Avv. Salvatore Magra
La specificità del motivo di ricorso per Cassazione è argomento essenziale, in quanto l’inammissibilità del ricorso importa la grave conseguenza di esaurire il potere di impugnazione. La difficoltà esegetica nasce, altresì, dall’assenza di una puntuale definizione normativa di “specificità”, da cui deriva l’esigenza che la giurisprudenza delimiti in modo non ambiguo l’ambito del concetto, colmando la lacuna, rappresentata dal silenzio del Legislatore.
Può ritenersi che l’onere di specificità nasca da una interpretazione analogica della normativa in materia di appello, in quanto l’art. 342 c.p.c. richiede che i motivi di appello siano “specifici”.
A livello costituzionale, la legge consente e garantisce il ricorso per Cassazione per violazione di legge. Le sentenze pronunciate in appello o in unico grado possono essere impugnate solo con il ricorso per cassazione e i motivi del ricorso devono essere specifici, non potendosi estrinsecare in allegazioni generiche (cfr, art, 360 n. 4 e art. 366 c.p.c.).
Ove il provvedimento impugnato abbia un contenuto decisorio conforme agli orientamenti giurisprudenziali emessi dalla Cassazione in funzione nomofilattica, e un esame dei motivi di ricorso non suggerisca l’esigenza di discostarsi da tali orientamenti (cfr. art. 360 c.p.c.), il ricorso dovrà considerarsi inammissibile per difetto di specificità, secondo la giurisprudenza allo stato cristallizzatasi..
Le SS:UU affrontano la tematica dapprima nell’importante ordinanza n. 19051, del 6 settembre 2010[1], che parte dalla seguente questione di fatto: “ – Le società Vipp Lavori s.p.a. e Cementi Nord-Est s.r.l. hanno proposto ricorso per regolamento facoltativo di competenza contro la sentenza 22 luglio 2009 con cui il tribunale di Udine ha dichiarato lo stato di insolvenza della società C. s.r.l. in estensione della amministrazione straordinaria della società C. Chimica s.p.a.”.(…) – che il tribunale ha deciso la questione in senso negativo e ciò in base al principio per cui le norme che disciplinano la procedura fallimentare non possono essere applicate alla procedura di amministrazione straordinaria, se non espressamente richiamate; – che – se pure non formulato con specifico riferimento al punto in discussione – nello stesso senso è l’orientamento della giurisprudenza della cassazione: secondo la quale, dalla struttura e dalla disciplina dell’intera legge fallimentare non si può desumere che la disciplina delle procedure concorsuali diverse dal fallimento sia da ritenere integrata in via implicita o di interpretazione analogica dalle disposizioni sul fallimento o su altre procedure. Ne deriva che la disciplina del fallimento si applica in altre procedure concorsuali solo quando specificamente richiamata (sono state indicate come espressione di tale orientamento le decisioni di questa corte 27 dicembre 2005 n. 29774, 27 ottobre 2006 n. 23275, 9 gennaio 2008 n. 177)”
Pertanto, si propone di decidere il ricorso ai sensi dell’art. 360, n 1, mancando nel suo contenuto gli elementi per provocare un mutamento dell’ indirizzo giurisprudenziale sopra menzionato. Si è reputato di sottoporre la questione al Primo Presidente per una pronuncia delle Sezioni Unite, per il sorgere di una questione giurisprudenziale di massima importanza, “circa l’interpretazione dell’art. 360 bis cod. proc. civ., n. 1), e ciò sul presupposto che la disposizione debba essere interpretata, in conformità del suo tenore letterale, nel senso di configurare un requisito del ricorso chiesto a pena di inammissibilità.. Con la conseguenza del doversi allora stabilire se l’onere del ricorrente di confrontarsi con la precedente giurisprudenza della cassazione, cui il provvedimento di merito si sia conformato, richieda come necessaria condizione che almeno una volta nella giurisprudenza della corte si trovi decisa in senso conforme, senza aver dato luogo in seguito a contrasti, la specifica questione controversa; nel caso quella della applicabilità della L. Fall., art. 9, comma 2, al procedimento di accertamento dello stato di insolvenza, nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese”.
Allo stato, è abrogata la disciplina del filtro al ricorso per cassazione, introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, basantesi sull’obbligo incentrato sull’onere del ricorrente di concludere i motivi, di ricorso, a pena di inammissibilità (ex art. 366, n. 4 e art. 375, n. 5), mediante la formulazione di un apposito quesito (ex art. 366 bis). Assume rilievo l’art. 360 bis, sull’”inammissibilità del ricorso”, che descrive le ipotesi in cui le critiche consegnate al ricorso dalla sono rilevanti ai fini di un overruling della giurisprudenza di legittimità. Tale disposizione riguarda tutte le ipotesi, in cui viene in considerazione un motivo di ricorso, che coinvolga l’esegesi di una norma di diritto. E’ importante citare la disposizione: “Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della cassazione e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo”.
Sul piano esegetico, anche nell’ipotesi, di cui al n. 2), la regola di giudizio sarà che la Corte non ravvisi argomenti, contemplati nel motivo di ricorso, che non determinino un’incompatibilità fra l’orientamento della Corte e i princìpi in tema di giusto processo.. Nell’ipotesi di cui al n. 1), vale il paradigma della manifesta infondatezza delle argomentazioni del ricorrente, ai fini di un overruling. La Corte di cassazione si asterrà dal pronunciarsi, ove l’orientamento del Giudice di Appello sia conforme a quello della Cassazione.
Il ricorrente deve individuare la ragione di diritto, seguita dal Giudice di merito,, l’orientamento della giurisprudenza nomofilattica, la congruenza o meno fra la prima e il secondo e, nella seconda ipotesi,l’elaborazione di argomenti ermeneutici suscettibili di confutare in modo esauriente la giurisprudenza nomofilattica, per provocare un arresto giurisprudenziale di segno contenutistico diversificato. Resta una diversità ontologica tra “manifesta infondatezza” e “inammissibilità”. Delle due l’una: o si fissa l’indagine per acquisire le modalità di un esercizio ammissibile del ricorso in base all’art. 360 bis, o si ragiona nel senso dell’inammissibilità, con incidenza sul ricorso incidentale condizionato (art. 334 cod. proc. civ., secondo cui “ Le parti, contro cui è stata proposta impugnazione e quelle chiamate a integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331, possono proporre appello incidentale, anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. 2 In tal caso, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia” . La Corte non tollera di definire e qualificare come inammissibilità un giudizio la cui prima componente sia la relazione di conformità o difformità fra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità, in relazione a una o più statuizione legislative, focalizzando l’attenzione sulla “violazione”, piuttosto che sulla “falsa applicazione”. Si ribadisce che il >giudizio vada formulato al momento della decisione sul ricorso e non al momento della sua proposizione.
