Riflessioni sulla libera espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi in funzione di deflazione del contenzioso familiare. Cassazione Civile, sez. I, 23 Dicembre 2012 n. 23713.
a cura della dott.ssa Francesca Lucchese
Massima
L’ impegno negoziale assunto dai nubendi, il giorno prima della celebrazione del matrimonio, in caso di “fallimento” dello stesso è da ritenersi pienamente valido ed estraneo alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale in vista del divorzio) che intendono regolare l’intero assetto economico tra i coniugi ,o un profilo rilevante, con possibili arricchimenti e impoverimenti.
La Corte, infatti, ha qualificato l’accordo tra le parti come un vero e proprio contratto atipico, caratterizzato da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi e diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma c.c.. Ciò in quanto il “fallimento” del matrimonio è da considerarsi come un “evento condizionale” e non come causa genetica dell’accordo stesso.
Sintesi del caso
Il giorno prima della celebrazione del matrimonio i nubendi sottoscrivono una scrittura privata che prevede, in caso di fallimento dello stesso, che la moglie cederà al marito un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale.
Il marito, a saldo, si impegna a trasferire alla moglie un titolo BOT di lire 20.000.000.
Il Tribunale, dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi, rigettava la domanda riconvenzionale del marito volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2392 c.c. per l’esecuzione in forma specifica dell’impegno assunto con la scrittura privata.
Avverso tale sentenza propone appello il marito, limitando il gravame alla questione della validità ed eseguibilità del predetto impegno, assunto dalla moglie. La Corte D’appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, dichiara valido ed efficace l’accordo negoziale e invita la parte interessata ad attivarsi in separata sede per ottenere la pronuncia ex art. 2932 c.c.
La moglie impugna la sentenza ricorrendo per Cassazione.
La materia del contendere
La ricorrente sostiene che la scrittura privata oggetto di giudizio, traendo il proprio titolo genetico dal matrimonio, sarebbe da considerarsi nulla perché in contrasto con l’art. 160 c.c.
Quaestio juris
E’ da ritenersi valido l’impegno negoziale assunto dai nubendi prima della celebrazione del matrimonio? Qual è il valore giuridico di tale accordo?
Normativa di riferimento
• Art. 143 c.c. Diritti e doveri reciproci dei coniugi;
• Art. 160 c.c. Diritti inderogabili;
• Art. 1363 c.c. Interpretazione complessiva della clausole;
• Art. 1197 c.c. Prestazione in luogo dell’adempimento;
• Art. 1354 c.c. Condizione illecite o impossibili;
• Art. 1355 c.c. Condizione meramente potestativa;
• Art. 1322 c.c. Autonomia Contrattuale.
Nota esplicativa
La prima sezione della Corte di Cassazione si trova ad affrontare un’attuale questione in materia di autonomia negoziale dei coniugi.
Il caso prende le mosse da una scrittura privata sottoscritta dai nubendi il giorno prima della celebrazione del matrimonio. Tale accordo, qualificato dalla Corte come un vero e proprio contratto, prevedeva che in caso di fallimento del matrimonio la moglie avrebbe ceduto al marito un immobile di sua proprietà quale indennizzo alle spese affrontate dallo stesso per la sistemazione di un altro immobile adibito a casa coniugale.
Come è noto, secondo l’orientamento tradizionale gli accordi prematrimoniali, sottoscritti prima del matrimonio ovvero in sede di separazione consensuale in vista del futuro divorzio, sono da ritenersi nulli per illiceità della causa perché in contrasto con i diritti ed i doveri inderogabili previsti dalla legge per effetto del matrimonio (art. 160 c.c.).
Parte autorevole della dottrina, ha osservato che la nullità deve colpire ogni tipo di pattuizione volta alla preventiva ripartizione degli oneri economici tra i coniugi. Infatti, si è rilevato che in virtù dell’art. 143 c.c. opera tra i coniugi un dovere reciproco di contribuzione che non può essere in modo alcuno predeterminato nell’ an e nel quantum.
Con maggiore impegno esplicativo la Corte ha osservato che l’impegno negoziale della moglie deve qualificarsi come una sorta di datio in solutum (spese sostenute dall’altro coniuge per la sistemazione dell’immobile) e il “fallimento del matrimonio” deve essere considerato come mero evento condizionale e non come causa genetica dell’accordo.
