigli” (la
cassettiera, la mietitrebbia) all’interno del predetto locale.
Sulla base di tale presupposto fattuale e sviluppando un iter argomentativo tutt’altro che
illogico, la Corte territoriale ha correttamente applicato l’istituto di cui all’art. 110 cod. pen.,
ritenendo che B. non fosse né inconsapevole, né indifferente in relazione all’occultamento
dell’eroina nel suo locale, ma anzi fosse consenziente e avesse, all’uopo, messo a disposizione la
rimessa-officina.
La conclusione cui motivatamente è giunto il giudice di secondo grado non lascia spazio alla
alternativa qualificazione giuridica della condotta del B. ai sensi dell’art. 379 cod. pen.. Invero
il principio in base al quale il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento al
delitto di illecita detenzione di sostanza stupefacente, in costanza di detta detenzione,
costituisce giurisprudenza consolidata (cfr. Sez. 6, n. 4927 del 17/12/2003, dep. 2004,
Domenighini, Rv. 227986; Sez. 4, n. 12915 del 08/03/2006, Billeci, Rv. 233724); ciò in quanto,
nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, prima che la condotta di questi
sia cessata, si risolve – salvo che sia diversamente previsto – in un concorso, quanto meno a
carattere morale.
Il principio, per altro, è stato più volte ribadito proprio in relazione a fattispecie nelle quali il
contributo ascritto all’imputato era consistito nella messa a disposizione di locali utilizzati da
terzi per traffici illeciti di sostanze stupefacenti (cfr. Sez. 6, n. 37170 del 15/04/2008, Cona, Rv.
241209: fattispecie in cui l’imputato aveva messo a disposizione i locali della propria officina
per le attività di spaccio posta in essere da un congiunto; Sez. 6, n. 35744 del 03/06/2010,
Petrassi, Rv. 248586: fattispecie in cui era stato messo a disposizione un magazzino perché vi
fosse custodita droga; Sez. 4, n. 13784 del 24/03/2011, Improta, Rv. 250135: fattispecie in cui il
locale era stato messo a disposizione dello spacciatore perché si incontrasse con l’acquirente).
4. La seconda censura del ricorso B. è inammissibile per genericità e perché, sostanzialmente,
articolata in fatto. La pur sintetica motivazione che, in ordine al diniego delle attenuanti di cui
all’art. 62-bis cod. pen., sviluppa la sentenza di appello, fa perno su due presupposti: la
esistenza di precedenti penali (all’imputato, come premesso, è stata contestata la recidiva) e il
“censurabile comportamento processuale, improntato a reticenza e ambiguità”.
Orbene, quanto ai precedenti, il ricorrente si limita ad affermare che in realtà vi è un unico
precedente e, per di più, “datato”, ma neanche chiarisce a quando risalga e a quale reato si
riferisca; quanto alla condotta processuale, con il ricorso si assume che il B. si è limitato a
riferire quel che sapeva; ciò potrebbe costituire, a tutto concedere, replica alla accusa di
reticenza, replica, in sé, non infondata, atteso che l’imputato non è obbligato a un
comportamento collaborativo, ma non certo al più grave addebito di aver tenuto una condotta
processuale ambigua, atteso che il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta, appunto
l’imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a tenere
atteggiamenti processualmente “obliqui” e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio
di lealtà processuale, che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del
procedimento (cfr. Sez. 5, n. 15547 del 19/03/2008, Aceto, Rv. 239489) e la cui violazione è
indubbiamente valutabile da parte del giudice del merito.
5. Tanto premesso e definito, è necessario ora passare a esaminare l’unica censura nella quale
si sostanzia il ricorso del Procuratore generale, censura che costituisce, poi, la ragione per la
quale sono state investite queste Sezioni Unite.
5.1. Va innanzitutto ricordato che, dal capo di imputazione, sì evince che la circostanza
aggravante di cui all’art. 80, comma 2 d.P.R. n. 309 del 1990 è stata contestata in
considerazione del quantitativo totale di eroina tratta in sequestro, pari a poco più di
chilogrammi 14; in secondo luogo, va osservato come si ricavi, dalla sentenza di primo grado,
che detta circostanza aggravante è stata ritenuta in relazione al quantitativo di principio
attivo contenuto nella sostanza in questione (dalle analisi tecniche esperite è emerso che
l’eroina sequestrata era “pura” in percentuale mediamente variabile tra poco più del 13% e il
14%, con “punte” del 17,84% nei 28 panetti nei quali essa era suddivisa, e quindi pari a circa
kg. 2); in terzo luogo, va ribadito che, tuttavia, dalla sentenza d’appello, sembra comprendersi
che l’aggravante sia stata esclusa sul presupposto che il quantitativo di principio attivo nella
droga tratta in sequestro corrispondesse nel complesso a soli 17 grammi.
5.2. In merito, l’ordinanza di rimessione della Sezione Quarta ritiene tale ultimo riferimento
frutto di un “mero refuso”, attinente alla sola “espressione grafica”, in quanto la stessa
sentenza fa riferimento alla “modestia di percentuale di principio attivo accertato”. D’altra
parte, osserva sempre la sezione rimettente, se la Corte di merito avesse inteso effettivamente
far riferimento a un quantitativo di soli 17 grammi di principio attivo, non avrebbe avuto
senso il richiamo della giurisprudenza di legittimità (in particolare alla sentenza della Sezione
Sesta n. 20119 del 26/05/2010), che affronta il problema in relazione a fattispecie in cui le
quantità (e le percentuali) erano di ben altro livello.
L’affermazione merita di essere condivisa, dovendosi il detto quantitativo e la detta
percentuale di principio attivo assumere come dati fattuali certi e immodificabili, conseguenti
ad accertamento di merito, che lo stesso imputato ricorrente (e, prima, appellante) non risulta
aver mai contestato.
