Avvocati – procedimento civile – elezione di domicilio – iscrizione del procuratore all’albo del distretto
Art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 – Tacita abrogazione per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 170 cod. proc. civ., delle norme che disciplinavano l’iscrizione nell’albo dei procuratori, e degli articoli 1 e 6 della legge 24 febbraio 1997, n. 27 – Configurabilità – Esclusione. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 7658 del 27/03/2013
Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 7658 del 27/03/2013
L’art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – non è stato tacitamente abrogato per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 170 cod. proc. civ., né delle norme che disciplinavano l’iscrizione nell’albo dei procuratori, né dagli articoli 1 e 6 della legge 24 febbraio 1997, n. 27 che, nel sopprimere la distinzione tra procuratori legali ed avvocati, non ha eliminato l’attività procuratoria. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360, n. 1, cod. proc. civ.)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. DI VIRGILIO Biagio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 30125-2011 proposto da:
M.F. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 110, presso l’avvocato MERLA GIOVANNI, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
E.J.A. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AUGUSTO AUBRY 5, presso l’avvocato TORRE MASSIMO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4404/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIOVANNI MERLA che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato MASSIMO TORRE per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 28-6-2009, M.F. ha adito la Corte d’Appello di Roma proponendo appello avverso la sentenza del Tribunale di Tivoli, in data 8-5-2008, con la quale era stata respinta la domanda dello stesso diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del matrimonio contratto per procura nello Stato del Messico con E.J.A..
Costituendosi in giudizio, la E. ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità e/o improcedibilità dell’appello perchè proposto oltre i termini di cui all’art. 325 c.p.c. stante l’avvenuta notifica della sentenza in data 22-7-2008 al procuratore costituito nel domicilio eletto presso la cancelleria del Tribunale di Tivoli, ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4404/10, dichiarava inammissibile l’appello.
Avverso la detta pronuncia ricorre per cassazione il M. sulla base di quattro motivi cui resiste con controricorso la E..
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il M. contesta la inammissibilità dell’appello ritenuta dalla Corte d’appello sulla scorta della considerazione che, essendo stata la sentenza del tribunale di Tivoli notificata dalla odierna resistente tramite deposito in cancelleria, non avendo esso M. eletto domicilio nel circondario di Tivoli, il gravame era stato proposto oltre il termine di trenta giorni.
Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo sostiene che il R.D. n. 37 del 1934, art. 82 risultava abrogato dalla legislazione successiva onde dello stesso la Corte d’appello non poteva fare applicazione.
Con il quinto motivo lamenta la mancata ammissione della prova per testi. I primi quattro motivi, proponendo censure che coinvolgono la stessa questione sotto diverse prospettive possono essere esaminati congiuntamente.
Gli stessi, basati su cinque censure,sono infondati e per certi versi inammissibili ex art. 360 bis c.p.c..
1) La prima censura si basa sull’affermazione che il R.D. n. 37 del 1934, art. 82 sarebbe stato abrogato dal successivo R.D. n. 1443 del 1940 con cui è stato promulgato il nuovo codice di procedura civile.
L’assunto in questione è in contrasto con quanto costantemente espresso da questa Corte e confermato ancora una volta di recente dalle Sezioni Unite (v. Cass sez un 10143/12) che ha ribadito l’orientamento, iniziato già con la sentenza n. 2823 del 1954, secondo cui “l’art. 82 non può ritenersi tacitamente abrogato a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice di rito (e segnatamente dell’art. 170 c.p.c.), nè delle norme che disciplinano l’iscrizione nell’albo dei procuratori”.
In particolare, tale abrogazione deve escludersi per il fatto che “l’art. 170 c.p.c. – a cui rinvia l’art. 285 c.p.c. per la notificazione della sentenza agli effetti della decorrenza del termine per l’impugnazione -si limita ad indicare soltanto la persona nei cui confronti la notifica deve essere effettuata, senza determinare anche il luogo in cui la notifica deve essere eseguita.