Secondo la cassazione “Sicchè, constatato che alla stregua della propria attuale giurisprudenza la decisione impugnata presenta il vizio di violazione di norma di diritto assunta a motivo di ricorso, è cioè contraria a diritto secondo l’interpretazione che la corte segue nel momento in cui deve decidere, la corte non può che arrestarsi a questo momento del processo logico della decisione, dichiarare esistente il vizio e accogliere il ricorso”.
Bisogna distinguere due ipotesi; contrasto fra giurisprudenza della sentenza impugnata e giurisprudenza nomofilattica, caso in cui l’assenza di una ricchezza argomentativa dei motivi di ricorso diviene irrilevante; caso di conformità fra giurisprudenza di merito e giurisprudenza nomofilattica, in cui assume rilievo precipuo la capacità deil contenuto dei motivi di ricorso di confutare l’orientamento della cassazione, per sollecitarne un ripensamento. In tal caso, se il ricorso è contenutisticamente insufficiente, andrà rigettato per manifesta infondatezza, secondo la cassazione del 2010 in commento.
Emerge l’enunciazione del seguente principio di diritto: “La Corte rigetta il ricorso, perchè manifestamente infondato, se, a momento in cui pronuncia, la decisione di merito si presenta conforme alla propria giurisprudenza e il ricorso non prospetta argomenti per modificarla”. 7. – E’ necessario peraltro ampliare il discorso per verificare la tenuta dell’argomentazione appena svolta e giustificare l’opzione interpretativa.”
La cassazione ritiene che la categoria dell’inammissibilità non vada predicata con riferimento a un motivo di ricorso, conforme allo schema previsto dall’art. 360, ma connotato dalla caratteristica della riproposizione di argomenti già esaminati dalla giurisprudenza nomofilattica. . “L’inammissibilità di cui è parola nella rubrica e nella disposizione dell’art. 360 bis, pare alla corte che si presti ad essere sostanziata da un diverso valore, che emerge dal rilievo calo, nel n. 1) dello stesso articolo, alla giurisprudenza di legittimità, assunta da un lato ad ordinario parametro di corretta interpretazione della norma e dall’altro a ragione per cui la corte è esonerata dal dovere di tornare a dare spiegazione di tale sua giurisprudenza, quando il ricorso non costituisca occasione per un rinnovato esame, date le critiche di cui s’è fatto veicolo”
Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che garantisce alle parti il ricorso per cassazione per violazione di legge ex art. 111 Cost., in base ai princìpi del diritto alla difesa (art. 24 Cost) e al giusto processo, va bilanciato,, per evitare dispersione di energie processuali, con l’assicurare la possibilità di una concreta funzione di Giudice di legittimità (e si possono richiamare i princìpi di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.). la funzione nomofilattica richiede che possano formarsi indirizzi giurisprudenziali dotati di una sufficiente stabilità.
Si è introdotto nel 2006 un primo filtro al giudizio di cassazione, basantesi sull’assunto che se un’argomentazione non poteva essere oggetto di sintesi, non si sarebbe dovuta proporla. Peraltro, la affermazione appare discutibile e non precisa i criteri in base ai quali si può asserire che un ragionamento non possa essere ridotto ai minimi termini, ma egualmente compreso. Su questo punto l’ordinanza delle Sezioni Unite del 2010 appare oscura, ad avviso di chi scrive: “Nel 2006, la costruzione del filtro a quesiti è mossa dalla considerazione, che se un’argomentazione non si prestava ad essere sintetizzata (?), il suo autore ne sarebbe dovuto risultare persuaso a non proporla e per converso quando fosse risultata sintetizzabile la corte ne sarebbe risultata facilitata ad esaminarla”.
La Cassazione ritiene, a proposito del filtro creato nel 2009, che se esso fosse incorporato nella categoria dell’inammissibilità, esso produrrebbe degli inconvenienti, simili a quelli concernenti il precedente “filtro”, in rapporto alla considerazione che il vecchio sistema del 2006, “è certo che esso ha convogliato risorse della corte su aspetti attinenti al proprio interno giudizio, per l’esigenza di definire le condizioni di applicazione del filtro, favorendo irrigidimenti e ripulse”. Bisogna consentire che la Corte si avvalga dei propri poteri decisori, in modo che si proceda, anche attingendo alla dottrina, a un’evoluzione nel processo di interpretazione della legge, rigettando i motivi di ricorso che trovino ostacolo nell’incompatibilità contenutistica coi propri precedenti, quando si tratta di decidere. Da ciò deriva che “La Corte dichiara estinto il giudizio di cassazione per rinunzia e, ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., enuncia il seguente principio di diritto in sede di interpretazione dell’art. 360 bis cod. proc. civ.: – La Corte rigetta il ricorso, perché manifestamente infondato, se, al momento della sua pronuncia, la decisione impugnata si presenta conforme alla propria giurisprudenza e il ricorso non prospetta argomenti per modificarla”.
Può affermarsi una possibile esegesi nel senso di un’antinomia fra l’esegesi della cassazione a proposito dell’art. 360 bis n.1 c.p.c., forse da interpretarsi in termini di inammissibilità, piuttosto che di rigetto del merito del ricorso privo di efficacia novativa. Ciò ha spinto la rielaborazione giurisprudenziale.
L’art. 360 bis n.1 c.p.c., viene fin qui inteso quale norma atta a sanzionare con il rigetto per manifesta infondatezza il ricorso che non confronti le norme di diritto, che si assumono violate, la ratio decidendi, mutuata dalla sentenza impugnata, ed orientamenti di legittimità consolidati.
Occorre comparare il “consolidato orientamento” della giurisprudenza e la formulazione del motivo o dei motivi di ricorso, tenendosi conto non solo di pronunce delle Sezioni Unite, quanto anche di una convergenza tra Sezioni semplici o anche di sentenze ascrivibili alla stessa Sezione, coerenti tra esse nell’espressione dell’orientamento..
Il contrasto tra posizioni non va valutato geneticamente, ovvero in sede di proposizione del ricorso, soluzione questa che renderebbe coerente una declaratoria di inammissibilità del medesimo ricorso per carenza di presupposto processuale, quando vi sia difformità della giurisprudenza di legittimità al momento della proposizione dello stesso. E’ possibile un’altra esegesi, avallata dalla cassazione, ossia valutare il possibile mutamento della giurisprudenza di legittimità sino al tempo del decisum.