6. La Quarta Sezione, nell’ordinanza più volte ricordata, compie un sintetico excursus della
giurisprudenza di legittimità, relativa ai criteri utilizzati per la determinazione del concetto di
“ingente quantità”, prendendo le mosse da quelle sentenze che fanno esplicito riferimento alla
capacità delle quantità trattate di saturare, in un determinato momento, il mercato
clandestino (“un apprezzabile area di spaccio”, cfr. Sez. 4, n. 7204 del 22/05/1997, Franzoni,
Rv. 208535 e altre), per ricordare di seguito come il “profilo mercantilistico” fosse stato poi
abbandonato (segnatamente dalla ricordata sentenza delle Sezioni Unite, Primavera, del 2000
e da quelle delle sezioni semplici che ad essa si erano allineate), per concludere, quindi,
facendo riferimento all’orientamento emerso nell’ambito della Sesta Sezione a far tempo dal
2010. Tale orientamento ha inteso ancorare la predetta espressione (“ingente quantità”) a un
dato numerico, variabile a seconda si tratti di “droghe pesanti”, ovvero di “droghe leggere”, nel
senso che, al di sotto della soglia individuata, non potrebbe mai ritenersi sussistente
l’aggravante in questione.
Per vero, l’ordinanza di rimessione coglie aspetti problematici in entrambe le soluzioni
proposte dalla giurisprudenza di legittimità. Con riferimento alla prima, in quanto il richiamo
al mercato sembra essere stato, in realtà, reintrodotto dalla perifrasi – utilizzata dalla stessa
sentenza Primavera e dalle caudatarie – con la quale si fa riferimento alle “transazioni del
genere nell’ambito territoriale nel quale il giudice di fatto opera”; con riferimento alla seconda,
perché, come affermato da Sez. 4, n. 2451 del 03/06/2010, Iberdemaj, Rv. 247823 (e dalle altre
pronunzie della medesima sezione che vengono singolarmente ricordate), non sarebbe
consentito al giudice, nel silenzio del legislatore, “fissare predeterminati limiti quantitativi
minimi, al fine di ritenere configurabile la circostanza aggravante in questione”.
In tali termini (e con le predette implicazioni), la Sezione rimettente ha individuato il
contrasto di giurisprudenza, per la cui soluzione sono state investite le Sezioni Unite.
7. Per affrontare il problema “alla radice”, conviene innanzitutto completare il quadro relativo
alle contrapposte pronunzie giurisprudenziali che, sul tema, si sono susseguite.
7.1. Come correttamente osservato nell’ordinanza di rimessione, a un originario (e risalente)
orientamento, che faceva riferimento alla saturazione del mercato (oltre alla ricordata
sentenza Franzoni del 1997, può essere citata, tra le altre, Sez. 6 n. 8287 del 09/05/1996,
Amato, Rv. 205929), ha fatto seguito, nel 2000, la sentenza delle Sezioni Unite, n. 17 del
21/06/2000, Primavera, che, pretermettendo (almeno in apparenza) il riferimento al mercato,
ha sottolineato che, perché possa parlarsi di quantità “ingente” di stupefacente, è necessario
che “la quantità di sostanza tossica, oggetto della specifica indagine nel dato procedimento,
superi notevolmente, con accento di eccezionalità, la quantità usualmente trattata in
transazioni del genere, nell’ambito territoriale nel quale il giudice del fatto opera”.
A tale pronunzia fanno esplicito riferimento non poche sentenze successive a far tempo dalla
sentenza n. 44518 del 2003 della Sezione Quarta (ud. 24/09/2003, Grado, Rv. 226817), per la
quale la circostanza aggravante della quantità ingente deve ritenersi sussistente quando il
quantitativo, pur non raggiungendo il vertice massimo di valore, sia tale da rappresentare un
pericolo per la salute pubblica, ovvero per un rilevante, ancorché indefinito, numero di tossicodipendenti e, pertanto, allorché sia idoneo a soddisfare le esigenze di un numero molto
elevato di tossicodipendenti, senza ulteriore riferimento al mercato e alla eventuale sua
saturazione.
Con argomenti analoghi motiva la medesima Sezione, con le sentenze, n. 45427 del 09/10/2003,
Bouzarriah, Rv. 226246, n. 30075 del 21/06/2006, De Angelis, Rv. 235180, n. 12186 del
27/11/2003, dep. 2004, Duro, Rv. 227908, n. 11510 del 02/12/2003, dep. 2004, Esposito, Rv.
228029, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230570, n. 43372 del 15/05/2007, Hillalj, Rv.
238295, n. 36585 del 18/06/2009, ric. Venturini, Rv. 244986 (ed altre non massimate).
Per parte sua, la Sezione Sesta assumeva posizioni analoghe, con le sentenze n. 7254 del
19/10/2004, dep. 2005, Cusumano, Rv. 231313, n. 10834 del 23/01/2008, Sartori, Rv. 239210, n.
1870 del 16/10/2008, dep. 2009, Grieco, Rv. 242637.
Episodicamente anche altre sezioni (Sez. 5, n. 39205 del 09/07/2008, Di Pasquale ed altri, Rv.
241694; Sez. 2, n. 4824 del 12/01/2011, Baruffaci, Rv. 249628), esprimevano simili concetti.
7.2. Ha rilevato, tuttavia, puntualmente, sempre l’ordinanza di rimessione che, a far tempo dal
2010, la Sezione Sesta ha affermato ripetutamente il principio in base al quale, con
riferimento alle così dette “droghe pesanti”, non può definirsi ingente un quantitativo inferiore
a 2 chilogrammi e, con riferimento alle così dette “droghe leggere”, a 50 chilogrammi; ciò
facendo riferimento a una percentuale media di principio attivo.
Il rilievo corrisponde al vero, atteso che effettivamente la recente giurisprudenza della Sesta
Sezione ha manifestato l’esigenza di ancorare la nozione di ingente quantità a un parametro
improntato, per quanto possibile, a criteri oggettivi. Ciò in quanto, diversamente opinando,
dovrebbe sospettarsi, secondo detta Sezione, la esistenza di un insanabile contrasto tra
l’aggravante in questione e il principio di determinatezza, aspetto del più generale principio di
legalità, presidiato dall’art. 25, comma secondo, Cost..