(Cass., sez. 3, 10 agosto 1965, n. 1919, Cass., sez. 2, 23 maggio 1975, n. 2053; sez. 2, 5 agosto 1976, n. 3018)”.
Tale orientamento vale ad escludere altresì che l’entrata in vigore del codice di procedura civile del 1942,in quanto tale, possa avere abrogato il R.D. n. 37 del 1934, art. 82.
Se infatti è stato ritenuto che la norma specifica dell’art. 170 del codice che prevede il soggetto cui deve effettuarsi la notifica non riguarda e non incide sulla disposizione di cui all’art. 82 in questione che riguarda, invece, il luogo della notifica, ciò necessariamente implica che nel codice di procedura non vi siano altre norme incompatibili con il R.D. n. 37 del 1934, art. 82 che possano averne comportato l’abrogazione. L’assunto del ricorrente poi, secondo cui, ai sensi dell’art. 15 disp. gen., l’entrata in vigore di una normativa a carattere generale comporterebbe l’abrogazione indiscriminata di ogni normativa in precedenza esistente in materia, non trova alcun riscontro nel caso di specie dal momento che il R.D. n. 37 del 1934 reca norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore e dunque disciplina materia del tutto diversa rispetto alle disposizioni del codice di procedura civile;
2) La seconda censura si basa sull’assunto secondo cui il richiamato art. 82 si applicherebbe semmai solo al giudizio di primo grado e non anche a quello di appello come affermato da alcune recenti sentenze di questa Corte (Cass 13587/09; cass 11486/10).
Anche tale censura è infondata avendo le Sezioni Unite di questa Corte con la già citata sentenza n. 10143/12, intervenuta proprio per dirimere il contrasto insorto per effetto delle sentenze richiamate dal ricorrente, confermato l’orientamento da anni consolidato (vedi quanto a quest’ultimo Cass., sez. lav., 26 ottobre 1987, n. 7899; sez. 1, 3 aprile 1992, n. 4081; sez. 1, 17 febbraio 1995, n. 1736. Inoltre in senso conforme: Cass., sez. 2, 23 dicembre 1999, n. 14476; sez. 1, 23 febbraio 2000, n. 2059; sez. 3, 28 luglio 2004, n. 14254; sez. 2, 25 febbraio 2008, n. 4812; sez. 2, 11 marzo 2008, n. 6502; sez. lav., 20 giugno 2008, n. 17005; sez. lav., 23 febbraio 2009, n. 27166; nonchè sia pur solo implicitamente, anche Cass., sez. 2, 11 aprile 2002, n. 5185; sez. 1, 26 ottobre 2007, n. 22542; sez. 3, 7 aprile 2009, n. 8377) basato sulla interpretazione letterale del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 che, come è noto, prescrive che “I procuratori, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso. In mancanza della elezione di domicilio, questo di intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria”.
Tale orientamento, confermato – come detto – dalla Sezione Unite di questa Corte ritiene che “il riferimento generico all’autorità giudiziaria comprende ogni giudice, sia quello di primo grado che quello dell’impugnazione….(omissis).
Il riferimento al tribunale, contenuto nell’art. 82, vale ad individuare, non già l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, bensì l’albo professionale al quale l’avvocato è iscritto. L’assegnazione dell’avvocato al tribunale significa null’altro che iscrizione nell’albo professionale tenuto da ciascun ordine circondariale degli avvocati presso ogni tribunale che ha quindi come riferimento territoriale la circoscrizione del tribunale stesso (v. R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 14 che prevede che per ogni Tribunale civile e penale sono costituiti un albo di avvocati e, in passato, un albo di procuratori). Invece ampio – e nient’affatto limitato al tribunale – è il riferimento all’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso”, sicchè, in disparte le disposizioni speciali quali quelle dettate per il giudizio civile di cassazione dall’art. 366 c.p.p. e ora per il giudizio amministrativo dall’art. 25 cod.proc.amm., la disposizione riguarda anche i giudizi proposti in sede di impugnazione e segnatamente quelli instaurati innanzi alle corti d’appello. Del resto mentre esistono gli ordini circondariali che provvedono alla tenuta degli albi degli avvocati presso ciascun tribunale, non esiste un albo distrettuale costituito dall’insieme degli albi del circondario compresi nel distretto (Cass sez un 10143/12)”.