L’orientamento accolto dalle Sezioni Unite 2010 è nel segno della valutazione dell’idoneità del ricorso a contenere e presentare argomentazioni convincenti e utili ai fini di un cambiamento degli orientamenti di legittimità, con conseguente messa da parte della categoria dell’inammissibilità e ciò fa sorgere dei dubbi…
Va meditata, si ribadisce, l’esigenza di valutare la fondatezza del ricorso al momento della decisione, in quanto il mutamento di giurisprudenza nomofilattica che, cronologicamente concomitante con il decisum, si conformasse alle argomentazioni del ricorso lo renderebbe,manifestamente fondato.
Il Giudice ha il dovere di pronunciarsi “funditus” sui motivi del ricorso, esaminando anche gli apporti dottrinali e le innovazioni giurisprudenziali. I motivi vanno esaminati singolarmente in modo analitico, sicché nell’ipotesi in cui, in presenza di una pluralità di motivi, anche uno solo di essi vada considerato sufficientemente specifico, dovrà essere esaminato.
Contestualmente, risultando abrogata la disciplina del filtro ex art. 366 bis c.p.c., introdotta con legge 40/2006, afferente l’onere di concludere i motivi di ricorso con formulazione di un apposito quesito, residua in dubbio se la stessa funzione possa essere assegnata all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.; in questi termini, la norma sarebbe vocata alla delineazione delle condizioni di rilevanza delle critiche consegnate ai motivi di ricorso.
Si segnala come lo spirito della legge delega fosse nel segno della istituzione a carico del ricorrente di un onere di enunciazione del quesito di diritto in corrispondenza biunivoca con l’enunciazione del principio di diritto, sia in caso di accoglimento, sia in caso di rigetto, (..), prevedendo doveri simmetrici per la parte e per l’ufficio.
Giudizio, quest’ultimo, tale da richiedere una parcellizzata disamina dei motivi e, se del caso, una dedicata valutazione di inammissibilità per ciascuno in relazione alle condizioni di cui all’art. 360 bis n. 1 c.p.c., da intendersi quale presidio al corretto esercizio del potere di impugnativa; per contro, non è sul punto mancato, un minoritario orientamento volto ad intendere la censura alla stregua di un giudizio terminativo sulla inammissibilità.
Il ricorso deve puntualmente attingere alla ratio decidendi della sentenza impugnata, e denotare la relazione di congruità o difformità con gli orientamenti della Corte, prospettando l’opportunità di un cambiamento di giurisprudenza mediante argomentazioni meritevoli di esame.
Se oggetto della pronuncia è un motivo di ricorso la cui struttura sia divenuta conforme, per sopravvenuto mutamento giurisprudenziale della Corte, esso motivo dovrà accogliersi perché manifestamente fondato, a prescindere dall’atteggiarsi di detta relazione in fase genetica.
Ne deriva, pertanto, che la funzione del filtro si dispieghi sul contenuto/forma del motivo di ricorso che dovrà, rispettivamente, introdurre una questione nuova suscettiva di provocare una frattura in seno alle acquisizioni del Supremo collegio; ovvero riportare quella stessa frattura alla dialettica tra legittimità e merito, ponendosi il motivo del ricorso quale elemento di continuità con la prima.
Concludono le Sezioni Unite, la lettura dell’art.360 bis n.1 c.p.c nel segno del rigetto per manifesta infondatezza non è in contrasto con le norme del codice di rito.
Si ha compatibilità con la garanzia costituzionale del “giusto processo” se all’interno del ricorso vi è una enucleazione dei requisiti di forma e contenuto che, laddove siano patologicamente presentati, generino una declaratoria di inammissibilità; dovendo apparire chiaro come avrebbe dovuto atteggiarsi la versione ammissibile avverso la sentenza impugnata.
Anche nella prima interpretazione fornita dalle Sezioni Unite, l’art. 360 bis n.1 c.p.c. si attaglia a tutti i casi in cui, sub art. 360 n. 1, 2, 3, 4 c.p.c., sia censurato certo modo di interpretazione di una quaestio iuris per cui esista giurisprudenza di legittimità, intendendone sollecitare un ripensamento, nonché ai casi di regolamento di competenza ed ogni altro ricorso impugnatorio. Si è affermato che “Risultavano per ciò solo sconfessati i due corollari cardine mutabili dalle Sezioni Unite 19051/2010; il preliminare vaglio di ammissibilità si sarebbe posto in insanabile contrasto con la opportunità di valorizzare l’evenienza di sopravvenienze atte a rendere conformi le argomentazioni dedotte in ricorso; nondimeno, la qualificazione in termini di presupposto processuale del quid novi veicolato con ricorso e sostanziato dai requisiti di cui all’art. 360 bis n. 1 c.p.c. avrebbe inevitabilmente traslato l’attenzione sul rito, anziché sul merito”.[2]
L’inammissibilità si biforca: da un lato, essa comprende ipotesi in cui l’atto è affetto da vizio di validità; d’altro lato essa include una carenza di potere di impugnare, in rito, e si estende a casi di pretestuoso esercizio del potere di impugnazione, in merito,, da intendersi in termini di inadeguata formulazione del ricorso, in base all’art. 360 n. 12 c.p.c.
Il contrasto, se occorra pronunciarsi nel senso dell’inammissibilità o della manifesta infondatezza, si consolida con la Cassazione civile n. 8804-2016 e con la pronunzia della Sez V Tributaria n. 23856 del 2015., che , a proposito dell’esegesi dell’art. 360 n.1 c.p.c., convergono nel senso dell’assimilazione della carenza di elementi decisivi nel ricorso per cassazione alla categoria dell’inammissibilità genetica .
Con la sentenza del 21 marzo 2017 n. 7155 la Cassazione a SS.UU ha affermato che , quando il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e non sussistono, in base a un accurato esame dei motivi di ricorso, i presupposti perché la Cassazione confermi o muti il proprio indirizzo giurisprudenziale (siamo nell’ipotesi dell’art. 360 bis c.1 c.p.c.), il ricorso per Cassazione va dichiarato inammissibile e non rigettato per manifesta infondatezza. In tal modo, si ha un superamento dell’idea, espressa nel 2010, secondo cui il ricorso posto in violazione dell’art. 360 bis c.p.c. debba essere dichiarato manifestamente infondato e non inammissibile.( Cass. civ. Sez. U., 6 settembre 2010, n. 19051; Cass. civ., Sez. 1, 18 marzo 2016, n. 5442; Cass. civ. Sez. U., 16 aprile 2012, n. 5941; Cass. civ. Sez. U., 19 aprile 2011, n. 8923.).