Dunque, muovendo dal dictum della sentenza Primavera (e, pertanto, abbandonando anche
essa il criterio della saturazione del mercato, in quanto del tutto assente dalla lettera della
norma e comunque, di fatto, indefinibile), questo “nuovo” orientamento (Sez. 6, n. 20119 del
02/03/2010, Castrogiovanni, Rv. 243374) ha voluto chiarire che, “ai fini di un’applicazione
giurisprudenziale che non presti il fianco a critiche di opinabilità di valutazioni, se non
(addirittura) di casuale arbitrarietà, occorra meglio definire l’ambito di apprezzamento
rimesso al giudice del merito e, di riflesso, quello proprio del sindacato di legittimità; il tutto
considerando che la giurisprudenza prodottasi successivamente all’accennata sentenza delle
Sezioni unite, pur prestandovi formalmente adesione, presenta talvolta risultati di evidente
disarmonia a fronte di dati quali-quantitativi e di realtà territoriali in tutto assimilabili”.
Si è, conseguentemente, osservato che il riferimento all’ambito territoriale (pur presente nella
stessa sentenza delle Sezioni Unite, come metro di valutazione della eventuale esuberanza del
dato ponderale rispetto alle “usuali transazioni”), ha uno scarso valore ermenuetico. Ciò in
quanto il mercato della droga ha caratteri globali e, normalmente, non riceve significativi
connotati da una determinata area territoriale.
Dunque, “poiché l’aggravante in questione esprime l’esigenza di reprimere più severamente
fatti di accresciuto pericolo per la salute pubblica in relazione al rilevante numero di tossicofili
cui un determinato quantitativo di droga è potenzialmente destinato, ciò che conta è, appunto,
il numero di fruitori finali e non l’area dove essi insistono”.
Facendo ricorso alle medesime espressioni della sentenza Primavera, la predetta pronunzia
aggiunge che, dovendosi porre l’ipotesi aggravata dalla quantità in posizione di marcata
eccezione rispetto alle “usuali transazioni del mercato clandestino”, ciò che rileva in assoluto è
il valore ponderale, considerato in relazione al grado di purezza della sostanza tossica, e,
quindi, delle dosi singole (aventi effetti stupefacenti) da essa ricavabili.
Per la Sezione Sesta, non è dubbio poi che ci si debba riferire, non alle transazioni relative alla
vendita al dettaglio e nemmeno a quelle che si verificano tra il pusher e il suo fornitore, ma a
quelle relative ai quantitativi importati. E tali quantitativi ben possono essere valutati proprio
dal giudice di legittimità – si intende, una volta avuto per certo il dato numerico, come emerso
nel giudizio di merito – dal momento che la Corte di cassazione “è sede privilegiata, in quanto
terminale di confluenza di una rappresentazione casistica generale”.
Forte, dunque, della propria esperienza nel presente momento storico, la Sezione Sesta ha
ritenuto, come si anticipava, di poter individuare quale “ingente quantità” il valore ponderale
(considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in ragione del grado di
purezza, e, quindi, delle dosi singole aventi effetti stupefacenti) superiore a 2 kilogrammi per
le “droghe pesanti” e a 50 chilogrammi per le “droghe leggere”.
Le sentenze della medesima Sezione n. 27128 del 25/05/2011, D’Antonio, Rv. 250736; n. 34382
del 21/06/2011, Romano, non massimata, n. 12404 del 14/01/2011, Laratta, Rv. 249635, hanno
consolidato tale orientamento giurisprudenziale (nel medesimo senso anche Sez. 1, n. 30288
del 08/06/2011, Rexhepi, Rv. 250798).
Da ultimo, la Sesta Sezione ha, ancora una volta, confermato la sua opinione (sent. n. 31351
del 19/05/2011, Turi, Rv. 250545), chiarendo, ribadendo e specificando che “il carattere ingente
del quantitativo, e cioè la sua eccezionale dimensione rispetto alle usuali transazioni, può
certamente essere suscettibile di essere, di volta in volta, confrontato dal giudice di merito con
la corrente realtà del mercato; ma, stando a dati di comune esperienza, apprezzabili a maggior
ragione dalla Corte di cassazione, sede privilegiata, in quanto terminale di confluenza di una
rappresentazione casistica generale, deve ritenersi che non possono, di regola, definirsi ingenti
quantitativi di droghe leggere (…) oramai parificate dal punto di vista sanzionatorio alle così
dette droghe pesanti, che, presentando una percentuale di principio attivo corrispondente ai valori medi propri di tale sostanza, siano inferiori ai cinquanta chilogrammi” (nel caso in
esame si trattava di hashish).
La sentenza da ultimo citata mostra, per altro, di non ignorare le critiche che al filone
interpretativo che essa condivide e corrobora erano state mosse (critiche, come anticipato, in
base alle quali non sarebbe consentito alla Corte di cassazione predeterminare i limiti
quantitativi che consentono di ritenere configurabile la circostanza aggravante de qua, cfr. la
già citata sentenza della Sezione Quarta, Iberdemaj, nonché la sentenza, sempre della stessa
Sezione n. 9927 del 01/02/2011, Ardizzone, Rv. 249076, della quale amplius infra.
A tali critiche, invero, si replica da parte della Sesta Sezione osservando che le soglie indicate
(2 chilogrammi, 50 chilogrammi) non devono intendersi alla stregua di “valori assoluti o
immutabili”, rappresentando esse, viceversa, semplici parametri indicativi, tratti, come più
volte chiarito, dalla casistica apprezzata dalla Corte di legittimità, sulla base dei dati
provenienti dalla esperienza processuale; parametri, per altro, che ben possono essere ritenuti
non confacenti al caso di specie, a patto, però, che il giudice di merito offra specifica
indicazione dei criteri di riferimento cui ha inteso aderire.
7.3. A tale orientamento ha inteso, appunto, esplicitamente “reagire” proprio la Sezione
Quarta (e, come si dirà, episodicamente anche la Quinta), che, con la già (più volte) ricordata
sentenza n. 24571 del 03/06/2010, Iberdemaj, Rv. 247823, e, ancora più marcatamente, con la
citata sentenza n. 9927 del 2011, Ardizzone, ha affermato che “in tema di reati concernenti il
traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è consentito predeterminare i limiti quantitativi
minimi che consentono di ritenere configurabile la circostanza aggravante prevista dall’art. 80,
comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990”.
Ancor più di recente, la Quinta Sezione, per parte sua (sent. n. 36360 del 14/07/2011, Amato,
non massimata), rifacendosi proprio a tale ultima pronunzia, ha ribadito la
impossibilità/illegittimità di fissare soglie aritmeticamente determinate.