3) Con la terza doglianza il ricorrente sostiene che il R.D. n. 37 del 1994, art. 82 sarebbe stato abrogato dalla L. n. 27 del 1997.
L’assunto è infondato alla luce di due pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte nonchè di numerose altre delle sezioni ordinarie che hanno affermato che il R.D. n. 37 del 1934, art. 82 non è stato abrogato neanche per implicito dalla L. n. 27 del 1997, artt. 1 e 6 (Cass. sez. un. 20485/07; Cass 9349/09; Cass sez un 10143/12) che, nel sopprimere la distinzione tra procuratori legali e avvocati, non hanno eliminato l’attività procuratoria (Cass. n. 6692/2002). Il R.D. n. 37 del 1934, art. 82 cit. non si riferisce,infatti, ai procuratori legali, ma al procuratore, e, cioè, a chi esercita attività procuratoria della parte nel processo, imponendogli di eleggere domicilio nel luogo dove a sede l’autorità giudiziaria, prevedendo che, in mancanza, le notifiche si effettuino in cancelleria. Detta norma, quindi, conserva pieno vigore, anche a seguito della soppressione della figura professionale del procuratore legale, operando nei confronti del difensore, che svolga nel processo anche attività procuratoria della parte; nè la stessa può ritenersi abrogata per incompatibilità con le norme che stabiliscono la soppressione dell’albo dei procuratori legali (Cass 6959/01).
4) Con la quarta censura il ricorrente deduce la intervenuta abrogazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 ad opera della sopravvenuta normativa in tema di giudizio telematico ed in particolare, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2 convertito, con modifiche, nella L. 14 maggio 2005, n. 80. Il motivo è infondato.
Le modifiche introdotte dal citato decreto legge all’art. 170 c.p.c. ineriscono alla comunicazione di comparse e memorie per via elettronica e prevedono che le stesse possano essere autorizzate dal giudice nel rispetto della normativa in materia. Nel caso poi di impugnazione, il difensore deve indicare nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica ove desidera ricevere le comunicazioni. Per quanto concerne poi l’art. 176 c.p.c., tali modifiche riguardano la possibilità che le ordinanze emesse fuori udienze vengano comunicate ai difensori tramite fax o posta elettronica con la prescrizione per il difensore di indicare nel primo scritto utile i predetti numeri o indirizzi.
Tale normativa, come correttamente osservato dalla Corte d’appello, non inerisce in alcun modo alle notificazioni nè al regime della elezione di domicilio il cui regime resta così non modificato.
Si aggiunge che, come si dirà in seguito in relazione alla ulteriore normativa sopravvenuta, le modifiche introdotte agli artt. 170 e 176 c.p.c. dal D.L. n. 35 del 2005 prevedono non l’obbligo ma solo la possibilità di avvalersi delle comunicazioni via fax o indirizzo di posta elettronica per cui, anche a volere ritenere, in via di mera ipotesi, che le stesse avessero avuto incidenza sul R.D. n. 37 del 1934, art. 82, qualora i soggetti interessati non si fossero avvalsi di tale possibilità sarebbe stata comunque applicabile la disposizione di cui al R.D. n. 37 del 1934, art. 82.
In tale ipotesi sarebbe stato comunque onere per il ricorrente dimostrare di avere comunicato nel corso del giudizio di primo grado il proprio numero di fax o indirizzo di posta elettronica al quale inviare comunicazioni o notifiche; circostanza che non risulta in alcun modo dedotta.
