Cassazione civile sezione lavoro sentenza 12 ottobre 2012 n 17438
Malattia professionale, tabelle, causa di lavoro, prova, probabilità, rilevanza
La sezione llavoro
(Presidente La Terza – Relatore Bandini)
Svolgimento del processo
Con sentenza del 10 – 22.12.2009 la Corte d’appello di Brescia,
in riforma della pronuncia di prime cure, condannò l’Inail a
corrispondere a M. I. la rendita per malattia professionale
prevista per l’invalidità all’80%.
Il M. aveva agito in giudizio deducendo che, in conseguenza
dell’uso lavorativo protratto, per dodici anni e per 5-6 ore al
giorno, di telefoni cordless e cellulari all’orecchio sinistro aveva
contratto una grave patologia tumorale; le prove acquisite e
le indagini medico legali avevano permesso di accertare, nel
corso del giudizio, la sussistenza dei presupposti fattuali dedotti,
in ordine sia all’uso nei termini indicati dei telefoni nel corso
dell’attività lavorativa, sia all’effettiva insorgenza di un
“neurinoma del Ganglio di Gasser” (tumore che colpisce i nervi
cranici, in particolare il nervo acustico e, più raramente, come
nel caso di specie, il nervo cranico trigemino), con esiti
assolutamente severi nonostante le terapie, anche di natura
chirurgica, praticate; sulla ricorrenza di tali elementi fattuali,
come evidenziato nella sentenza impugnata, non erano state
svolte contestazioni in sede di appello, incentrandosi la
questione devoluta al Giudice del gravame sul nesso causale
tra l’uso dei telefoni e l’insorgenza della patologia.
La Corte territoriale, rinnovata la consulenza medico legale,
ritenne dì dover seguire le conclusioni a cui era pervenuto il
CTU nominato in grado d’appello, osservando in particolare
quanto segue:
– i telefoni mobili (cordless) e i telefoni cellulari funzionano
attraverso onde elettromagnetiche e, secondo il CTU, “In
letteratura gli studi sui tumori cerebrali per quanto riguarda il
neurinoma considerano il tumore con localizzazione al nervo
acustico che è il più frequente. Trattandosi del medesimo
istotipo è del tutto logico assimilare i dati al neurinoma del
trigemino”; in particolare era stato osservato che i due
neurinomi appartengono al medesimo distretto corporeo, inquanto entrambi i nervi interessati si trovano nell’angolo ponto-
cerebellare, che è una porzione ben definita e ristretta dello
spazio endocranico, certamente compresa nel campo
magnetico che si genera dall’utilizzo dei telefoni cellulari e
cordless;
nella CTU erano stati riassunti con una tabella alcuni studi
effettuati dal 2005 al 2009 ed in tre, effettuati dall’Hardell
group, era stato evidenziato un aumento significativo de!
rischio relativo di neurinoma (intendendosi per rischio relativo la
misura di associazione fra l’esposizione ad un particolare
fattore di rischio e l’insorgenza di una definita malattia,
calcolata come il rapporto fra i tassi di incidenza negli esposti
[numeratore] e nei non esposti [denominatore]);
– un lavoro del 2009 del medesimo gruppo aveva considerato
anche altri elementi quali età dell’esposizione, l’ipsilateralità e il
tempo di esposizione, indicando, per quanto riguarda il
neurinoma dell’acustico, un Odd ratio per l’uso dei cordless di
1,5 e per il telefono cellulare di 1,7; considerando l’uso
maggiore di 10 anni, gli Odd ratio erano rispettivamente di 1,3
e di 1,9, intendendosi per Odd ratio il rapporto tra la frequenza
con la quale un evento si verifica in un gruppo di pazienti e la
frequenza con la quale lo stesso evento si verifica in un gruppo
di pazienti di controllo, onde se il valore dell’Odd ratio è
superiore a 1 significa che la probabilità che si verifichi l’evento
considerato (per esempio una malattia) in un gruppo (per
esempio tra gli esposti) è superiore rispetto a quella di un altro
gruppo (per esempio tra i non esposti), mentre significato
opposto ha un valore inferiore a 1;
– una recente review della The International Commission on
Non- lonizing Radiation Protection aveva evidenziato i limiti
degli studi epidemiologici fino ad allora attuati, concludendo
che, allo stato attuale, non vi era una convincente evidenza
del ruolo delle radiofrequenze nella genesi dei tumori, ma
aggiungendo che gli studi non ne avevano escluso
l’associazione;
– un’ulteriore autorevole review (Kundi nel 2009) aveva
confermato i dubbi che gli studi epidemiologici inducono per
quanto riguarda il tempo di esposizione e concluso per un
rischio individuale basso, ma presente; l’esposizione poteva
incidere sulla storia naturale della neoplasia in vari modi:
interagendo nella fase iniziale di induzione, intervenendo sul
tempo di sviluppo dei tumori a lenta crescita, come i neurinomi, accelerandola ed evitando la possibile naturale
involuzione;
– l’analisi della letteratura non portava quindi ad un giudizio
esaustivo, ma, con tutti i limiti insiti nella tipologia degli studi, un
rischio aggiuntivo per i tumori cerebrali, ed in particolare per il
neurinoma, era documentato dopo un’esposizione per più di
10 anni a radiofrequenze emesse da telefoni portatili e cellulari;
– tale tempo di esposizione era un elemento valutativo molto
rilevante, poiché, nello studio del 2006, l’esposizione per più di
10 anni comportava un rischio relativo calcolato di 2,9