8. Tale essendo lo stato della giurisprudenza, appare opportuno, allo scopo di avvicinarsi alla
soluzione del problema, in vista della composizione del contrasto, prendere le mosse da
un’analisi del comma 2 dell’art. 80 d.P.R. 309/90, non trascurando le conseguenze che la sua
applicazione comporta.
8.1. L’art. 80, comma 2, rappresenta una circostanza aggravante ad effetto speciale, che
comporta, per le condotte incriminate dall’art. 73 del medesimo d.P.R., aventi ad oggetto
quantitativi “ingenti” di droga, un inasprimento della pena edittale, dalla metà a due terzi. La
pena poi è di anni 30 di reclusione, se le sostanze stupefacenti o psicotrope, oltre ad essere in
quantità ingente, siano anche adulterate o commiste ad altre, in modo che ne risulti
accentuata la potenzialità lesiva. Al proposito, è utile osservare che, già per le ipotesi “ordinarie” (quelle non riconducibili al
comma 5 dell’art. 73 che, come è noto, prevede i casi attenuati del fatto di “lieve entità”), il
legislatore ha approntato un quadro sanzionatorio di estrema severità. Invero, la pena
detentiva va da 6 a 20 anni di reclusione e quella pecuniaria da Euro 26.000 a Euro 260.000 di
multa.
Dunque, anche in caso si ritenga insussistente l’aggravante de qua, il giudicante ha a sua
disposizione una gamma sanzionatoria, che, non solo gli consente, come è ovvio, di graduare la
pena secondo i noti criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ma che gli conferisce il potere –
ricorrendone ovviamente i presupposti oggettivi e soggettivi – di fornire una risposta
repressiva in termini quantitativamente molto elevati. Il limite massimo della pena edittale
per il reato di cui all’art. 73 della vigente legge sugli stupefacenti, invero, si allinea a quelli
previsti per alcuni tra i più gravi delitti.
Se si fa riferimento al caso in esame, poi, non si può non rilevare che il B. è stato condannato,
come ricordato, alla pena di anni nove di reclusione in primo grado. È allora agevole osservare
che, anche senza la contestazione dell’aggravante di cui al comma secondo dell’art. 80, la pena
inflitta avrebbe potuto, almeno in astratto, essere egualmente determinata nella misura
ritenuta in concreto, atteso che – come anticipato – il massimo edittale è di gran lunga
superiore.
Non basta: l’aggravante in questione comporta conseguenze (ovviamente sfavorevoli per il
soggetto che se la veda riconoscere) con riferimento all’ampliamento dei termini di custodia
cautelare, all’ampliamento dei termini di durata massima delle indagini preliminari,
all’inasprimento del trattamento penitenziario.
Inoltre, per le ipotesi aggravate ai sensi della ricordata norma, è stata prevista l’esclusione
dall’indulto concesso con legge 31 luglio 2006, n. 241.
È allora evidente che il legislatore ha voluto riservare l’applicazione della aggravante in
questione ai casi di estrema gravità, individuati come tali dalla elevata quantità della
sostanza stupefacente trattata. In questi termini, è assolutamente da condividere la
statuizione della sentenza Primavera, in base alla quale, come anticipato, l’aggravante in
questione ricorre tutte le volte in cui il quantitativo “pur non raggiungendo valori massimi”,
consenta, tuttavia, di determinare una notevole impennata nei consumi, raggiungendo quindi
un cospicuo numero di sub-fornitori, prima, e una folta massa di consumatori, in fine. La
figura criminale che, attraverso tale previsione, il legislatore individua è quindi quella del
“grossista”: non necessariamente, insomma, l’importatore in grado di movimentare quantità
rilevantissime di sostanza stupefacente (e quindi di eseguire pagamenti per importi
altrettanto “impegnativi”), ma certo neanche lo spacciatore di medio livello, in grado di
acquistare, stoccare e smerciare quantità pur ragguardevoli di droga, ma non certo “ingenti” (vocabolo di incerta etimologia, ma che sembra abbia attinenza con la radice verbale che indica
accrescimento, aumento, incremento).
8.2. Ciò detto, tuttavia, è manifesto che nessun progresso in termini di (maggiore)
determinazione dei concetto espresso dalla norma è stato fatto. Espressioni come quantità
“considerevoli, rilevanti, cospicue”, o, appunto, “ingenti”, sono tutte sostanzialmente indefinite,
perché relative, mutevoli, sfuggenti, sottoposte all’interpretazione soggettiva e all’esperienza
contingente.
D’altronde, il riferimento al mercato, che l’originario orientamento aveva effettuato, nel
tentativo di ricercare un aggancio oggettivo al dato normativo, è stato, come si è visto, per
tempo, e opportunamente, abbandonato per le ragioni che si sono sopra accennate: trattandosi
di un mercato illegale, e quindi clandestino, nessuna credibile rilevazione della dinamica
domanda-offerta è possibile. A ciò si deve aggiungere che, se si fa riferimento, come è
inevitabile, “ai mercati”, piuttosto che “al mercato” (atteso che in una determinata zona la
saturazione può avvenire in tempi diversi – e quindi con quantità diverse – rispetto a un’altra),
si rischia di violare il principio costituzionale di eguaglianza, finendo per attribuire rilevanza,
in termini di aggravante, a una circostanza in un determinato contesto e non in un altro. E ciò,
si badi bene, in presenza di un’aggravante che è costruita sul solo dato quantitativo (e che
quindi non dovrebbe essere diversamente declinata ratione loci). A differenza, infatti,
dell’attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. più volte citata, che, per delineare i
fatti “di lieve entità”, invita il giudice a prendere in esame, oltre alla quantità dello
stupefacente trattato, vari altri parametri (i mezzi adoperati, le modalità della condotta, le
circostanze che l’hanno accompagnata, la qualità dello stupefacente), l’aggravante di cui al
comma 2 dell’art. 80 del medesimo corpus normativo fa riferimento solo alla quantità
(“ingente”) della sostanza. Naturalmente la quantità va valutata in riferimento al principio
attivo, non al materiale inerte di cui la sostanza risulti essere anche composta; ma il giudice
non può e non deve far riferimento a nessun altro parametro, se non a quello (estrinseco e
oggettivo) della “ingente” quantità.