La doglianza è quindi priva di ogni consistenza.
Il ricorrente deduce ò ulteriormente che l’art. 82 sarebbe stato abrogato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 51 convertito, con modifiche, nella L. 6 agosto 2008, n. 133 ulteriormente modificato dal D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4 convertito, con modificazioni nella L. 22 febbraio 2010, n. 24, che contiene prescrizioni in tema di comunicazioni e notificazioni per via telematica nell’ambito del processo civile.
Tale normativa è entrata in vigore successivamente alla notifica della sentenza di primo grado da parte della E., avvenuta in cancelleria il 22.7.08, e dello stesso appello del D.P., avvenuta il 28.6.09, mentre le disposizioni in esame pubblicate sulla GU del giugno 2008, sarebbero entrate in vigore solo a seguito della emanazione di un decreto ministeriale che alla data del 29 dicembre 2009 non risultava ancora emanato, stabilendo il D.L. n. 193 del 2009, art. 3 che lo stesso si sarebbe dovuto emanare entro il 1.9.2010.
La normativa in questione non sarebbe quindi comunque applicabile al caso di specie.
Tuttavia è opportuno rammentare che la detta normativa, e non già la precedente del 2005, ha avuto un impatto innovativo nel nostro sistema processuale riconosciuto dalle Sezioni Unite di questa Corte con la più volte citata sentenza n. 10143/12.
Con tale decisione si è osservato che il D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito in L. 22 febbraio 2010, n. 24, ha inserito nella sezione 4 “Delle comunicazioni e delle notificazioni” del libro 1 del codice di procedura civile un nuovo art. 149 bis intitolato “Notificazione a mezzo posta elettronica”, “che prevede, al primo comma, che, se non è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo.
Più recentemente il novellato art. 125 c.p.c., nel disciplinare il contenuto e sottoscrizione degli atti diparte, prescrive in generale che il difensore deve indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine. Il periodo “Il difensore deve, altresì, indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax” è stato aggiunto dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 35-ter, lett. a), conv., con mod., dalla L. 14 settembre 2011, n. 148.
Successivamente le parole “l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine” sono state così sostituite a quelle “il proprio indirizzo di posta elettronica certificata” dall’art. 25, comma 1, lett. a), L. 12 novembre 2011, n. 183. Per espressa previsione dell’art. 25, comma 5, L. cit.: “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge” (id est: 1 febbraio 2012 considerato che la legge è entrata in vigore il 1 gennaio 2012:
art. 36). Tale prescrizione ha carattere generale e riguarda sia il giudizio di primo grado che quello d’appello”. Alla luce di tale nuovo contesto normativo nonchè della sentenza n. 365 del 2010 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 22, commi 40 e 50, “nella parte in cui non prevede, a richiesta dell’opponente, che abbia dichiarato la residenza o eletto domicilio in un comune diverso da quello dove ha sede il giudice adito, modi di notificazione ammessi a questo fine dalle norme statali vigenti, alternativi al deposito presso la cancelleria” le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto che l’interpretazione dell’art. 82 cit., in chiave di prospective overrulling (ossia a partire dalla data suddetta – 10 febbraio 2012 – sicchè non rileva ratione temporis nel caso di specie), dovesse essere riadattata a questo mutato contesto normativo. Di conseguenza hanno affermato il principio secondo cui, all’onere dell’elezione di domicilio di cui al R.D. n. 37 del 1934, art. 82 “si affianca – a partire dall’entrata in vigore delle recenti modifiche delle disposizioni appena citate – la possibilità di indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata (che, rispetto alla notifica in cancelleria, è più spedita ed offre una garanzia molto maggiore per l’avvocato destinatario della notifica)… per cui a partire dalla data suddetta, l’art. 82 cit.
debba essere interpretato nel senso che dalla mancata osservanza dell’onere di elezione di domicilio di cui all’art. 82 per gli avvocati che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati consegue la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio solo se il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c., non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine”.
