Avv. Annunziata Staffieri

L’emergenza Covid-19 ha portato alla ribalta il tema dello smart working[1] che, allo stato, sembra essere un valido strumento in grado di evitare la chiusura precauzionale delle aziende italiane.

Trattasi di un istituto già collaudato in diverse emergenze per risolvere problemi di mobilità: si pensi al crollo del Ponte Morandi, nel 2018, a Genova.

Ma cosa si intende esattamente per “smart working” e quali sono i suoi benefici?

Lo “smart working” o lavoro agile è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento con la legge n. 81 del 22 maggio 2017 ( il cd “Job Act degli autonomi)  al fine di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e di incrementare la competitività delle aziende.

La citata fonte normativa ha infatti definito, all’art. 18,  lo smart working come quella “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

Da tale definizione emergono quelli che sono gli elementi caratterizzanti del lavoro agile:

1) la flessibilità organizzativa,

2) la volontarietà delle parti ,

3) l’utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento della prestazione lavorativa.

Non si tratta, dunque, di una nuova tipologia contrattuale ma di una diversa modalità di estrinsecazione di un normale contratto di lavoro subordinato che può essere utilizzata sia nel settore privato che in quello pubblico. Essa consente allo smart worker di poter lavorare in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte all’esterno, senza particolari  vincoli di orario e che può essere utilizzata sia nel settore privato che in quello pubblico.

Come precisato dal Chartered Institute of Personnel and Development “lo smart working è un approccio all’organizzazione del lavoro finalizzato a guidare con una migliore efficacia ed efficienza il raggiungimento degli obiettivi, attraverso la combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, puntando sull’ottimizzazione degli strumenti e delle tecnologie e garantendo ambienti di lavoro funzionali ai lavoratori”.

In un’ottica di maggiore flessibilità della prestazione lavorativa, nel lavoro agile vengono dunque meno due aspetti fondamentali del contratto di lavoro subordinato: l’orario e la sede di lavoro.

Le modalità di estrinsecazione del lavoro da remoto devono essere concordate tra il datore di lavoro e il lavoratore mediante accordo scritto nel quale andranno indicate:

  1. I dati identificativi delle parti del rapporto;
  2. Le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali e, dunque, l’indicazione del luogo dove verrà svolto il lavoro agile al di fuori dei locali dell’azienda. A tal uopo corre l’obbligo di precisare che quando il lavoratore svolge la prestazione lavorativa fuori dai locali aziendali non deve necessariamente utilizzare una postazione fissa;
  3. La durata dell’accordo, che potrà essere a tempo determinato oppure a tempo indeterminato;
  4. le forme di esercizio del potere direttivo, in considerazione del fatto che anche durante lo svolgimento dello smart working il lavoratore non è esonerato dal rispetto delle norme disciplinari;
  5. le forme di controllo del datore di lavoro, che dovranno avvenire in ogni caso nel rispetto dell’art. 4 della legge n.300/1970 ;
  6. gli strumenti informatici, che verranno utilizzati dal lavoratore per poter lavorare da remoto;
  7. Il rispetto dei tempi di riposo e del diritto alla disconnessione. Al fine di evitare un’integrale contaminazione dei tempi di vita con il tempi di lavoro, infatti, la prestazione lavorativa deve essere svolta nel rispetto della durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale . Per tale ragione nell’accordo devono essere altresì stabiliti i tempi di riposo dello smart worker e delle misure tecniche organizzative volte ad assicurare il fondamentale diritto del lavoratore alla cd “disconnessione” dal lavoro agile.

Il lavoratore è tenuto a garantire delle fasce orarie di disponibilità e durante tale arco temporale è tenuto ad essere reperibile al datore di lavoro e ai colleghi assicurando una tempestiva risposta.  Al di fuori di tale lasso di tempo tale tempestività non è richiesta: è diritto del lavoratore disconnettersi dalle strumentazioni tecnologici e informativi;

  1. Le modalità di recesso. Nel caso di lavoro agile a tempo indeterminato è riconosciuto a ciascuna delle parti il diritto di recedere dall’accordo dando all’altra parte un preavviso di recesso di almeno 30 giorni oppure 90 giorni in caso di dipendente disabile.
  2. Le previsioni relative alla tutela della salute e della sicurezza del lavatore. Il datore di lavoro resta responsabile della sicurezza del lavoratore anche se la prestazione lavorativa viene svolta in un ambiente che non può essere controllato dal medesimo in quanto il lavoro viene svolto dallo smart worker in parte al di fuori dei locali dell’azienda.