9. L’esame delle sentenze di merito, oggetto di ricorso per cassazione con riferimento
all’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 (esame condotto dall’Ufficio
del Massimario di questa Corte in relazione al periodo successivo al manifestarsi del contrasto,
vale a dire a far tempo dal 2011), offre un quadro quanto mai “variegato” circa il concetto di
quantità ingente, come ritenuto dai giudicanti di primo e secondo grado.
9.1. Quanto alle “droghe pesanti”, si va dai 100 chilogrammi di cocaina, ritenuti quantità
ingente dall’autorità giudiziaria milanese, ai 15 grammi, ritenuti integrare l’aggravante de
qua dall’autorità giudiziaria napoletana (in tale ultimo caso, questa Corte, annullando sul punto, ha escluso l’aggravante in questione); dai 767 grammi, sequestrati a Foggia e ritenuti
quantità ingente, ai 512 grammi, sequestrati a Taranto, giudicati quantità non ingente.
9.2. Analogo divario è stato segnalato per l’eroina (dai 106 grammi, ritenuti quantità ingente
dall’autorità giudiziaria catanese, con conseguente annullamento con rinvio da parte della
Corte di cassazione, ai 45,270 chilogrammi sequestrati a Milano).
9.3. Con riferimento all’hashish, la valutazione spesso è effettuata in relazione alle dosi
confezionate (es. 12.532 dosi, giudicate quantità ingente dall’autorità giudiziaria di Santa
Maria Capua Vetere, giudizio che è passato indenne al vaglio di questa Corte), ma anche al
valore ponderale, con frequenti annullamenti – con o senza rinvio – in relazione alla ritenuta
aggravante (7 chilogrammi a Bologna, 6 chilogrammi a Paola, 600 grammi a Enna ecc).
9.4. Quanto alla marijuana, potendo essa essere prodotta in Italia, il più delle volte, i sequestri
hanno riguardato le piantagioni, più che il “prodotto finito”, con la conseguenza che, data la
notevole estensione degli appezzamenti di terreno coltivati, la quantità ingente è quasi sempre
stata ritenuta.
10. Quelli sommariamente esposti sono dati ovviamente parziali e, peraltro, selezionati in base
alla iniziativa della parte che ha deciso di proporre ricorso per cassazione e di sottoporre, in tal
modo, al giudice di legittimità la valutazione che, in termini di “ingente quantità”, aveva
effettuato il giudice del merito.
Si tratta, tuttavia, di dati significativi in ordine alla questione che in questa sede deve essere
affrontata, in quanto evidenziano, come anticipato, la estrema differenziazione e la
conseguente mutevolezza delle decisioni dei giudici di merito.
Di talché si giunge alla – apparentemente paradossale – conclusione in base alla quale la
sussistenza dell’aggravante (e l’aggravamento della pena) dipendono dalla concorrenza di una
circostanza oggettiva, molto soggettivamente interpretata, però, in quanto essa è rimasta
concettualmente incerta e quantitativamente fluttuante. E ciò, naturalmente, rappresenta,
sotto altro verso, ancora una volta, insidia al principio costituzionale di eguaglianza (non pochi
ricorrenti si sono lamentati della disparità di trattamento, in quanto, dovendo rispondere del
medesimo fatto, ma essendo stati giudicati separatamente, alcuni si sono visti ascrivere la
circostanza aggravante della “ingente quantità”, che viceversa per altri è stata esclusa. E tale
sembrerebbe, per altro, essere il caso del B. nei confronti del coindagato G., atteso che, per il
primo, in appello, è stata eliminata la aggravante, che, viceversa, come sostiene il ricorrente
Procuratore generale, è stata addebitata definitivamente al secondo).
11. È allora da chiedersi se non si sia in presenza di una previsione normativa priva di quel
livello di determinatezza e tassatività che, trattandosi di disposizione sanzionatola penale,
deve necessariamente sussistere perché sia superato il giudizio di compatibilità costituzionale.
È chiaro infatti che un sospetto di tal genere imporrebbe di investire della questione il Giudice
delle leggi.
11.1. Ebbene, proprio la Quarta Sezione, con la sentenza n. 40792 del 10/07/2008, Tsiripidis,
Rv. 241366, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità – sollevata
con riferimento agli artt. 3, 24, comma secondo, 25, comma secondo, 111, comma sesto, della
Costituzione – della aggravante di cui al comma 2 dell’art. 80 del d.P.R. 309 del 1990 a cagione
della sua pretesa indeterminatezza.
Ha osservato la Quarta Sezione che il presupposto di operatività della aggravante, per quanto
ampio, non può “ritenersi indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare l’introduzione di
parametri legali precostituiti, i quali impedirebbero al giudice di apprezzare in concreto la
gravità del fatto e quindi rideterminare la pena in termini di coerente proporzionalità rispetto
al slo effettivo profilo e alla personalità dell’autore”.
11.2. L’ordinamento, d’altronde, conosce altre ipotesi in cui disposizioni penali evocano il
concetto di “ingente quantità”.
L’art. 53-bis del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sostituito dall’art. 260 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in tema di traffico illecito di rifiuti, prevede la condotta di chi
“cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti
quantitativi di rifiuti”. Ebbene, anche a proposito di tale normativa, la giurisprudenza di
questa Corte (Sez. 3, n. 358 del 20/11/2007, dep. 2008, ric. Patrone, Rv. 238558) ha ritenuto
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma sopra
ricordata, per pretesa violazione dell’art. 25 Cost., sul presupposto dell’asserita
indeterminatezza del concetto di ingente quantità di rifiuti. La Sezione Terza, al contrario, ha
ritenuto senz’altro possibile definire l’ambito applicativo della disposizione, tenuto conto che
tale nozione, in un contesto che consideri anche le finalità della norma, va riferita al
quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni,
anche se queste ultime, considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta.
Né diversamente si è orientata la medesima Sezione in tema di pedopornografia, in relazione
al dettato degli artt. 600-ter e 600-quater cod. pen., i quali fanno riferimento alla detenzione di
materiale (pedopornografico, appunto) in “ingente quantità”. E, infatti, con la sentenza n.