sicuramente significativo;
– si trattava quindi di una situazione “individuale” che gli esperti
riconducevano al “modello probabilistico-induttivo” ed alla
“causalità debole”, avente comunque valenza in sede
previdenziale;
– doveva dunque riconoscersi, secondo il CTU, un ruolo almeno
concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia
subita dall’assicurato, configurante probabilità qualificata:
– la censura dell’lnail relativa agli studi utilizzati dal CTU non
coglieva nel segno, poiché lo studio del 2000 dell’OMS, che
aveva escluso effetti negativi per la salute, si era basato su dati
ancor più risalenti, non tenendo quindi conto dell’uso più
recente, ben più massiccio e diffuso, di tali apparecchi e del
fatto che si tratta di tumori a lenta insorgenza, risultando quindi
più attendibili gli studi svolti nel 2009;
– inoltre, come osservato dal CT di parte M., gli studi del 2009
non erano stati condotti su un basso numero di casi, ma, al
contrario, sul numero totale dei casi (679) che si erano verificati
in un anno in Italia; inoltre, a differenza dello studio della IARC,
co-finanziato dalla ditte produttrici di telefoni cellulari, gli studi
citati dal CTU erano indipendenti;
– ancora, secondo quanto osservato dal CT di parte M.,
confrontando il dato di rischio individuale calcolato dal CTU
(2,9) con quello rilevato per il fattore di rischio, universalmente
riconosciuto, dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti, doveva
considerarsi come per i sopravvissuti alle esplosioni atomiche
giapponesi di Hiroshima e Nagasaki fosse stato accertato un
rischio relativo di tipo oncologico di 1,39 per “tutti i tumori” con
un minimo di 1,22 per i tumori di “utero e cervice” ed un
massimo di 4,92 per la “leucemia”, il che stava a significare che
il rischio oncogeno medio delle radiazioni ionizzanti era
inferiore a quello che si aveva per l’esposizione alle radio
frequenze in riferimento ai neurinomi endocranici, ciò che
rendeva ancora più evidente la reale portata di quanto
affermato dal CTU;
– secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità,
nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche
in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della
causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata
in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la
rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale,
questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante
grado di probabilità; e, a tale riguardo, il giudice deve non
solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova
ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le
conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di
nesso causale, considerando che la natura professionale della
malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità
dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei
macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della
prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori
extralavorativi, alternativi o concorrenti che possano costituire
causa della malattia;
– doveva quindi ritenersi la sussistenza del requisito di elevata
probabilità che integra il nesso causale richiesto dalla
normativa. Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale
rinati ha proposto ricorso fondato su due motivi e illustrato con
memoria L’intimato M. I. ha resistito con controricorso, illustrato
con memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente denuncia violazione
dell’art. 3 dpr n. 1124/65, rilevando che, secondo i principi di
diritto elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, la
corretta applicazione della norma suddetta richiede, in
particolare, l’accertamento sulla base di dati epidemiologici e
di letteratura ritenuti affidabili dalla comunità scientifica, che
l’agente dedotto in giudizio sia dotato di efficienza
patogenetica, quanto meno probabile, per la specifica
malattia allegata e diagnosticata; la suddetta relazione
causale non poteva dunque essere suffragata “dalla personale
valutazione dell’ausiliario del giudice, fondata sulla preferenza
per taluni dati epidemiologici rispetto ad altri, ma deve essere
supportata da un giudizio di affidabilità dei dati stessi espresso dalla comunità scientifica”; nel caso di specie il CTU si era
soffermato esclusivamente sui risultati del gruppo Hardell, in
contrasto con quelli della comunità scientifica; inoltre il CTU
aveva del tutto arbitrariamente utilizzato la contabilità tra
esposizioni a radiofrequenze e neurinoma del nervo acustico,
ipotizzata dal gruppo Hardeil, per affermare la relazione
causale, addirittura con giudizio di probabilità qualificata, tra
tali radiofrequenze e il neurinoma del trigemino; doveva al
riguardo rilevarsi che la Commissione scientifica per
l’elaborazione e la revisione periodica delle malattie di cui è
obbligatoria la segnalazione ai sensi dell’art. 139 dpr n. 1124/65,
in occasione dell’aggiornamento dell’elenco approvato con
decreto ministeriale 11.12.2009, non aveva ritenuto di dover
includere i tumori dei nervi cranici, indotti da esposizione alle
radiofrequenze, tra le malattie di possibile origine professionale.
