Cassazione penale sezione III sentenza 31 marzo 2011 n 17211
Nozione di “ingente quantità” di materiale pedo-pornografico. Può definirsi di “ingente quantità” un numero molto grande, rilevante o consistente di immagini pedopornografiche il cui possesso contribuisca concretamente ad alimentarne l’illecito mercato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENTILE Mario – Presidente
Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla I. – rel. Consigliere
Dott. SARNO Giulio – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente sentenza

sul ricorso proposto da: R.G., nato a (OMISSIS), indagato art.
600 quater c.p.;
avverso l’ordinanza del Tribunale per il Riesame di Venezia in
data 6.7.10;
Sentita la relazione del cons. Dott. MULLIRI Guicla I.;
Sentito il P.M. nella persona del P.G. Dott. BAGLIONE Tindari,
che ha chiesto il rigetto del ricorso.

OSSERVA
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Nei confronti
dell’odierno ricorrente è stata disposta la misura della custodia
cautelare in carcere in quanto ritenuta l’unica adeguata a
contrastare il pericolo conseguente all’accusa mossagli di
avere detenuto 175 DVD contenenti immagini pedo-

pornografiche e di avere, quindi, violato l’art. 600 quater,
aggravato ai sensi del comma 2, c.p. per l'”ingente quantità”
del materiale posseduto.
Con l’ordinanza qui impugnata, il Tribunale ha respinto il
riesame promosso dinanzi ad esso.
Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso, tramite
il difensore, deducendo: 1) violazione di legge e vizio di motivazione (sotto il profilo della
“illogicità per contraddittorietà”) (art. 606 c.p.p., lett. c) ed e))
con riferimento alla aggravante ritenuta sussistente. Si fa,
infatti, notare che essa è il risultato di una valutazione
sommaria da parte della P.G. che ha visionato soltanto una
trentina di supporti sì da non potersi ritenere giustificato
presumere che anche tutti gli altri avessero lo stesso contenuto.
In ogni caso, quest’ultimo non può essere correttamente
definibile pedopornografico perchè, se è vero che i supporti
visionati riguardano minori nudi, non tutti contengono
“riferimenti a condotte sessualmente esplicite” nè “esibizioni
lascive dei genitali”.www.penalecontemporaneo.it
Difettano, quindi, i requisiti indicati nella stessa decisione
2004/68 GAI del 22.12.03 del Consiglio Europeo, riconosciuta
anche dalla giurisprudenza di questa S.C..
Sempre con riferimento, poi, alla nozione di “ingente quantità”,
si stigmatizza il fatto che l’ordinanza ometta anche di indicare il
quantitativo di immagini – considerato nel caso concreto
come “ingente” – sì da ritenere che i giudici si siano attestati su
un concetto astratto della nozione di “ingente”.
2) violazione di legge e vizio di motivazione (sotto il profilo della
“illogicità per contraddittorietà”) (art. 606 c.p.p., lett. c) ed e))
da ravvisarsi negli apprezzamenti del Tribunale in punto di
adeguatezza della misura applicata. Se è vero, infatti, che
l’indagato è insegnate ed è, quindi, a contatto con i minori,
non risulta che egli abbia mai riportato censure di natura
disciplinare per via dei suoi atteggiamenti con i minori. Al
contrario, egli è persona mite ed immune da pregiudizi anche
penali.
Del tutto generico ed indimostrato, poi, sarebbe l’asserto del
Tribunale secondo cui l’alternativa misura degli arresti
domiciliari non è idonea a prevenire il rischio che egli si
procacci altro materiale illecito per via telematica.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza
impugnata.