Pertanto, nel rispetto degli obblighi di sicurezza, l’azienda è tenuta a consegnare annualmente al lavoratore un’informativa scritta in cui sono indicati i rischi generali e specifici legati allo svolgimento del lavoro da remoto indicando altresì alcune regole comportamentali da seguire per escludere problemi di salute (ad esempio norme sull’illuminazione dei locali; disconnessione dal terminale ad intervalli di un certo numero di minuti ecc).

A sua volta il dipendente dovrà attestare che l’ambiente in cui svolge la propria attività lavorativa è salubre e privo di rischio per la propria salute.

E’ prevista la tutela anche in caso di infortuni e malattie professionali secondo le modalità illustrate dall’INAIL nella circolare n.47/2017.

 Durante lo svolgimento del lavoro agile deve essere riconosciuta al lavoratore la parità al trattamento normativo ed economico. Conseguentemente la retribuzione spettante al lavoratore resta invariata rispetto a quella percepita in precedenza ed anche le mansioni restano quelle fissate nel contratto individuale di lavoro.

Deve essere, inoltre, sempre garantito allo smart worker il diritto all’apprendimento permanente.

Non può essere sottaciuto che l’accordo in parola è oggetto di comunicazione obbligatoria ex art. 1, co.1180 della legge n.29672006: detta comunicazione deve indicare necessariamente anche la durata dell’accordo ed eventuali variazioni.

Numerosi sono anche gli accordi di secondo livello attivati dalle varie categorie come ad esempio:

  • Ferrovie dello Stato Spa: ACC 02-05-2017;
  • Energia (ENI): ACC 25-01-2017- art.5 bis;
  • Pulizia (cooperative Confsal): CCNL 15-03-2016- CAP7 art. 37;
  • Terziario (Confsal/Sistema Comm. e Impresa): ACCR2 20-04-2017- SEZ 4 art. 41 bis.

Evidenti sono pertanto i benefici del lavoro da remoto: si pensi al risparmio legato alla gestione delle sedi aziendali;,la riduzione degli spostamenti per i lavoratori, l’incremento della produttività individuale, l’abbassamento del tasso di assenteismo.

Ciò nonostante tale istituto, fine ad un recente passato, è stato poco utilizzato.

Attualmente il lavoro da remoto rappresenta invece una grande chance per le aziende italiane per fronteggiare e gestire la pandemia in corso.

A tale scopo giova annotare che il Consiglio dei Ministri ha varato il DPCM 23 febbraio 2020 che ha semplificato notevolmente l’accesso al lavoro agile, dapprima solo per le regioni operanti nelle zone rosse e nelle zone gialle e per i lavoratori provenienti da tali luoghi.

Lo smart working, in forza del citato decreto, nell’ambito delle sei Regioni italiane (l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia giulia, la Lombardia, il Piemonte, il Veneto e la Liguria.) era applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato, fino al 15 marzo scorso e senza la necessità di un preventivo accordo tra le parti.

In tali regioni, pertanto, il lavoro agile era immediatamente applicabile al fine di evitare la paralisi delle aziende del Nord Italia consentendo ai lavoratori costretti all’isolamento di poter lavorare da remoto.

Successivamente il Presidente del Consiglio dei Ministri, al fine di gestire e contenere l’emergenza epidemiologica da Covid-19, ha emanato un nuovo decreto, il DPCM del 1 marzo 2020, che interviene anche sulle modalità di accesso al lavoro agile.

L’art.4 del citato decreto, recante “ Ulteriori misure sull’intero territorio nazionale”, stabilisce che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della  legge 22 maggio 2017, n.81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza di accordi individuali ivi previsti.”

Quindi mentre il DPCM del 23 febbraio 2020 fissava, in via provvisoria, al 15 marzo 2020 il termine per l’adozione del lavoro agile, con il nuovo decreto emanato da Conte il 1 marzo 2020, la scadenza è fissata molto più in là nel tempo: è possibile fare ricorso allo smart working fino alla “durata dello stato di emergenza” che la delibera de Consiglio dei Ministri del 31 gennaio us stabilisce in sei mesi.

 Inoltre a differenza del precedente decreto potranno fare ricorso al lavoro agile tutte le imprese presenti nel territorio italiano e non invece solo quelle presenti nelle zone rosse.