La questione di fatto, da cui nasce l’esigenza di dirimere il contrasto giurisprudenziale in parola, nasce dalla richiesta di riconoscimento di acquisto del diritto di proprietà di un fondo per usucapione, di cui aveva acquisito il possesso, in base alla conclusione di un contratto preliminare con la controparte. Quest’ultima ha contestato la fondatezza della domanda, allegando il proprio recesso dal contratto preliminare, in conformità a specifica clausola contrattuale, a seguito dell’instaurazione del procedimento penale per lottizzazione abusiva, e proponendo in via subordinata le domande di arricchimento senza causa e risarcimento del danno. In primo grado, il Tribunale di Lecce ha dichiarato inammissibile la domanda dell’attore ed ha rigettato le domande riconvenzionali del convenuto, compensando le spese di lite. In secondo grado, la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato nel merito la domanda dell’attore, L’attore ha proposto ricorso per cassazione in data 3 aprile 2015, deducendo – con unico motivo – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1141 c.c., l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio e la nullità del procedimento. Quest’ultimo viene assegnato alla Sezione VI2 e il Consigliere designato relaziona nel senso della manifesta infondatezza del ricorso, in base alla giurisprudenza, secondo cui la relazione della cosa con il promissario acquirente è da qualificare come detenzione qualificata e non come possesso utile all’usucapione, a meno che intervenga l’interversio possessionis, che determina la metamorfosi della detenzione in possesso.. La tesi della detenzione si giustifica sulla base dell’idea della configurabilità di un contratto di comodato, affiancato al preliminare. Il collegio, con ordinanza n. 15513 del 25 luglio 2016, pur aderendo alla proposta di definizione contenuta nella relazione di cui all’art. 380-bis c.p.c., ha rimesso la causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima importanza, oggetto di contrasto, relativa alla formula definitoria ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c. di manifesta infondatezza nel merito o d’inammissibilità in rito.
Le SS.UU. nel 2017 compongono il contrasto giurisprudenziale, propendendo per la tesi dell’inammissibilità. Si supera l’interpretazione, secondo cui occorre configurare un’infondatezza, in quanto la Corte deve valutare la conformità della decisione impugnata, fissando il momento cronologico della valutazione allo stato della giurisprudenza al momento della decisione e non a quello della proposizione del ricorso, i quali sono momenti cronologicamente distinti. Si ammettono ipotesi di “inammissibilità sopravvenuta”, in rapporto alle oscillazioni della giurisprudenza e non vi è la necessità di ripudiare la categoria dell’inammissibilità, per surrogarla con quella di “manifesta infondatezza”.
In particolare, la sentenza a Sezioni Unite riferisce del contrasto di giurisprudenza fra le Sezioni della Suprema Corte, asserendo che “Il collegio, con ordinanza n. 15513 del 25 luglio 2016, pur aderendo alla proposta di definizione contenuta nella relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima importanza, oggetto di contrasto, relativa alla formula definitoria ex art. 360 bis n. 1 c.p.c. di manifesta infondatezza nel merito o d’inammissibilità in rito”. “In sintesi, secondo la Sezione rimettente, l’art. 360 bis c.p.c. sarebbe riconducibile, dunque, all’art. 375 n. 1 e non al n. 5 c.p.c, e integrerebbe, come confermato dalia sua collocazione, un’inammissibilità in rito, derivante dall’inidonea formulazione del motivo consistente nella violazione di legge, che non può limitarsi ad indicare le disposizioni trasgredite, ma, previa individuazione della ratio decidendi della sentenza impugnata, deve articolarsi in un raffronto tra la regola giuridica applicata dal giudice di merito ed i precedenti della Corte di Cassazione”.
I presupposti di un’inammissibilità in rito sono rappresentati dall’esistenza di una giurisprudenza in tali termini della Corte, la quale può essere rappresentata anche da una sentenza convincente di una Sezione semplice, e la persistenza dell’orientamento seguito dal Giudice di merito fino al momento della decisione del ricorso per Cassazione. In assenza di uno di tali presupposti, il ricorso va esaminato nel merito. Non si procede, pertanto, alla valutazione ex art. 360 c.p.c. Sempre secondo la Cassazione “La pronuncia ex art. 360 bis c.p.c. sembrerebbe doversi iscrivere tra quelle di rito di cui all’art. 375 n. 1 c.p.c, sanzionando un’inammissibilità genetica, che attiene alla confezione del ricorso e non può, pertanto, essere sanata successivamente all’introduzione del giudizio di legittimità, ma, comunque, continua ad esigere la valutazione: a) di ogni singolo motivo, a cui si riferisce la regola imposta; b) dell’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, successiva alla proposizione del ricorso per cassazione, sebbene non al fine della decisione di merito, ma solo al fine della verifica dei presupposti di tale categoria processuale”.
Secondo altro orientamento, riferito dalle SS.UU., “il ricorso scrutinato ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c. deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile qualora la sentenza impugnata si presenti conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengano prospettati dal ricorrente argomenti per modificarla, posto che potrebbe, comunque, trovare accoglimento se, al momento della decisione, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra decisione impugnata e giurisprudenza di legittimità, quest’ultima fosse mutata”.
Si enuclea un’ipotesi d’inammissibilità sostanziale, anche per filtrare le impugnazioni, in modo che si giunga a una pronuncia nomofilattica solo ove necessario e si dichiari l’inammissibilità, in presenza di ricorsi non sufficientemente argomentati.
Tale forma di inammissibilità “sostanziale”, che va distinta dalla inammissibilità “formale”, dipendente dalla espressione formale dell’attività processuale della parte.