1.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso di
malattia professionale non tabellata, come anche in quello di
malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di
lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in
termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la
rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale,
questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante
grado di probabilità; a tale riguardo, il giudice deve non solo
consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e
ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni
probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso
causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa ex officio diretta ad
acquisire ulteriori elementi in relazione all’entità ed
all’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio ed anche
considerando che la natura professionale della malattia può
essere desunta con elevato grado di probabilità dalla
tipologia delle lavorazioni svolte, dalia natura dei macchinari
presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione
lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi
o concorrenti, che possano costituire causa della malattia (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 6434/1994; 5352/2002; 11128/2004;
15080/2009).
La sentenza impugnata ha fatto applicazione di tali principi,
ravvisando, in base alle considerazioni diffusamente esposte
nello storico di lite, la sussistenza del requisito di elevata
probabilità che integra il nesso causale.
Non è quindi ravvisabile il denunciato vizio di violazione di
legge, che si fonda infatti su una pretesa erronea valutazione
(da parte del CTU e della Corte territoriale) della affidabilità
dei dati presi in considerazione al fine di suffragare tale
requisito e, pertanto, sostanzialmente su un vizio di motivazione
(in effetti dedotto con il secondo motivo di ricorso).
Il motivo all’esame va pertanto disatteso.
2. Con il secondo motivo l’Istituto ricorrente denuncia appunto
vizio di motivazione, assumendo che:
– il CTU di secondo grado, dopo avere evidenziato che la
review della The International Commission on Non-lonizing
Radiation Protection aveva concluso che, allo stato attuale,
non vi era una convincente evidenza del ruolo delle
radiofrequenze nella genesi dei tumori, pur non
escludendosene l’associazione, senza consequenzialità logica
e senza motivazione aveva tratto la conclusione della
probabilità qualificata di un ruolo almeno concausale delle
radiofrequenze nella genesi della neoplasia per cui è causa;
– doveva ritenersi priva dì qualsivoglia fondamento scientifico
la ritenuta assimilabilità, sul piano eziopatogenetico, del
neurinoma del nervo acustico e di quello del trigemino,
essendo “nozione comune” della scienza medica che tumori
dello stesso istotipo, ma con localizzazione diversa, anche se
nell’ambito dello stesso distretto anatomico, riconoscono
cause diverse e che qualsiasi potenziale agente cancerogeno
che venga in contatto con il corpo umano modifica la sua
azione a seconda dei tessuti che attraversa o con cui viene in
contatto; e, in effetti, il nervo acustico e il nervo trigemino, in
particolare il ganglio di Gasser, hanno una diversa
collocazione nella teca cranica e diverse sono le strutture
anatomiche che li separano dall’esterno e fra loro;
la Corte territoriale non aveva risposto alle osservazioni svolte
dall’Istituto, anche con riferimento alla circostanza che era “in
corso” uno studio epidemiologico internazionale “interphone”,
coordinato dalla IARC e che l’OMS, in base al principio di
precauzione, aveva suggerito “una politica di gestione del
rischio che viene applicata in una situazione di “incertezza
scientifica””:
– doveva ritenersi inconferente sul piano scientifico
l’affermazione della Corte territoriale circa l’attendibilità,
perché indipendente, dello studio del gruppo Hardell, a fronte
del cofinanziamento della ricerca “interphone” da parte dei produttori di telefoni cellulari, trascurando che tale ricerca è
finanziata dalla Unione Europea e diretta e coordinata dalla
IARC (Agenzia internazionale ricerca sul cancro dell’OMS);
– neppure la Corte territoriale aveva ritenuto di chiamare il CTU
a chiarimenti a fronte delle ricordate osservazioni critiche.