MOTIVI DELLA DECISIONE
2. – Il ricorso è infondato.
2.1. Nessun vizio motivazionale può ravvisarsi nel
provvedimento impugnato sotto i profili denunciati nel primo
motivo. Ed infatti, in primo luogo, le argomentazioni tese a negare la
natura pedopornografica del materiale in sequestro sono
inficiate dall’equivoco di fondo di ritenere che la verifica di
questa S.C. sulla correttezza della motivazione si identifichi con
una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite ovvero con
la possibilità di formulare un giudizio che risulti diverso da quello
espresso dai giudici di merito sull’intrinseca adeguatezza della
valutazione dei risultati probatori o sull’attendibilità delle fonti di
prova.
Ciè è ben lungi dall’essere vero.
Il controllo della logicità della motivazione, infatti, è circoscritto
alla verifica della esistenza di una spiegazione adeguata ed
ancorata alle risultanze processuali delle quali non sia data
una lettura manifestamente illogica.
Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio ex art. 606
c.p.p., lett. e), è indispensabile dimostrare che il testo del
provvedimento impugnato è manifestamente carente di
motivazione e/o di logica; non è, invece, producente – come
qui si tenta di fare -opporre alla valutazione dei fatti,
contenuta nella decisione criticata, una diversa ricostruzione,
che, per di più, implicherebbe una incursione negli atti che
non è consentita in sede di legittimità (salvo quando venga
denunciata la violazione di una norma processuale).
Diversamente, infatti, a seguire il filo delle argomentazioni
proposte dal ricorrente, verrebbe
inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al
giudice di merito (ex multis: Sez. 1, 27.9.07, Formis, Rv. 237863;
Sez. 2, 11.1.07, Messina, Rv. 235716).
Tutto ciò, nella specie, si scontra anche con la constatazione
del fatto che il Tribunale ha argomentato in modo più che
adeguato nel replicare alla – del tutto identica – censura
sollevata dinanzi ad esso ed ha sottolineato che la natura
delle immagini detenute è da considerare “inequivoca….
come precisato negli atti di indagine e come attestato dalla
semplice visione di alcuni fotogrammi estratti dagli agenti
operanti dai dvd visionati e presenti, in copia tra gli atti del
procedimento”.
Alla stregua di tali rilievi è, perciò, fin troppo ovvio come sia
fuori luogo, non solo, rinnovare la medesima censura (al punto
da porre il motivo ai limiti dell’ammissibilità – Sez. 5, 27.1.05,
Giagnorio, Rv. 231708) ma, soprattutto, auspicare che nella
presente sede di legittimità si proceda ad una visione dei

fotogrammi o delle immagini dei dvd per valutarne la natura
pedo-pornografica o meno.
Più aperto è, invece, il profilo del primo motivo afferente la
sussistenza o meno dell’aggravante e, non a caso, anche il
Tribunale si è maggiormente diffuso sul punto della
ravvisabilità, nella specie, di “ingente quantità” del materiale
detenuto.
Prima di illustrare le ragioni per le quali la risposta del Tribunale
per il Riesame può definirsi corretta e non censurabile sotto
alcun profilo, giova premettere brevi considerazioni su un dato
normativo del quale la www.penalecontemporaneo.it
giurisprudenza, finora, non ha avuto occasione di occuparsi in
modo esplicito con diretto riferimento al materiale
pedopornografico.
Si può, iniziare con l’affermare che l’aggravante in esame ha
connotazioni fattuali di carattere obiettivo attenendo ad una
valutazione di carattere quantitativo di tipo oggettivizzato e
che ricalca circostanze di analoga portata previste dal codice
o da leggi speciali rispetto alle quali sono stati anche superati
dubbi di costituzionalità sollevati con riferimento alla
apparente indeterminatezza della nozione di “ingente
quantità” (così, ad es.Sez. 3, 20.11.07, Patrone, Rv. 238558, in
tema di rifiuti – D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260).
Del resto, è innegabile che l’uso di siffatte locuzioni (noto è

‘analogo caso della nozione di “modica quantità” in materia di
stupefacenti) rappresenta l’espressione di una legittima scelta
del legislatore di riservare al giudicante il potere di considerare
un fatto aggravato o attenuato in relazione agli innumerevoli,
e mai predeterminabili, casi della vita.
Come, però, accade abitualmente, di fronte all’uso, di siffatti
termini “di respiro” che rimandano alla valutazione
dell’interprete, la difficoltà risiede nella individuazione di
parametri che – senza avere la pretesa di contenere
numericamente entro “gabbie” precostituite i concetti da
definire – ne delimitino, tuttavia i “confini”.
Orbene, nel perseguire tale obiettivo, con riferimento alla
fattispecie che occupa (detenzione di materiale pedo-

pornografico) si può cominciare con l’osservare che
l’apprezzamento come “ingente”, del quantitativo di materiale
posseduto, è da ritenersi correlato al dato numerico delle
immagini contenute nei supporti più vari (l’uso del termine
generico “materiale” legittima tale conclusione).