In altri termini, il “fallimento del matrimonio” deve ricondursi nell’alveo della condizione sospensiva. Muovendo da tale rilievo si è argomentato che un utilizzo corretto delle regole di ermeneutica contrattuale previste, nello specifico, dall’art. 1363 c.c. porta a ritenere l’accordo tra le parti come una valida e libera espressione della loro autonomia negoziale.
Si è evidenziato, inoltre, che nella fattispecie concreta i coniugi hanno sottoscritto un vero e proprio contratto caratterizzato da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali. Infatti, applicando al caso di specie l’art. 1197 (Prestazione in luogo dell’adempimento), si è ritenuto che il trasferimento di un immobile è idoneo a costituire adempimento, con il consenso del creditore, rispetto all’obbligo di restituzione di somme spese per la sistemazione di un altro immobile adibito a casa coniugale.
Sulla base delle esposte argomentazioni i Giudici della Corte hanno osservato la condizione sospensiva è da ritenersi lecita ed apposta ad un contratto atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela così come previsto dall’art. 1322 c.c.
La Cassazione, in linea con una parte della giurisprudenza di legittimità, sembra essersi orientata nel riconoscere sempre più spazi di autonomia negoziale ai coniugi nel determinare i propri rapporti patrimoniali. Senza tuttavia dimenticare il rispetto dei diritti e dei doveri che caratterizzano il vincolo matrimoniale.
Dottrina
-F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, 2012;
Sentenze e precedenti conformi e difformi
Nullità accordi prematrimoniali:
-Cass. Civile, sez. I, 04.06.1992, n. 6857;
-Cass. Civile, sez. I, 10.03.2006, n. 5302;
-Cass. Civile, sez. I, 21.02.2001, n. 2492;
-Cass. Civile, sez. III, 14.06.2000, n. 8109.
Testo della sentenza
Con sentenza in data 14 dicembre 2005 il Tribunale di XXX dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra Y e X; affidava alla madre i figli minori, ponendo a carico del padre un contributo periodico al loro mantenimento; rigettava altresì la domanda riconvenzionale dell’ X, volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. per la esecuzione in forma specifica dell’impegno assunto, con scrittura privata, dalla Y, prima del matrimonio, di trasferire al X stesso la proprietà dell’immobile, in caso di “fallimento” del matrimonio stesso.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’ X limitando il gravame alla questione della validità ed eseguibilità del predetto impegno, assunto dalla moglie. Costituitasi, la Y chiedeva rigettarsi l’appello. La Corte di Appello di .., con sentenza in data 28/02/2007 – 14/03/2007, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di.., dichiarava valido ed efficace, nei confronti dell’ X, il predetto impegno negoziale della Y, omettendo peraltro pronuncia ex art. 2932 c.c., ed invitando la parte interessata ad attivarsi, al riguardo, in separata sede.
Ricorre per Cassazione la Y.
Non svolge attività difensiva l’X.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente sostiene che la scrittura privata in questione trarrebbe il proprio titolo genetico dal matrimonio e integrerebbe violazione dell’art. 160 c.c., ove si precisa che i coniugi non possono derogare ai doveri e diritti nascenti dal matrimonio.
Con il secondo lamenta la ricorrente insufficiente e contraddittoria motivazione della predetta scrittura.
La scrittura privata, sottoscritta dai nubendi il giorno prima della celebrazione del matrimonio, prevede che, in caso di suo fallimento (separazione o divorzio), la Y cederà al marito un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale; a saldo, comunque, l’X trasferirà alla moglie un titolo BOT di lire 20.000.000.
È evidente che la ricorrente inquadra la predetta scrittura tra gli accordi prematrimoniali in vista del divorzio, molto frequenti in altri Stati, segnatamente quelli di cultura anglosassone, dove essi svolgono una proficua funzione di deflazione delle controversie familiari e divorzili.
Come è noto, la giurisprudenza è orientata a ritenere tali accordi, assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, e in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (per tutte, Cass. n. 6857 del 1992). Tale orientamento è criticato da parte della dottrina, in quanto trascurerebbe di considerare adeguatamente non solo i principi del diritto di famiglia, ma la stessa evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più spazi di autonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale. È assai singolare che invece siano stati ritenuti validi accordi in vista di una dichiarazione di nullità del matrimonio, perché sarebbero correlati ad un procedimento dalle forti connotazioni inquisitorie, volto ad accertare l’esistenza o meno di una causa di invalidità del matrimonio, fuori da ogni potere negoziale di disposizione degli status: tra le altre, Cass. N. 348 del 1993).