2.1. La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente
affermato che nei giudizi in cui sia stata esperita CTU di tipo
medico-legale, nei caso in cui il giudice del merito si basi sulle
conclusioni dell’ausiliario giudiziario, affinché i lamentati errori e
lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di
motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è
necessario che i relativi vizi logico -formali si concretino in una
palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si
sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate,
con il relativo onere, a carico della parte interessata, di
indicare le relative fonti, senza potersi la stessa limitare a mere
considerazioni sulle prospettazioni operate dalla controparte,
che si traducono in una inammissibile critica del
convincimento del giudice di merito che si sia fondato, per
l’appunto, sulla consulenza tecnica (cfr, ex plurimis, Cass., nn.
16392/2004; 17324/2005; 7049/2007; 18906/2007).
Nel caso all’esame l’Istituto ricorrente, nel contestare la ritenuta
assimilabilità, sul piano eziopatogenetico, del neurinoma del
nervo acustico e di quello del trigemino, non specifica –
rifugiandosi nel concetto di “nozione comune” – le fonti
scientifiche, ritualmente dedotte ed acquisite al giudizio, in
base alle quali avrebbero dovuto ritenersi scientificamente
errate le affermazioni rese al riguardo dal CTU e seguite dalla
sentenza impugnata, finendo per richiedere al riguardo a
questa Corte una valutazione di merito inammissibile in sede di
legittimità.
Neppure è dato rilevare il preteso e denunciato vizio di
mancanza di consequenzialità logica e di motivazione in
ordine alle conclusioni della probabilità qualificata di un ruolo
almeno concausale delle radiofrequenze nella genesi della
neoplasia per cui è causa, posto che tale giudizio, come
diffusamente esposto nello storico di lite, non discende dalla
mera indicazione delle conclusioni (evidentemente difformi) a
cui era pervenuta la ricordata review della The International
Commission on Non-lonizing Radiation Protection, ma,
piuttosto, dai riscontri di altri studi a carattere epidemiologico
svolti al riguardo. Inoltre, e significativamente, la sentenza impugnata, seguendo
le osservazioni del CTU, ha ritenuto di dover ritenere di
particolare rilievo quegli studi che avevano preso in
considerazione anche altri elementi, quali l’età dell’esposizione,
l’ipsilateralità e il tempo di esposizione, atteso che, nella
specie, doveva valutarsi la sussistenza del nesso causale in
relazione ad una situazione fattuale dei tutto particolare,
caratterizzata da un’esposizione alle radiofrequenze per un
lasso temporale continuativo molto lungo (circa 12 anni), per
una media giornaliera di 5 – 6 ore e concentrata
principalmente sull’orecchio sinistro dell’assicurato (che, com’è
di piana evidenza, concretizza una situazione affatto diversa
da un normale uso non professionale del telefono cellulare).
L’ulteriore rilievo circa la maggiore attendibilità proprio di tali
studi, stante la loro posizione di indipendenza, ossia per non
essere stati cofinanziati, a differenza di altri, anche dalle stesse
ditte produttrici di cellulari, costituisce ulteriore e non illogico
fondamento delle conclusioni accolte.
Né è stato dedotto – e tanto meno, dimostrato – che le indagini
epidemiologiche le cui conclusioni sono state prese in
particolare considerazione provengano da gruppi di lavoro
privi di serietà ed autorevolezza e, come tali, sostanzialmente
estranei alla comunità scientifica.
L’asserita prevalenza che, secondo il ricorrente, dovrebbe
essere attribuita alle conclusioni di altri gruppi di ricerca (le cui
indagini, peraltro, secondo quanto dedotto, almeno all’epoca
del giudizio di merito erano ancora “in corso”), si risolvono
anch’essi nella richiesta di un riesame del merito, non
consentito in sede di legittimità. Avendo inoltre la Corte
territoriale riscontrato nelle considerazioni già svolte dal CTU e
dal CT di parte M. elementi ritenuti sufficienti a confutare le
osservazioni critiche dell’Istituto, non sussisteva la necessità di
investire ulteriormente il CTU di una richiesta a chiarimenti.
Anche il secondo motivo di ricorso va quindi disatteso.
3. In definitiva il ricorso va rigettato
L’esito fra loro difforme dei giudizi di merito e la novità, sotto il
profilo della peculiarità fattuale, della vicenda dedotta in
causa, consigliano la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; spese compensate.