La modernità dei tempi rende sempre più frequente la
diffusione di detto “materiale” per via telematica e la sua
detenzione su supporti informatici (come è il caso in esame).
Ne consegue che la valutazione del carattere, ingente o
meno, del materiale va fatta con riferimento, non solo, al
numero di supporti (CD/DVD)
– dato che, già di per sè, può risultare indiziante – ma anche al
numero di “immagini” (da considerare come obiettiva unità di
misura) che ciascuno di essi contiene.
Proseguendo la riflessione, va poi considerato che – ammesso
e non concesso che, nel settore della pedopornografia possa
individuarsi una parametro di “normalità” per l’amante/fruitore
di immagini sessualmente orientate, che siano state realizzate
utilizzando minori degli anni diciotto – deve, comunque,

considerarsi (alla luce della struttura della norma di cui all’art.
600 quater c.p.) che evidentemente il legislatore, nel
disciplinare l’ipotesi di chi si procura o detiene materiale pedo-

pornografico ha inteso differenziare le pene per chi abbia solo
“alcune” immagini rispetto a chi disponga di un quantitativo di
esse tale da potersi definire “molto grande, rilevante,
consistente” (cosi come argomentatole dallo stesso significato
letterale annesso, nel dizionario della lingua italiana,
all’aggettivo “ingente”).
Tenendo, presente, perciò, la peculiarità del materiale di cui si
va discettando – come già fatto dalla giurisprudenza di questa
S.C. nello sforzo di offrire parametri interpretativi della analoga
nozione di “quantità ingenti” di sostanze stupefacenti (D.P.R. n.
309 del 1990, art. 80, comma 2) – si può dunque affermare che,
mutatis mutandis ed in via meramente tendenziale, mentre è
di certo punibile ai sensi dell’art. 600 quater, comma 1 chi
detenga poche immagini (ad. es., nell’ordine di qualche
decina – essendo poi rilevante ex art. 133 c.p. se si sia in
presenza di un numero attorno alla decina ovvero di quasi un
centinaio di immagini) – diverso è il caso di chi superi, più o
meno ampiamente, tali indicazioni di massima perchè è più
che intuibile, nella logica di mercato della domanda e
dell’offerta, la intrinseca gravità oggettiva della condotta di
chi si procura e/o detiene tale materiale, essendo più incisivo il
suo apporto alla diffusione del turpe mercimonio.
Siffatta interpretazione (ove si delinea un giusto bilanciamento
tra il dato numerico in sè e la carica di pericolosità sociale che
connota il fatto) è, del resto, in linea con l’approccio