Tra l’altro il Presidente del Consiglio dei Ministri con tale ultimo decreto ha semplificato notevolmente la procedura prevista dalla legge n.81 del 2017 per l’attivazione del lavoro da remoto: al fine contenere la pandemia in corso l’avvio di tale modalità lavorativa può prescindere dalla sottoscrizione di accordi individuali con ogni singolo smarter worker. L’azienda, dunque, può procedere unilateralmente.

Il citato decreto inoltre stabilisce che “gli obblighi di informativa di cui all’art.22 della legge 22 maggio 2017, n.81, sono assolti in via telematica”.

Con il DPCM del 1 marzo 2020, infine, “cessano di produrre effetti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020, nonché il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2020”.

Successivamente all’emanazione del decreto, il ministro della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, ha emanato la circolare n.1 del 4 marzo 2020, avente ad oggetto “Misure incentivanti per il ricorso a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa”

Con tale circolare il Ministro Dadone fornisce alcuni chiarimenti sulle modalità di implementazione degli istituti e degli strumenti, anche informatici, a cui le amministrazioni pubbliche, al di fuori delle zone rosse, possono fare ricorso per agevolare da parte dei propri dipendenti il ricorso a modalità che consentono agli stessi di poter svolgere in maniera più flessibile la propria prestazione lavorativa.

A  seguito di tale circolare, infatti,  il lavoro da remoto smette di essere sperimentale nell’ambito della Pubblica Amministrazione  per diventare una modalità prioritaria di svolgimento della prestazione lavorativa e persino obbligatoria per i pubblici dipendenti, con l’applicazione,  per i dirigenti che non dovessero provvedere ad adeguare gli uffici, di sanzioni consistenti in valutazioni negative che finirebbero per incidere pesantemente sulla quota di busta paga legata al raggiungimento dei  risultati .

Ciò in un’ottica di superamento progressivo del telelavoro e di incentivazione del ricorso a strumenti per la partecipazione da remoto a riunioni e incontri di lavoro (sistemi di videoconferenza e call conference), di utilizzo di soluzioni “cloud” per agevolare l’accesso condiviso a dati, documenti e informazioni.

Con la citata circolare si consente al dipendente di poter usare propri dispositivi in ipotesi di insufficienza o indisponibilità di strumenti informatici da parte della P.A. garantendo adeguati livelli di sicurezza e protezione della rete.

Le pubbliche amministrazioni sono infine invitate a comunicare al Dipartimento della Funzione pubblica le misure adottate entro il termine di sei mesi. Il monitoraggio da parte del Dipartimento è volto a verificare gli effetti delle misure normative al fine di eventuali successivi interventi modificativi o integrativi sulla normativa in esame. Lo stesso di emanazione della circolare Dadone (4 marzo 2020) il Presidente del Consiglio dei Ministri  ha firmato un nuovo decreto, il DPCM 4 marzo 2020, che ha cristallizzato l’accesso agevolato allo smart working già contenuto nel precedente Dpcm del 1° marzo 2020.

L’art. 1 del citato decreto, alla lettera n), conferma che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”. Qualche giorno prima, il 2 marzo scorso, il Presidente della Repubblica, preso atto dell’emergenza legata al propagarsi del coronavirus , aveva emanato il Decreto legge n . 9/2020 contenente  disposizioni che puntano ad assicurare un primo supporto economico sia  ai cittadini che alle imprese danneggiati dall’epidemia che ha colpito tutta la penisola. In particolare, relativamente ai Comuni della c.d. zona rossa, il Decreto era intervenuto prevedendo al Capo II varie “Misure in materia di lavoro privato e pubblico” ovvero:

  • la Cassa Integrazione Guadagni in deroga per le unità produttive operanti nei comuni elencati e per i lavoratori ivi domiciliati (tale deroga è estesa anche ai datori di lavoro iscritti al Fondo di Integrazione Salariale – FIS) per un periodo massimo di tre mesi (art. 13);
  • la possibilità di sospensione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per le imprese che vi avessero fatto ricorso prima dell’emergenza sanitaria e sostituzione con Cassa Integrazione Ordinaria, nel limite massimo di spesa pari a 0,9 milioni di euro per l’anno 2020 e per un periodo in ogni caso non superiore a tre mesi (art. 14);
  • la Cassa Integrazione Salariale in deroga per i datori di lavoro del settore privato, compreso quello agricolo, con unità produttive operanti nei comuni elencati e per i lavoratori ivi domiciliati, che non possano beneficiare dei vigenti strumenti di sostegno al reddito, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo massimo di tre mesi (art. 15);
  • indennità di 500 euro al mese, per un massimo di tre mesi, per i lavoratori che svolgono l’attività lavorativa in regime di collaborazione coordinata e continuativa, per gli agenti commerciali, per i professionisti e per i lavoratori autonomi domiciliati o che svolgono la propria attività nei comuni elencati, parametrata alla effettiva durata della sospensione dell’attività (art. 16).