17211 del 31/03/2011, R., Rv. 250152, la predetta Sezione ha chiarito, a proposito della nota
locuzione, che il suo uso “rappresenta l’espressione di una legittima scelta del legislatore di
riservare al giudicante il potere di considerare un fatto aggravato o attenuato in relazione agli
innumerevoli, e mai predeterminabili, casi della vita. Come, però, accade abitualmente, di
fronte all’uso, di siffatti termini di respiro, che rimandano alla valutazione dell’interprete, la
difficoltà risiede nella individuazione di parametri che – senza avere la pretesa di contenere
numericamente entro “gabbie” precostituite i concetti da definire – ne delimitino, tuttavia i
confini. Orbene, nel perseguire tale obiettivo, con riferimento alla fattispecie che occupa
(detenzione di materiale pedopornografico) si può cominciare con l’osservare che
l’apprezzamento come ingente, del quantitativo di materiale posseduto, è da ritenersi correlato
al dato numerico delle immagini contenute nei supporti più vari”.
11.3. Per completezza, va chiarito che, in merito a tali posizioni, non sempre la dottrina si è
mostrata consenziente, giungendo – per vero – a dubitare della compatibilità di tali norme (e di
tali interpretazioni) con il principio di legalità, sotto lo specifico profilo della tassatività e
determinatezza della figura criminosa, come descritta dalla littera legis.
Si è, anzi, sostenuto da parte di taluni Autori, che l’indeterminatezza normativa del legislatore
costringe il giudice a una inevitabile “tautologia interpretativa” (in quanto egli, con parole
diverse, non fa che riprodurre il testo della norma, senza apportare alcun contributo
chiarificatore), con la conseguenza che precetti penali così aspecificamente formulati finiscono
con l’entrare in conflitto anche con l’art. 54, comma primo, Cost., poiché non è possibile
osservare leggi che non siano chiare e comprensibili nel loro contenuto.
12. Orbene, è noto che il principio di determinatezza trova il suo fondamento costituzionale
negli artt. 25, comma secondo, e 13, comma secondo, Cost. (ma esso risulta desumibile, negli
stessi termini, dal testo dell’art. 7 della CEDU, in quanto espressione del più ampio principio
di legalità).
Al proposito, la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 364 del 1988 e n. 185 del 1992) ha
chiarito che la (sufficiente) determinatezza della fattispecie penale è certamente funzionale
tanto al principio della separazione dei poteri, quanto a quello della riserva di legge in materia
penale (evitando che il giudice assuma un ruolo creativo nell’individuare il confine tra ciò che è
lecito e ciò che non lo è), assicurando, al contempo, la libera determinazione individuale,
perché consente al destinatario della norma penale di conoscere le conseguenze (giuridico-
penali, appunto) del proprio agire.
Sulla base di tali premesse, tuttavia, non è stato ritenuto dal Giudice delle leggi incompatibile
con il principio di determinatezza l’utilizzo, nella formula descrittiva dell’illecito penale, di
espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti “elastici”
(Corte cost, sentenze n. 247 del 1989, n. 34 del 1995, n. 5 del 2004 e n. 395 del 2005), ed è stata
così negata l’indeterminatezza di talune fattispecie sottoposte al vaglio di legittimità
costituzionale, in quanto ha ritenuto la Corte che competa all’interprete rendere certe e
determinate quelle fattispecie che, in astratto, possono apparire prive di contorni sicuri e
definiti (Corte cost,. sent. n. 247 del 1997 e n. 69 del 1999).
Il compito della giurisprudenza è (anche) quello di rendere concrete, calandole nella realtà
fenomenica, previsioni legislative, non solo astratte, ma apparentemente indeterminate e ciò va fatto attraverso il richiamo al diritto vivente, che si manifesta nella interpretazione
giurisprudenziale.
12.1. Al proposito, altra dottrina sembra aver assunto una posizione di non netta chiusura,
pretendendo rigida determinatezza della norma descrittiva della condotta penalmente vietata,
ovvero aggravatrice dell’illecito e concedendo, però, una qualche possibilità di formulazione
“più elastica” quando si tratti di attenuare la dimensione offensiva o mitigare le conseguenze
sanzionatorie.
Altri Autori hanno mostrato ancora maggiore apertura, attribuendo decisamente al giudice il
potere-dovere di specificare la portata della norma, quando il dato letterale faccia riferimento
a una realtà quantitativa, ponderale o temporale non predeterminabile in termini di certezza,
ma comunque sufficientemente circoscrivibile, sulla base delle conoscenze condivise e delle
massime di esperienza (si fa l’esempio del danno patrimoniale di rilevante gravità, di cui
all’art. 61, n. 7, cod. pen. o di speciale tenuità, di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen.).
13. Va al riguardo osservato che il condivisibile criterio del riferimento alle conoscenze
condivise e alle (comuni) massime di esperienza non esclude affatto che quali valori di
riferimento si assumano anche grandezze numeriche, che hanno la peculiarità di esprimere –
nella loro astrattezza – parametri valutativi generali e quindi generalmente applicabili.
D’altronde, la giurisprudenza precedentemente citata (cfr. Sez. 3, n. 17211 del 2011 in tema di
pedopornografia), con riferimento ai testi normativi – diversi da quelli sugli stupefacenti – che
anche fanno ricorso ad espressioni “elastiche”, pur assumendo che ricorrere a valori numerici
costringerebbe il ragionamento del giudice entro inaccettabili “gabbie” (così testualmente), non
rifugge, poi, da esemplificazioni di natura, appunto, numerica. Così detta sentenza, a proposto
della detenzione di materiale pedopornografico, esclude che possa parlarsi di ingente quantità
quando la detenzione sia relativa a decine, ma anche a centinaia, di immagini e giunge alla
conclusione che “diverso è il caso di chi superi, più o meno ampiamente, tali indicazioni di
massima”.
14. La soluzione va allora ricercata all’interno del sistema che, in tema di stupefacenti, la
vigente legislazione ha approntato.
14.1. Detta normativa contempla, come è noto (artt. 13, comma 1, e 14 d.P.R. n. 309 del 1990,
come modificati e integrati prima dal decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla
legge 21 febbraio 2006, n. 49, e successivamente dalla legge 15 marzo 2010, n. 38), che le
sostanze stupefacenti e psicotrope siano iscritte in due tabelle.