interpretativo di questa S.C. anche nelle diverse materie (rifiuti
o stupefacenti) ove si incontrano concetti normativi analoghi.
Ed infatti, in tema di rifiuti, è stato detto che l’elemento
costitutivo della ingente quantità non può essere desunto, nè
automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità
dell’attività di gestione dei rifiuti, nè dal rapporto tra il
quantitativo di rifiuti gestiti illecitamente e l’intero quantitativo
di rifiuti trattati nella discarica, ma si deve, invece “far
riferimento al dato oggettivo della mole dei rifiuti non
autorizzati abusivamente gestiti” (sez. 6, 18.3.04, p.m. in proc.
Ostuni, Rv.www.penalecontemporaneo.it 229946).
Analogamente, in tema di sostanze stupefacenti, nella
individuazione di parametri che
qualifichino l’aggravante dell’ingente quantità, è stato posto
l’accento sulla circostanza che il quantitativo qualifichi il fatto
in termini di “grave pericolosità sociale” (Sez. 4, 1.2.11,
Ardizzone, Rv. 249076; Sez. 4, 3.6.10, Iberdemaj, Rv. 247823).
Si può, pertanto, affermare, in sintesi, che, ai fini della
ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 600 quater c.p.,
comma 2, è definibile di “ingente quantità” quel “materiale”
che offra la disponibilità di un numero “molto grande, rilevante
o consistente” di immagini pedo-pornografiche si da
contribuire concretamente ad incrementare il perverso
mercato.
Riportando le riflessioni che precedono al caso in esame, è
sicuramente molto corretto il percorso argomentativo dei
Giudici del Riesame quando affermano che, in relazione alla
specificità della fattispecie sub iudice, la nozione di ingente
quantità implica “la presenza di un quantitativo di immagini tali
da discostarsi, in termini davvero significativi da una condizione
di detenzione di un numero contenuto di immagini illecite
quale si riscontra nella pratica giudiziaria relativa ad episodi
illeciti di tal genere”.
Contestualizzando maggiormente il proprio convincimento, i
giudici richiamano giustamente l’attenzione sul fatto che si è in
presenza di “ben 175 dvd sequestrati” (dato che, come si
accennava in precedenza, è già di per sè sintomatico).
Quindi, in modo del tutto pertinente rispetto alle caratteristiche
del “materiale” di cui trattasi, i giudici evidenziano l’elevatissimo
numero di immagini che, come noto, siffatti supporti video
possono contenere”. Si tratta di una considerazione basata su un patrimonio
comune di conoscenze non discutibile e non contestabile, sia
che si pensi alle fotografie che ad immagini filmate.
Il Tribunale, poi, sottolinea anche che la totale verosimiglianza
che i 175 dvd fossero di contenuto pedopornografico si basa
sul rilievo che il controllo “a campione” di una trentina di tali
supporti ha dato risultati omogenei e che, anche ipotizzando
di escludere quelli che recavano titoli di noti films (“cfr
annotazione 4.6.2010”), si tratta di un numero tanto esiguo da
non incidere sul quantitativo complessivo di quelli a contenuto
pornografico.
Così ragionando, la motivazione impugnata, risulta
ineccepibile.
2.2. E’ infondato anche il secondo motivo.
Innanzitutto, preme evidenziare che l’asserto difensivo,
secondo cui l’indagato R. non avrebbe mai ricevuto censure, è
nettamente smentito, prima, dal Gip. (la cui ordinanza è in
parte qua richiamata – V. inizio f. 2 – “essendosi in presenza di
un soggetto svolgente la professione di insegnante il quale,
nonostante l’adozione di precedenti provvedimenti disciplinari,
per effetto del richiamato pregiudizio, specifico, aveva
comunque la possibilità di avvicinare minon”) e, poi, dal
Tribunale (f. 4) che sottolinea la “negativa personalità
dell’indagato, gravato da precedente specifico, intrattenutosi
con un minorenne in conversazioni aventi ad oggetto
argomenti di natura sessuale e sospeso dal servizio di
insegnante dallo stesso svolto, con affidamento di incarichi
non implicanti contatto con minori (cfr. annotazione Questura
di Vicenza 12.4.2010)”.
In ogni caso, l’intera motivazione che il Tribunale per il Riesame
adotta per sostenere l’adeguatezza della misura in corso ed
escludere la possibilità di adottarne una diversa (anche solo
quella degli arresti domiciliari), è congrua e logica ed, in
particolare è ragionevole – e dettato dal senso comune e
dalla esperienza circa il ridotto grado di controllabilità del
regime di arresti nel domicilio in uno con la diffusione di
strumenti informatici sofisticati e di minuscole dimensioni che
consentono la navigazione in rete – l’affermazione che, in casa,
l’indagato “potrebbe agevolmente reperire ulteriori strumenti
informatici da impiegare per procurarsi nuovo materiale
illecito”.

Nuovamente, dunque, ci si imbatte, da un lato, in un
provvedimento ben argomentato e, dall’altro, in un motivo di
ricorso con i si cerca di ottenere da questi giudici di legittimità
una rivalutazione fattuale.
Nel respingere il ricorso, seguono, per legge, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e la
comunicazione, ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, alle
autorità penitenziarie.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e seg. c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese
processuali.www.penalecontemporaneo.it
Visto l’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter

ordina

che a cura della cancelleria, sia trasmessa copia del presente
provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario
competente per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att.
c.p.p., comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 31 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2011

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