Il ricorrente ha un onere argomentativo per rendere ammissibile il ricorso, deve sviluppare un ragionamento giuridico che sia prima facie idoneo a indurre un mutamento del processo decisionale della giurisprudenza di legittimità, in modo che questa possa modificare il proprio indirizzo. Il ricorso non è ammissibile ove si riscontri in esso la mera affermazione di contrapporsi all’orientamento giurisprudenziale tenuto fermo dalla giurisprudenza della Cassazione, ove manchi un accurato esame dell’orientamento contestato, al fine confutarlo in modo articolato. Peraltro, occorre riflettere sulla circostanza che l’art. 360 bis n. 1 c.p.c. prevede l’inammissibilità per l’assenza di argomenti che siano di peso tale da modificare l’orientamento della Corte in funzione nomofilattica. Vi è un’indagine sui profili contenutistici dell’impugnazione proposta. Secondo la Cassazione “La pronuncia ex art. 360-bis c.p.c. sembrerebbe doversi iscrivere tra quelle di rito di cui all’art. 375, n. 1, c.p.c., sanzionando un’inammissibilità genetica, che attiene alla confezione del ricorso e non può, pertanto, essere sanata successivamente all’introduzione del giudizio di legittimità, ma, comunque, continua ad esigere la valutazione: a) di ogni singolo motivo, a cui si riferisce la regola imposta; b) dell’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, successiva alla proposizione del ricorso per cassazione, sebbene non al fine della decisione di merito, ma solo al fine della verifica dei presupposti di tale categoria processuale. 3. La Sez. 6-2 non condivide il principio enunciato da Sez. un., n. 19051 del 6 settembre 2010, confermato da Sez. 1, n. 5442 del 18 marzo 2016, oltre che da Sez. un., n. 5941 del 16 aprile 2012 e da Sez. un., n. 8923 del 19 aprile 2011, secondo cui il ricorso scrutinato ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c. deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile qualora la sentenza impugnata si presenti conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengano prospettati dal ricorrente argomenti per modificarla, posto che potrebbe, comunque, trovare accoglimento se, al momento della decisione, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra decisione impugnata e giurisprudenza di legittimità, quest’ultima fosse mutata”.
L’affermazione secondo cui un ricorso de quo deve essere dichiarato inammissibile e non manifestamente infondato è contenuta in altra giurisprudenza (Cass. Sez. 5, n. 23586 del 18 novembre 2015 e da Sez. 1, n. 8804 del 4 maggio 2016), la quale argomenta nel senso che il ricorso per cassazione che non offra elementi per mutare la giurisprudenza di legittimità, deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, “qualora la sentenza impugnata si presenti conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengano prospettati dal ricorrente argomenti per modificarla, posto che potrebbe, comunque, trovare accoglimento se, al momento della decisione, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra decisione impugnata e giurisprudenza di legittimità, quest’ultima fosse mutata.” (così le SS.UU.).
“Il principio innanzi riportato, peraltro, è stato contraddetto da Sez. 5, n. 23586 del 18 novembre 2015 e da Sez. 1, n. 8804 del 4 maggio 2016, secondo cui, invece, il ricorso per cassazione che non offra elementi per modificare la giurisprudenza di legittimità, a cui la sentenza impugnata è conforme, deve essere rigettato in rito e non nel merito ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., che, nell’evocare un presupposto processuale, ha introdotto una griglia valutativa di ammissibilità, in luogo di quella anteriore costituita dal quesito di diritto, ponendo a carico del ricorrente un onere argomentativo, il cui parametro di valutazione è costituito dal momento della proposizione del ricorso”.
Pertanto, si ribadisce, il quesito cui le Sezioni Unite in commento sono chiamate a pronunciarsi è se il ricorso presentato in violazione dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c. sia da dichiarare inammissibile o manifestamente infondato; la Cassazione afferma che la lettera della norma citata muove in modo non equivoco nel senso dell’inammissibilità.
Queste affermazioni costituiscono esito di una giurisprudenza, che ha dei precedenti, in altre sentenze della Suprema Corte (cfr. Cass., Sez. 6-3, 16/06/2011, n. 13202; cfr. anche Cass., Sez. U, 19/04/2011, n. 8923: ). Non basta, per confutare l’orientamento della Corte, che si contesta, far riferimento a precedenti giurisprudenziali della Corte medesima di segno diverso, ma occorre anche elaborare un percorso argomentativo giuridicamente autonomo, idoneo a superare l’orientamento contestato. E’ pur vero che la Cass.SS.UU n. 19051-2010 opta per la tesi del rigetto del ricorso per manifesta infondatezza, ma il contesto e il sistema non consentono di tenere ferma questa convinzione. La Cassazione SS.UU. 2017 argomenta nel senso che “non è più ormai condivisibile l’idea secondo la quale l’inammissibilità del ricorso potrebbe sussistere solo in presenza di difetti attinenti alla struttura formale del ricorso medesimo o alle modalità in cui il suo contenuto è espresso, restando estranea alla figura dell’inammissibilità ogni valutazione che attinga il merito. Al contrario, il legislatore ha fatto mostra di utilizzare a più riprese la categoria dell’inammissibilità, per facilitare una decisione in limine litis, anche in presenza di ragioni di merito che risultino agevolmente percepibili e siano perciò suscettibili di un più snello iter motivazionale: si pensi all’art. 348-bis c.p.c., dettato per il giudizio d’appello, pur nell’evidente differenza che quell’ipotesi d’inammissibilità presenta rispetto a quella qui in esame (se ne farà cenno in seguito), ma si pensi anche all’art. 606 c.p.p. in materia d’inammissibilità del ricorso per cassazione in campo penale”.
La Corte è in qualche modo esonerata, ex art. 360 bis, a esprimere in modo compiuto la soluzione interpretativa accolta nell’ordinamento giurisprudenziale precedente, potendo semplicemente affermare che la giurisprudenza impugnatasi è adeguata alla giurisprudenza di legittimità e il ricorrente non la critica adeguatamente. L’art. 360 bis è una norma – filtro, che consente di delibare i ricorsi privi di sostrato argomentativo Appare configurabile un’inammissibilità di merito, compatibile con i princìpi del “giusto processo”, di cui all’art. 111 Cost., settimo comma. Si ribadisce che, nella vicenda concreta, l’unico motivo di ricorso consiste nella questione che la Corte di Appello ha ritenuto che, a fronte di un contratto preliminare avente a oggetto un fondo, il promissario acquirente fosse mero detentore del fondo promesso in vendita, con la conseguente assenza, in mancanza di un’intervenuta interversio possessionis, di una relazione qualificabile in termini di possesso idoneo per l’usucapione. Orbene, esiste una giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui, ove in una promessa di vendita, la consegna del bene avvenga prima della stipula del contratto definitivo, non vi è un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto si deve ricostruire la presenza di un comodato, collegato al contratto preliminare, con effetti meramente obbligatori, che rendono qualificabile in termini di detenzione qualificata la relazione fattuale fra promissario acquirente e bene oggetto della contrattazione preliminare (cfr Cass. SS.UU. n. 7930-2008, Cass, Sez II, n. 9896 del 2010, Cass, Sez II, n.1296-2010). L’attore non ha allegato né provato una sopravvenuta interversione del possesso. Gli argomenti in cui si struttura il contenuto del ricorso ripresentano critiche all’indirizzo giurisprudenziale, che in questa sede le SS.UU. mantengono fermo, risalenti al 2010, mentre l’indirizzo giurisprudenziale in esame è stato ribadito anche dalla Cassazione Sez 2 n.5211 del 2016. Le SS.UU. dichiarano inammissibile e non manifestamente infondato il ricorso per carenza di argomentazioni innovative nella struttura del ricorso per cassazione.