Ciò posto, resta fermo quanto in precedenza ripetutamente osservato e, cioè, che la nuova normativa appena esaminata non trova applicazione ratione temporis nel caso di specie onde il motivo va rigettato.
5) Con la quinta doglianza il ricorrente prospetta la questione di costituzionalità del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 poichè la norma non garantirebbe la conoscenza effettiva e non semplicemente legale in assenza della istituzione di un registro aperto al pubblico sia per annotare le domiciliazioni in cancelleria sia per annotare e rendere conoscibili tutti gli atti notificati in cancelleria. La prospettata questione di legittimità costituzionale appare, per un verso, inammissibile in quanto non sono riportati gli articoli della Costituzione che si ritengono violati dal R.D. n. 37 del 1934, art. 82 mentre, per altro verso, risulta manifestamente infondata essendosi su tale questione già pronunciata la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 5 del 2007 con cui ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 82 cit., in combinato disposto con l’art. 330 c.p.c., sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.. Ha affermato la Corte che la prescrizione dell’onere di indicazione della residenza o dell’elezione di domicilio nel Comune sede del giudice adito, con i sacrifici che ad essa si correlano, esprime una scelta.
ragionevole e quindi non lesiva del diritto di azione, in quanto funzionale a un più immediato ed agevole espletamento delle formalità della notificazione; mentre tale mancata elezione di domicilio non impedisce nè rende particolarmente gravoso il diritto di difesa, in quanto il difensore ben può con l’ordinaria diligenza informarsi presso il cancelliere, ritirare l’atto e provvedere così alla sua difesa, in quanto detta forma di notificazione, fra l’altro, consegue al mancato adempimento dell’onere imposto al difensore dalle norme impugnate e quindi è a lui imputabile. (vedi Cass 10143/12).
Con il quinto ricorso motivo di ricorso il ricorrente lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alle modalità di reperimento della notifica della sentenza di primo grado presso la cancelleria del tribunale di Tivoli nonchè si duole della mancata ammissione della prova per testi sul punto.
Sul punto la Corte d’appello ha rilevato che “Il M. non aveva neppure dedotto di essersi recato presso la cancelleria e di non avervi reperito la sentenza notificata ma si era limitato ad effettuare rilievi del tutto generici chiedendo di dimostrare lo stato di disordine esistente presso la cancelleria del tribunale di Tivoli, senza alcun riferimento al caso concreto”.
Il ricorrente per dimostrare l’erroneità e l’insufficienza di tale motivazione derivante dall’esame degli atti di causa, avrebbe dovuto indicare specificatamente nel ricorso, riportandone il testo, i brani degli scritti difensivi ove aveva dedotto l’effettuata ricerca presso il Tribunale ed il mancato reperimento della sentenza notificata.
Nulla di tutto ciò si rinviene nel ricorso ove il ricorrente apoditticamente afferma l’effettuazione di detta ricerca e lo stato di confusione presso il tribunale di Tivoli quanto alle notifiche degli atti presso la cancelleria senza però alcun riferimento concreto agli atti della fase di merito ove tale questione sarebbe stata dedotta, onde la censura è inammissibile. Quanto alla mancata ammissione della prova per testi, la stessa è avvenuta a ragione poichè il capitolo di prova dedotto dal ricorrente, per come lo stesso è riportato nel ricorso, si limita a voler dimostrare genericamente la situazione di confusione e disordine in cui vengono tenuto gli atti notificati presso la cancelleria del tribunale di Tivoli senza alcun riferimento alla fattispecie concreta onde la circostanza, anche se provata, sarebbe comunque irrilevante poichè da tale stato di disordine non sarebbe comunque desumibile la mancanza dell’atto ricercato o l’impossibilità a reperirlo ma semmai la difficoltà della ricerca. Il ricorso va pertanto respinto.
Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 5000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2013