Inoltre, l’art. 18 introduce misure di agevolazione allo svolgimento dello smart working da parte dei dipendenti pubblici per contrastare e contenere la pandemia in corso, e incrementa fino al 50% il valore inziale delle convenzioni “per la fornitura di personal computer portatili e tablet”. Il successivo art. 19, inoltre, equipara “il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva” al periodo di ricovero ospedaliero. Successivamente a seguito del dilagarsi della pandemia il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha firmato un nuovo decreto, il DPCM dell’8 marzo 2020 recante nuove disposizioni urgenti contro la diffusione del Coronavirus.  Tale nuovo decreto impone, fin da subito e fino al 3 aprile 2020, ulteriori restrizioni al movimento delle persone e all’operatività delle imprese. Inoltre per quanto riguarda il mondo del lavoro, tale decreto nel prevedere il rinvio di tutte le riunioni di lavoro, consente al datore di lavoro di optare per tre soluzioni: incentivare ulteriormente il lavoro agile, mettere in ferie i lavoratori o in congedo straordinario di 15 giorni. Viene infatti confermato lo smart working fino al 31 luglio con modalità semplificate su tutto il territorio nazionale ma con la raccomandazione, rivolta ai datori di lavoro sia pubblici che e privati, di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie da parte dei dipendenti. Inoltre il DPCM 8 marzo 2020, dispone per la regione Lombardia e altre 14 province del nord Italia di evitare  ogni spostamento in entrata e in uscita dalle regioni Lombardia e dalle  Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini; Pesaro e Urbino; Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che tali spostamenti siano motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero siano dettati da motivi di salute. Si consente il rientro al proprio domicilio, abitazione o residenza. Inoltre, sempre in tali zone viene raccomandato alle aziende pubbliche e private di promuovere (fino al 3 aprile 2020) la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e ferie, ferma restando la possibilità di ricorrere allo smart working semplificato, prevista su tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda il resto del territorio nazionale, il DPCM dell’8 marzo 2020 conferma le misure già in vigore per effetto dei DPCM 1° marzo e 4 marzo 2020: si ribadisce infatti la possibilità, per i datori di lavoro, di ricorrere allo smart working per la durata dello stato di emergenza ovvero fino al 31 luglio 2020, per ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi generali dettati dalla disciplina di base, anche in assenza degli accordi individuali. Gli obblighi di informativa in materia di sicurezza sul lavoro, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL. In aggiunta, si raccomanda ai datori di lavoro, ma solo “qualora sia possibile” di favorire la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti di periodi di congedo ordinario o di ferie. Non può essere sottaciuto che per le nuove attivazioni di smart working, dallo scorso 4 marzo 2020, il Ministero del Lavoro ha reso accessibile una procedura emergenziale semplificata. Detta procedura, attiva fino al 31 luglio 2020, consente il caricamento, con un unico flusso, di comunicazioni relative a più lavoratori. L’applicativo è accessibile tramite SPID o credenziali cliclavoro. Per contenere ulteriormente il contagio, il governo ha successivamente emanato il Dpcm 9 marzo 2020, denominato” Io resto a casa”, che estende a tutta la penisola le misure finora previste dall’art. 1 del Dpcm 8 marzo 2020.

Il nuovo provvedimento produce inevitabilmente conseguenze anche in ambito lavorativo, in quanto sono vietati gli spostamenti delle persone fisiche se non per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. Infatti, nell’ottica di minimizzare gli spostamenti e le presenze sul luogo di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a favorire l’istituzione dello smart working laddove possibile, nonché la fruizione delle ferie e congedi. Con tale ultimo decreto sono state adottate misure ancora più severe per fronteggiare il virus, a partire dal 10 marzo, mediante l’allargamento della cosiddetta “zona rossa” a tutta l’Italia. Sono dunque estese a tutta sono estese a tutto il territorio nazionale le misure recate dal Dpcm 8 marzo 2020: si va dalla limitazione agli spostamenti, alle ferie “suggerite” e allo smart working, fino al certificato medico per Coronavirus. In particolare il Dpcm detta particolari disposizioni per la gestione delle assenze dei lavoratori a causa della pandemia in corso. In particolare, il citato decreto ha specificato che i datori di lavoro devono far fruire ai propri dipendenti di tutti i periodi di congedo e di ferie e laddove ciò non sia possibile ricorrere al lavoro da remoto.