Il giudizio di Cassazione si fonda sui motivi di ricorso, che lo circoscrivono e devono essere tassativi e specifici. Non basta, al fine di rendere operativo il requisito della specificità dei motivi di ricorso, una pedissequa indicazione delle norme che si ritengono violate: ciò, infatti, non è sufficiente per soddisfare il requisito della specificità, in quanto è necessario effettuare dei ragionamenti articolati, da cui possa desumersi il motivo dell’avvenuta violazione delle norme di cui si afferma il mancato rispetto, violazione o falsa applicazione.
Il principio di specificità, non sufficientemente descritto sul piano normativo, è vivisezionato dalla giurisprudenza recente. Il d.l. 83-2012, convertito con modifiche nella legge 134-2012, ha modificato gli artt. 342 e 434 c.p.c., introducendo l’inammissibilità dell’appello per specifici motivi.
L’atto di appello deve individuare le norme violate e procedere a un’ermeneusi delle stesse, collegando il fatto alla statuizione generale e astratta, e descrivendo analiticamente e in modo specifico le violazioni della sentenza impugnata, cristallizzando le medesime in specifici motivi di ricorso. Bisogna integrare una parte volitiva e una parte argomentativa, per soddisfare il requisito della specificità del ricorso, individuando chiaramente i punti della sentenza impugnata e le relative censure.
Va meditata, a questo punto, l’ordinanza della cassazione n. 5001 del 2 marzo 2018, che trae i suoi contenuti dalla già citata sentenza a SS. UU. n. 7155 del 21 marzo 2017. In questi provvedimenti si chiarisce la correlazione fra l’art. 366 comma 1 n. 4 c.p.c., secondo cui “il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis, e l’art. 360 bis comma 1 n. 1 c.p.c., secondo cui il ricorso è inammissibile “ quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”.
L’ordinanza muove dalla seguente questione fattuale: viene convenuta in giudizio una società, per richiedere a essa il risarcimento del danno per la perdita del panorama e soleggiamento, derivante inizialmente al fabbricato dell’attore, per la realizzazione, asseritamente abusiva, da parte della società, della sopraelevazione di un complesso alberghiero. In primo e in secondo grado viene accolta la richiesta dell’attore.
L’ordinanza della Cassazione in commento asserisce che “Col primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt.112 e 342 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di esaminare il primo motivo di appello, col quale la Società Omissis aveva denunciato il vizio di ultra ed extrapetizione della sentenza di primo” grado”. “Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando puntualmente i fatti processuali posti alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione (Cass., Sez. 1, 20/09/2006, n. 20405; Cass., Sez. 3, 16/10/2007, n. 21621; Cass., Sez. 6-2, 07/09/2016, n. 17739, in motiv; Cass., Sez. 5, 29/09/2017, n. 22880)”.
Pertanto, l’ordinanza asserisce che se vi è un error in procedendo, che legittima l’esame delle questioni di merito, normalmente precluse al Giudice di legittimità, a tale esame si dovrà e potrà procedere a condizione che il ricorrente specifichi in modo sufficiente ed esauriente le ragioni di diritto, che facciano emergere tale errore nella procedura logico-giuridica, seguita dal Giudice d’Appello, con un’indicazione dei fatti processuali, posti a base dell’errore denunciato. L’ordinanza riprende la categoria dell’inammissibilità, con riferimento all’ipotesi in cui il ricorso non indichi sul piano contenutistico gli accadimenti processuali, in relazione a cui si è materializzato l’error in procedendo.
La Cassazione afferma:” Va premesso che, con la sentenza n. 7155 del 21 marzo 2017, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, superando il proprio precedente del 2010, hanno affermato che, in presenza della situazione ipotizzata dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. (ossia «quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa»), il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile, e non rigettato per manifesta infondatezza. Con tale pronuncia, le Sezioni Unite hanno riconosciuto l’esistenza di una forma di inammissibilità di carattere “meritale” (o “sostanziale”), che dipende dalla manifesta infondatezza del ricorso (di cui la situazione prevista dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. sarebbe una particolare figura), che si contrappone alla tradizionale forma di inammissibilità di carattere processuale, dipendente dalle forme con le quali è posta in essere l’attività processuale della parte.”
La Cassazione , inoltre, riprendendo la pronuncia del 2017, sopra ricordata, rileva come in capo all’estensore del ricorso per cassazione sussista un onere-obbligo argomentativo, in base a cui occorre indicare in modo specifico le ragioni per le quali la Cassazione dovrebbe mutare orientamento giurisprudenziale.
La Cassazione del 2018 asserisce che “Sul punto, va osservato che la qualificazione – da parte delle recenti Sezioni Unite – dell’inammissibilità di cui all’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. come inammissibilità di carattere “meritale” o “sostanziale”, non esclude affatto che, accanto a tale forma di inammissibilità, si collochi l’ordinaria inammissibilità di carattere “processuale” per difetto di specificità del motivo (prevista dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.) rispetto a quanto preteso dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. La configurabilità di questa duplice forma di inammissibilità – l’una di carattere “meritale”, che guarda al merito degli argomenti svolti nel motivo, e che ricorre nel caso in cui tali argomenti risultino manifestamente infondati; l’altra di carattere “processuale”, che guarda al “modo di formulazione” del motivo e che ricorre quando il motivo è incompleto o difetta di specificità – consente di risolvere, a giudizio del Collegio, il problema più spinoso che si è profilato, fin dall’inizio, nell’interpretazione dell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.”.
Si fa menzione, inoltre, del possibile mutamento di giurisprudenza della Corte nel periodo intercorrente fra la proposizione del ricorso e la decisione della Corte, con la conseguenza che un ricorso manifestamente infondato, tenendo come parametro di riferimento la giurisprudenza vigente al momento della sua proposizione, possa divenire fondato (“sopraggiunta fondatezza”), nel momento in cui venga deciso. Peraltro, l’inammissibilità meritale va valutata al momento della decisione del ricorso.