Giurisprudenza più recente di questa Corte ha invece sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all’ordine pubblico: più specificamente il principio dell’indisponibilità preventiva dell’assegno di divorzio dovrebbe rinvenirsi nella tutela del coniuge economicamente più debole, e l’azione di nullità (relativa) sarebbe proponibile soltanto da questo (al riguardo, tra le altre, Cass. N. 8109 del 2000; n. 2492 del 2001; n. 5302/2006).
Va peraltro precisato che la sentenza impugnata, sorretta da motivazione ampia, articolata e non illogica, ha fornito un preciso inquadramento della scrittura privata in esame. Si tratta, all’evidenza, di valutazione di merito, insuscettibile di controllo in questa sede, ove immune da errori di diritto.
L’impegno negoziale della Y, una sorta di datio in solutum, viene collegato alle spese affrontate dall’ X per la sistemazione di altro immobile adibito a casa coniugale, e il fallimento del matrimonio non viene considerato come causa genetica dell’accordo, ma è degradato a mero “evento condizionale”. Prosegue la Corte di merito precisando che, uve causa genetica fosse il matrimonio (e il suo fallimento), l’impegno predetto, una sorte di sanzione dissuasiva volta a condizionare la libertà decisionale degli sposi anche in ordine all’assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale, sarebbe sicuramente nullo. Ma indice di tale ipotesi potrebbe essere soltanto una notevole sproporzione delle prestazioni, al contrario non provata.
L’argomentazione è censurata dalla ricorrente, ma, al contrario, la Corte territoriale ha fatto buon uso delle regole di ermeneutica contrattuale, in particolare con riferimento all’art. 1363 c.c., per cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.
Si tratterebbe in definitiva – si può aggiungere – di un accordo tra le parti, libera espressione della loro autonomia negoziale, estraneo peraltro alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in vista del divorzio, che intendono regolare l’intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti. Nella specie, dunque un accordo (rectius: un vero e proprio contratto) caratterizzato da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, secondo l’inquadramento effettuato dal giudice a quo.
Come si è detto, una motivazione adeguata e non illogica, e immune da errori di diritto.
Come è noto, ai sensi dell’art. 1197 c.c. il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, salvo che il creditore vi consenta; l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita. Nella specie, il trasferimento di immobile può sicuramente costituire adempimento, con l’accordo del creditore, rispetto all’obbligo di restituzione delle somme spese per la sistemazione di altro immobile, adibito a casa coniugale.
La condizione, nella specie sospensiva (il “fallimento” del matrimonio) non può essere meramente potestativa ai sensi dell’art. 1355 c.c., e cioè dipendere dalla mera volontà di uno dei contraenti (ciò che, nella specie, non potrebbe verificarsi, considerando, evidentemente, le parti tale “fallimento”, come fattore oggettivo, indipendentemente da eventuali responsabilità addebitabili all’uno o all’altro coniuge).
La condizione neppure può porsi in contrasto con norme imperative, l’ordine pubblico, il buon costume (in tal caso renderebbe nullo il contratto, ai sensi dell’art. 1354 c.c.). Dunque nulla sarebbe una condizione contraria all’art. 160 c.c., sopra indicato. E tuttavia, nella specie, essa appare pienamente conforme a tale disposizione, ove si consideri che in costanza di matrimonio (e prima della crisi familiare) opera tra i coniugi il dovere reciproco di contribuzione di cui all’art. 143 c.c.: il linguaggio comune spiega il significato adesso attribuito dal legislatore, è la parte che ciascuno conferisce, con cui si concorre, si coopera ad una spesa, al raggiungimento di un fine. Con la contribuzione, si realizza dunque il soddisfacimento reciproco dei bisogni materiali e spirituali di ciascun coniuge, con i mezzi derivati dalle sostanze e dalle capacità di ognuno di essi.
Può sicuramente ipotizzarsi che, nell’ambito di una stretta solidarietà tra i coniugi, i rapporti di dare ed avere patrimoniale subiscano, sul loro accordo, una sorta di quiescenza, una “sospensione” appunto, che cesserà con il “fallimento” del matrimonio, e con il venir meno, provvisoriamente con la separazione, e definitivamente con il divorzio, dei doveri e diritti coniugali.
Condizione lecita, dunque, nella specie, di un contratto atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, sicuramente diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma c.c..
Vanno pertanto rigettati i due motivi, in quanto infondati e, conclusivamente, il ricorso stesso.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso.
A norma dell’art. 52 D.L. 196/03, in caso diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri atti identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.
Roma, 14 Novembre 2012