La prima tabella comprende le sostanze, indipendentemente dalla distinzione tra stupefacenti
e sostanze psicotrope, con potere drogante; nella seconda sono inserite le sostanze che hanno
funzione farmacologica e pertanto sono usate a scopo terapeutico. Si tratta, appunto, di
farmaci. Dette tabelle sono aggiornate quando si presenti la necessità di inserire una nuova sostanza o di variarne la collocazione o di provvedere a eventuali cancellazioni.
L’aggiornamento pertanto interviene (con decreto ministeriale) tutte le volte in cui una “nuova
sostanza” diventa oggetto di abuso o quando qualche “nuova droga” viene messa in
circolazione sul mercato clandestino o, ancora, quando viene messo a punto un nuovo farmaco
ad azione stupefacente o psicotropa. Naturalmente una stessa sostanza (es. la morfina) può
trovarsi in entrambe le tabelle, perché, pur essendo un farmaco utile per lenire il dolore, essa è
idonea a provocare tossicodipendenza.
Le tabelle in questione, poi (ed è ciò che in questa sede rileva), indicano, tra l’altro, i cd.
“limiti-soglia”, cioè i limiti quantitativi massimi previsti, oltre i quali le condotte descritte
nell’art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 sono considerate di regola penalmente
rilevanti e, quindi, potenzialmente assoggetta bili al trattamento sanzionatorio previsto dai
comma 1 del medesimo articolo (reclusione da sei a venti anni e multa da 26.000 a 260.000
Euro).
Tali limiti, dunque, costituiscono il discrimine tendenziale fra “uso personale”, che non
comporta sanzione penale, e le condotte di detenzione penalmente represse.
Va peraltro precisato che tanto il possesso quanto l’uso di droghe costituiscono, comunque,
condotte riprovate e vietate dall’ordinamento, il quale, tuttavia – per quel che si è appena detto
– non sempre reagisce con la minaccia e la applicazione di sanzione penale.
In sintesi: proprio per il dettato del comma 1-bis, lett. a), dell’art. 73 del più volte ricordato
d.P.R. n. 309 del 1990 e per il rinvio che esso adotta alla apposita tabella, acquistano rilievo
dirimente le “soglie”, al di sotto delle quali il possesso delle predette sostanze si presume per
uso esclusivamente personale (sempre che, per altre circostanze sintomatiche, quali te
modalità di presentazione, il confezionamento frazionato o altro, la presunzione sia ritenuta
non operativa).
In scala di crescente gravità, viene in considerazione la ipotesi della lieve entità, di cui al
comma 5 dell’art. 73; le ipotesi “ordinarie” sono quelle residuali di cui all’art. 73; mentre la
risposta repressiva più forte è riservata alle ipotesi aggravate di cui ai quattro commi dell’art.
80.
14.2. Orbene è da osservare che il ricordato decreto-legge n. 272 del 2005, introducendo criteri
tabellari, ha dato primario risalto proprio al dato quantitativo, in relazione alle dosi ricavabili.
Come suggerisce parte della dottrina, esso può offrire al giudice nuovi elementi di
apprezzamento per valutare la ricorrenza dell’aggravante in discussione.
Invero, proprio dai riferimento al “sistema tabellare” e dal rilievo (diretto e riflesso) che esso
ha nel sistema, si può e si deve trarre la conclusione che è necessario individuare un
parametro numerico anche per la determinazione del concetto di ingente quantità. Infatti, se il legislatore ha positivamente determinato la soglia -quantitativa, appunto – di
punibilità (dunque un limite “verso il basso”), consegue che l’interprete ha il compito di
individuare una soglia al di sotto della quale, secondo i dati offerti dalla fenomenologia del
traffico di sostanze stupefacenti, non possa parlarsi di ingente quantità (un limite, quindi,
“verso l’alto”).
Dunque, il dato quantitativo è determinante sia per stabilire (ai sensi del comma 1-bis, lett. a,
dell’art. 73) la soglia al di sotto della quale si presume l’uso personale, sia per la
individuazione dell’ipotesi lieve di cui al comma 5 dell’art. 73 (unitamente ad altri dati,
parimenti valutabili da parte del giudice), sia per la configurabilita’ dell’ipotesi aggravata di
cui al comma 2 dell’art. 80.
Va precisato che la giurisprudenza (cfr. Sez. 6, n. 48434 del 20/11/2008, Puleo, Rv. 242139) ha
interpretato la tabella attuativa nel senso che i limiti quantitativi in essa previsti riguardano
il principio attivo e dunque le dosi utilmente realizzabili; e lo stesso criterio interpretativo (la
incidenza del principio attivo), ovviamente, deve essere adottato per determinare l’ingente
quantità di cui al comma 2 dell’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990. Infatti, poiché i beni oggetto di
tutela penale da parte delle fattispecie incriminatrici ex artt. 73 e 74 d.P.R. citato sono tanto
la salute dei singoli quanto la sicurezza pubblica (cfr. Corte cost, sent. n. 333 del 1991; Sez. U,
n. 9973 del 24/06/1998, Kremi, Rv. 211073; Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv.
239920), consegue che la ratio della severissima punizione prevista con riferimento alla
condotta descritta dal comma 2 dell’art. 80, va ricercata nel fatto che una quantità “ingente” di
sostanza stupefacente (tale considerata con riferimento al principio attivo), consentendo il
confezionamento di un numero davvero rilevante di dosi, determina un “allagamento della
piazza di spaccio”, con le ovvie ricadute, appunto, tanto in termini di illecito e iperbolico
arricchimento di chi tale traffico gestisce ai più alti livelli (e si tratta ovviamente di soggetti
non estranei alla criminalità organizzata), quanto con riferimento all’ordine pubblico e alla
salute dei consociati.
Già la sentenza delle Sezioni Unite Primavera, d’altra parte, aveva evidenziato come la
“elevazione del livello di offerta” e il conseguente “calo del prezzo di scambio” costituissero ovvi
fattori moltiplicatori della diffusione delle droghe.
15. I valori numerici, per tutto quel che si è detto, in quanto “misuratori di grandezza”,
costituiscono necessariamente l’oggetto dell’attività valutativa del giudice che sia chiamato a
pronunziarsi sulla conformità di tali grandezze rispetto ad (elastici) parametri normativi, cui
deve dare concretezza.