Sotto altro profilo, la Cassazione afferma che “Il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento in considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.» (Cass., Sez. 3, 31/08/2015, n. 17330; Cass., Sez. 5, 31/05/2011, n. 11984) e che “La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.; dovendo i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, contenere, a pena di inammissibilità, oltre all’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnato, l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto» (Cass., Sez. 5, 03/08/2007, n. 17125).
La specificità del motivo si estrinseca, ai sensi dell’art. 366 n 4 c.p.c. va elaborata attraverso un esame contenutistico della decisione impugnata, avendo come criterio ermeneutico la giurisprudenza della Corte, e contestualmente costruendo dei motivi di ricorso astrattamente idonei a confermare o modificare tale giurisprudenza, a pena di non raggiungimento dello scopo del motivo. La Cassazione afferma che “A tal fine, va chiarito che non si tratta di pretendere dal ricorrente una illustrazione fine a se stessa della giurisprudenza di legittimità, che – ovviamente – è ben nota alla Corte; si tratta invece di prendere atto della necessità che il ricorrente, nella formulazione del motivo e ai fini della specificità dello stesso, provveda a raffrontare la decisione impugnata con tale giurisprudenza, al fine di dimostrare come la prima si ponga in contrasto con la seconda, e – qualora tale contrasto non vi sia – offra alla Corte argomenti che puntino a sollecitare un mutamento dell’orientamento giurisprudenziale esistente”.
Il motivo di ricorso deve contenere le norme di diritto che si ritengono violate (art. 366 n. 4 c.p.c.), con la contestuale esegesi del contenuto precettivo (o programmatico, si può aggiungere) delle medesime. Vi deve essere una connessione logica fra l’esegesi del contenuto precettivo-programmatico di tali norme e il “diritto vivente”, sviluppato dalla giurisprudenza della Corte.Detto altrimenti, il contenuto di tali norme deve essere enucleato in coerenza e armonia con il c.d.”diritto vivente”, che si identifica con l’interpretazione che della normativa che viene in considerazione è data dalla giurisprudenza di legittimità.
“È necessario” secondo la Cassazione,, “perciò, che il motivo (di ricorso per cassazione) prima individui innanzitutto la ratio decidendi della sentenza impugnata ed operi poi un “raffronto” tra la regola giuridica applicata dai giudici di merito e la giurisprudenza della Corte suprema. Tale raffronto sarà sufficiente ai fini della specificità del motivo ex art. 366 n. 4 cod. proc. civ. ove dimostri che il giudice di merito si è discostato dalla giurisprudenza di legittimità; ove, al contrario, il detto raffronto dimostri che il giudice di merito ha deciso in modo conforme a tale giurisprudenza, il motivo sarà inidoneo al raggiungimento del suo scopo, sarà perciò non specifico, se il ricorrente non completi la censura con l’ulteriore elemento (espressamente indicato dall’art. 360 bis) di cui alla lettera che segue. c) Il motivo, per essere specifico, nel caso in cui la pronuncia impugnata risulti conforme alla giurisprudenza di legittimità, deve contenere ancora argomenti per contrastare l’indirizzo giurisprudenziale adottato dai giudici di merito”
L’obbligo di specificità del,l’estensore del ricorso per Cassazione ha due gradazioni: una prima, meno intensa, nell’ipotesi in cui appaia chiaro che il Giudice di merito si è discostato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. art. 366 n. 4 c.p.c.). A questa conclusione si potrà giungere dopo un attento raffronto fra la regola applicata dal Giudice di merito e quella della giurisprudenza di legittimità. Se vi è la divaricazione fra le regole applicate e questo è contestato in ricorso, l’onere (obbligo) di specificità del medesimo è rispettato.
Peraltro, il rispetto del requisito della specificità è più rigoroso, ove il Giudice di appello si sia conformato alla giurisprudenza prevalente della Cassazione; in tal caso il ricorrente dovrà argomentare in modo organico le ragioni, per le quali la Cassazione dovrebbe mutare indirizzo, non essendo sufficiente il pedissequo riferimento a orientamenti minoritari della medesima giurisprudenza di legittimità. Lo scopo del motivo di ricorso è quello di ottenere la Cassazione della decisione impugnata e per ottenere questo scopo occorre attivarsi per evidenziare l’errore di diritto del Giudice a quo, per violazione di una legge sostanziale e processuale. Ove non si raggiunga questo fine, il motivo non è specifico per mancato raggiungimento dello scopo. Si avrà un’inammissibilità per difetto di specificità ex art. 366 n. 4 c.p.c., in rapporto all’art. 360 n. 1 c.p.c.. Il motivo è redatto in modo incompleto, in quanto manca un’intelligibile critica alla decisione impugnata, con conseguente inammissibilità di carattere “processuale”, per violazione dell’art. 366 n. 4 c.p.c..
Secondo l’ordinanza in commento, “In definitiva, il Collegio ritiene che, quando col ricorso per cassazione sia denunciata una violazione o falsa applicazione di una norma giuridica sostanziale o processuale (art. 360, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4 cod. proc. civ.), l’onere di specificità dei motivi di cui all’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. deve essere letto alla luce del disposto dell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.”
Pertanto, il principio di specificità dei motivi deve essere letto in correlazione con la caratteristiche del contenuto decisorio del provvedimento impugnato, che possono comportare l’inammissibilità. Se vi è conformità fra la sentenza impugnata e l’orientamento espresso in funzione nomofilattica dalla Suprema Corte, e non vi è spazio per un nuovo orientamento, diverso da quello contrario alla giurisprudenza di legittimità e da quello fatto proprio dalla medesima, non vi è spazio per l’ammissibilità del ricorso. E’ una inammissibilità che attiene alla forma-contenuto dell’atto, per carenza di elementi costitutivi del motivo, con la conseguenza che essa inammissibilità ha carattere di rito e va valutata al momento della proposizione del ricorso, non potendo essere sanata con la presentazione della memoria ai sensi degli artt. 378 e 380 bis cpc.
Si costruisce l’inammissibilità di carattere meritale, ove il motivo sia incompleto o difetti di specificità.