Nello specifico, il lavoro agile può essere applicato dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti.

Altra misura importante prevista dal decreto “io resto a casa” riguarda le riunioni di lavoro. Il Dpcm stabilisce che devono essere limitate al massimo e preferite le modalità di collegamento da remoto. In questo modo dovrà sempre essere assicurato il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro. Nuove restrizioni per tutta l’Italia sono state successivamente varate con il decreto “Io resto a casa” firmato l’11 marzo 2020 dal Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, per fronteggiare la pandemia in corso. Tale decreto, le cui disposizioni saranno in vigore fino al 25 marzo 2010, sospende le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per quelle che vendono beni di prima necessità indicati nell’allegato 1 al documento (si pensi ad esempio alle farmacie, ai tabaccai, edicole, benzinai). Sono chiusi anche i mercati, salvo le attività

Il Dpcm dell’11 marzo 2020 invita le aziende a incentivare congedi retribuiti, ferie e lavoro da remoto. Spesso invito è rivolto alle amministrazioni pubbliche che dovranno privilegiare il lavoro agile fatta eccezione per i servizi indifferibili da rendere all’utenza. Infine il 16 marzo 2020 è stato annunciato dal Premier Conte il decreto legge denominatoCura Italia”, che opera una vera e propria rivoluzione digitale all’interno delle amministrazioni pubbliche: il lavoro agile diventa la modalità ordinaria nella Pubblica amministrazione fino alla fine dell’emergenza in corso. Infatti il citato decreto legge, ribadendo quanto già sancito dai precedenti decreti e circolari, all’art 18, dispone che “fino alla fine dell’emergenza Coronavirus lo smart working, cui si può far ricorso in modo semplificato e persino con strumenti del dipendente, è la forma ordinaria” di lavoro nella Pa. Il Ministro della Pubblica Amministrazione ha precisato infatti che “in ufficio le presenze vanno limitate esclusivamente alle attività indifferibili e che non si possono svolgere da remoto”.

Qualora, invece, non sia possibile fare ricorso allo smart working, le amministrazioni pubbliche dovranno utilizzare diversi strumenti ovvero fare ricorso alle ferie pregresse, al congedo, alla banca ore, alla rotazione e di altri istituti analoghi. Esaurite tali opzioni, i datori pubblici possono esentare il lavoratore dal servizio che però risulta prestato con tutte conseguenze in termini di retribuzione e contribuzione, ad esclusione, se prevista, dell’indennità sostitutiva di mensa. Inoltre il comma 3 dell’articolo 46 del decreto-legge agevola il ricorso al lavoro agile per chi abbia nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità e che abbia perso la possibilità di essere accudita in uno dei centri la cui attività è stata sospesa.

In tale caso il decreto prevede che il datore di lavoro sia comunque tenuto ad autorizzarlo, e quindi impone al datore di lavoro l’obbligo di un eventuale diniego non solo espresso ma anche motivato.

Nel caso di figlio minore il datore di lavoro è obbligato a concedere il lavoro agile, che può essere negato solo nel caso in cui lo stesso sia incompatibile con le caratteristiche dell’impresa ed è in tal caso è a carico del datore di lavoro l’onere della prova ovvero di dimostrare tale incompatibilità.  Per quanto riguarda il settore privato l’art.38 del decreto legge “Cura Italia” prevede che, “ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie, è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità di lavoro agile”.

Infine, l’art. 60 del decreto in esame, prevede il riconoscimento di un premio di 100 euro per il mese di marzo 2020 ai titolari di reddito da lavoro dipendente, con reddito inferiore ai 40mila euro, che lavorano in sede.

[1] Sul lavoro agile vedi “Smart working:mai più senza. Guida pratica per vincere la sfida di un nuovo modo di lavorare” di Arianna Visentini e Stefania Cazzaroli,Editore Franco Angeli, 2019; “Lo smart working. La dimensione innovativa del lavoro” di Isabella Bonacci, editore: Universitas Studiorum anno 2018; “Smart working. Nuove skill e competenze” di Giuditta Alessandrini, Editore Pensa Multimedia, anno 2016; “”The Smart working :istruzioni per l’uso: che cosa cambia con le nuove modalità di lavoro”di Villa Dario,2017.

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