15.1. Avendo allora come riferimento e punto di partenza il valore-soglia previsto dalle
predette tabelle (in quanto “unità di misura” rapportabile al singolo cliente-consumatore), è
conseguente stabilire, sulla base della fenomenologia relativa al traffico di sostanze stupefacenti, come risultante a questa Corte di legittimità in relazione ai casi sottoposti al suo
esame (“casi” riferibili all’intero territorio nazionale), una soglia, ponderalmente determinata,
al di sotto della quale non possa di regola parlarsi di quantità “ingente”.
Non si tratta invero di usurpare una funzione normativa, che ovviamente compete al solo
legislatore, ma di compiere una operazione puramente ricognitiva, che, sulla base dei dati
concretamente disponibili e avendo, appunto, quale metro e riferimento i dati tabellari (dati
frutto di nozioni tossicologiche ed empiriche: cfr. Sez. 6, n. 27330 del 02/04/2008, Sejial, Rv.
240526), individui, sviluppando detti dati, una “soglia verso l’alto”, al di sopra della quale
possa essere ravvisata la aggravante di cui al comma 2 dell’art. 80 d.P.R. 309 del 1990.
15.2. Ebbene, sulla base dei dati affluiti a questa Corte, si può affermare che, avendo
riferimento alle singole sostanze indicate nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, non può
certo ritenersi “ingente”, un quantitativo di sostanza stupefacente che non superi di 2000 volte
il predetto valore-soglia (espresso in mg nella tabella).
Si tratta di un “moltiplicatore” desumibile proprio con riferimento alla casistica scaturente
dalla indagine condotta dall’Ufficio del Massimario di questa Corte, sul “materiale giudiziario”
a sua disposizione.
Invero su di un totale di 65 casi esaminati, in relazione alla così dette “droghe pesanti”, in 21
occasioni sono stati eseguiti sequestri (o comunque è stato accertato il possesso) di quantitativi
superiori ai 10 chilogrammi. Con riferimento ai residui casi, la “maggioranza relativa”
riguarda sequestri inferiori ai 2 chilogrammi.
Discorso analogo può esser fatto con riferimento alle “droghe leggere”, avendo come discrimen
il quantitativo di 50 chilogrammi.
È allora evidente che se, come richiede la sentenza delle Sezioni Unite, Primavera, del 2000,
per integrare il requisito della “ingente quantità”, è necessario che la dimensione ponderale
della sostanza stupefacente presenti “accenti di eccezionalità”, detta eccezionalità non potrà
che essere valutata se non come “strappo” a un criterio di (relativa) regolarità. Ora, avendo
presente il quantitativo, numericamente espresso in milligrammi, indicato nella tabella più
volte menzionata, ovvero il così detto valore-soglia (750 per la cocaina, 250 per l’eroina, 1000
per l’hashish ecc.) e considerando che il grado di “purezza” delle sostanze cadute in sequestro
ed esaminate dai consulenti tossicologici – come riportato nelle sentenze di merito prese in
considerazione (cfr. supra, i punti da 9.1 a 9.4) – è pari a oltre il 50% per la cocaina, al 25% per
la eroina, al 5% per l’hashish – tanto per circoscrivere l’analisi alle più diffuse sostanze
droganti – appaiono condivisibili, in via di prima approssimazione, i criteri indicati dalla Sesta
Sezione di questa Corte con le sentenze emesse a far tempo dal 2010. La conclusione, in ultima analisi, finisce per corrispondere a quei criteri di ragionevolezza, di
proporzionalità e di equità, che proprio la più volte ricordata sentenza Primavera, di queste
Sezioni unite, ebbe, a suo tempo, a indicare.
15.3. Più correttamente, tuttavia, per quel che si è anticipato, piuttosto che far riferimento al
valore ponderale globale, appare opportuno riferirsi, appunto, alle dosi-soglia, individuando,
come si diceva, in 2000 il limite al di sotto del quale non potrà essere di norma contestata
l’aggravante della ingente quantità, atteso che a tale limite corrispondono, in linea di
massima, i valori ponderali individuati come “medi” (rectius: non eccezionali) dalla
giurisprudenza di merito.
15.4. Indubbiamente, non si tratta di una rigorosa valutazione statistica, per la buona ed
evidente ragione – più volte ribadita – che i numeri sul traffico di sostanze stupefacenti sono
numeri oscuri; si tratta, viceversa, di una valutazione operata su dati processuali (essendo,
peraltro, la verità processuale l’unica conoscibile dal giudice), che, tuttavia, pur con inevitabili
margini di approssimazione, possono e devono essere assunti.
La soglia così stabilita, come si è chiarito, definisce tendenzialmente il limite quantitativo
minimo, nel senso che, al di sotto di essa, la “ingente quantità” non potrà essere di regola
ritenuta; al di sopra, viceversa, deve comunque soccorrere la valutazione in concreto del
giudice del merito.
In altre parole, i parametri sopra enucleati non determinano – di per sé e automaticamente – se
superati, la configurabilità dell’aggravante. Essi, invero, valgono solo in negativo, nel senso
che, al di sotto degli accennati valori quantitativi, l’aggravante (ex art. 80, comma 2, d.P.R. n.
309 del 1990) deve ritenersi in via di massima non sussistente.
16. Pertanto, con riferimento alla questione sottoposta alle Sezioni Unite, si deve enunciare il
seguente principio di diritto: “L’aggravante della ingente quantità, di cui al comma 2 dell’art.
80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è di norma ravvisante quando la quantità sta inferiore a
2.000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza
nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del
giudice di merito, quando tale quantità sia superata”.
17. In conseguenza di tutto quanto premesso, mentre il ricorso dell’imputato va rigettato, con
conseguente condanna del B. al pagamento delle spese del procedimento, il ricorso del
Procuratore generale deve essere accolto, disponendosi, per l’effetto, l’annullamento con rinvio
ad altro giudice di appello, da individuare nella Corte di appello di Perugia, che farà
applicazione del principio sopra enunciato.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del Procuratore generale, annulla la sentenza impugnata
limitatamente al punto concernente l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del
1990 e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia.
Rigetta il ricorso dell’imputato, che condanna al pagamento delle spese del procedimento.