Il ricorso deve contenere gli elementi utili ed essenziali, che giustifichino la cassazione della sentenza impugnata, proprio perché deve essere autosufficiente. Bisognerà allora menzionare le parti del ricorso introduttivo, in cui è stata enucleata la questione controversa e quelle del ricorso in appello, in cui si tratta la medesima, non omettendo di indicare i documenti su cui si fondano le proprie conclusioni
Non vi è una espressione normativa che richieda l’autosufficienza del ricorso, ma esso requisito si desume dal sistema, con la conseguente necessità che in ricorso siano indicati tutti gli elementi necessari, per esonerare la Corte dalla necessità di attingere aliunde. La mancata considerazione delle argomentazioni poste a base del provvedimento impugnato implica nullità del ricorso
Emerge, pertanto, una nuova ammissibilità, di carattere meritale, la quale può anche riguardare singoli motivi di ricorso (il quale, pertanto, può non essere coinvolto nella sua totalità). Occorrerà, pertanto, indicare le parti del ricorso introduttivo, attraverso cui si è allegata e dedotta la propria tesi e quelle del ricorso in appello con i correlativi documenti, in modo che si configuri in concreto questo paradigma dell’autosufficienza.
L’inammissibilità processuale si accompagna all’inammissibilità meritale, quando il ricorrente, sperando di assistere a un mutamento di orientamento della Suprema Corte, omette di implementare le argomentazioni, che sarebbero potenzialmente suscettibili di determinare un ripensamento della problematica in seno alla Corte di legittimità.
Sussiste ammissibilità del ricorso quando, pur non offrendosi alla Corte l’esposizione di argomenti, utili per determinare un mutamento di orientamento, per altre ragioni nelle more avvenga un siffatto mutamento di giurisprudenza.
Il sistema tende a circoscrivere la possibilità che l’Autorità giudiziaria debordi rispetto alla discrezionalità interpretativa, che è alla medesima riservata, in modo che l’Autorità giudiziaria resti pur sempre nel solco dei princìpi normativi, cui è soggetta. Argomenti normativi a sostegno di questa posizione sono l’art. 25, 2° c. Cost., secondo cui Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso e l’art. 101, 2° c. Cost, secondo cui i I giudici sono soggetti soltanto alla legge.
Nonostante questi paradigmi normativi, residua un’ attività giurisprudenziale creativa, in cui può essere incorporato il requisito della specificità dei motivi di ricorso per Cassazione. La “creatività” della giurisprudenza comporta una più o meno intensa elusione del vincolo della soggezione del Giudice solo alla legge, mettendo in discussione tale basilare precetto costituzionale, il quale ha una valenza diffusa, e lo stesso principio di separazione dei poteri.
La Cassazione civile, sez. VI-2, ordinanza 02/03/2018 n° 5001 ha asserito che “Ove col ricorso per cassazione si denunci la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, processuali o sostanziali, il principio di specificità dei motivi di cui all’art. 366 primo comma n. 4 cod. proc. civ. deve essere letto in correlazione col disposto dell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.; è pertanto inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 primo comma n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della Corte e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare giurisprudenza”.
L’interprete che struttura il ricorso deve verificare se sussistano i presupposti che giustifichino l’eventualità che la Cassazione cambi orientamento, nonostante il medesimo sia consolidato, Pertanto, ci si dovrà concentrare sulla norma o sulle norme, che rappresentano il fulcro della questione giuridica oggetto di controversia, indicare analiticamente quale sia l’interpretazione data dalla Corte a questa norma o norme e specificare quali sono gli argomenti che per la loro pregnanza debbano considerarsi idonei a determinare un mutamento di indirizzo della giurisprudenza della Cassazione, la quale deve essere indotta a un mutamento di giurisprudenza.
E’ bene rivisitare le disposizioni pertinenti. Al n. 4 l’art. 366 precisa che i motivi di ricorso devono essere indicati in modo specifico e pertanto non basta un generico e fumoso riferimento alla questione. Proprio per ovviare ai ricorsi pretestuosi e a quelli che costringono la Cassazione a pronunciarsi su questioni, su cui si è già sviluppato un orientamento consolidato, Il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”. Potrebbero presentarsi dei casi, in cui Il difensore ritenga che, nonostante l’orientamento consolidato della Corte, sussistano degli spiragli, attraverso l’elaborazione di argomenti giuridici di spessore,per un mutamento di indirizzo, con un cambiamento di giurisprudenza di legittimità.
Nella vicenda, il motivo di ricorso consiste nel dolersi , da parte del ricorrente, per il fatto che la Corte territoriale ha liquidato il danno in modo arbitrario. Manca il raffronto fra decisione del Giudice di merito e giurisprudenza di legittimità, con riferimento all’insindacabilità del potere del Giudice di liquidare il danno in via equitativa, allorché la decisione impugnata abbiadato adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà e abbia indicato il profilo logico e valutativo seguito ((ex plurimis, Cass., Sez. 1, 15/03/2016, n. 5090; Cass., Sez. 3, 04/04/2013, n. 8213; Cass., Sez. 3, 13/10/2017,). Da ciò l’inammissibilità del motivo di ricorso per Cassazione.
Questo il principio di diritto elaborato nell’ordinanza: «Ove col ricorso per cassazione si denunci la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, processuali o sostanziali, il principio di specificità dei motivi di cui all’art. 366 primo comma n. 4 cod. proc. civ. deve essere letto in correlazione col disposto dell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.; è pertanto inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 primo comma n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della Corte e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare giurisprudenza»
Pertanto, il Supremo Collegio è sollevato da un’attività che in qualche modo compensi la mancata elaborazione del necessario lavoro compilativo, che il ricorrente ha, per poter sviluppare un ricorso per cassazione specifico, nel senso sopra precisato. Detto altrimenti, il ricorso deve essere autosufficiente, anche perché se il ricorso è completo si evita il rischio della surrettizia introduzione di elementi nuovi nel giudizio di Cassazione, elementi che non sono ammessi.
Il ricorso non specifico è inidoneo a enucleare il difetto della sentenza impugnata. Si aggiunga che nel corpo del ricorso il ricorrente censura la violazione degli artt. 871, 872, 2697 c.c., perché la Corte d’Appello ha ritenuto provato il pregiudizio, sofferto dalla controparte, ma in questa maniera si attua una sovrapposizione del vizio di motivazione ai criteri di apprezzamento del fatto.
Se si volge l’attenzione alla lettura del difetto di specificità relativo al quarto motivo di ricorso; viene in considerazione una specificità, protesa a l superamento del duplice vaglio di ammissibilità, in base al combinato disposto degli artt. 366 n.4 – 360 bis n.1 c.p.c..
[1] https://www.altalex.com/documents/news/2010/10/04/cassazione-civile-ss-uu-ordinanza-06-09-2010-n-19051
[2] Cfr,. http://www.judicium.it/brevi-note-sulla-ordinanza-n-50012018-la-consistenza-del-difetto-specificita-nel-giudizio-cassazione/#_ftnref16, nota a cura di Giulia Ghiurghi
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