A cura dell’avv. stabilito Giulio La Barbiera
La tematica in oggetto esige una panoramica giurisprudenziale abbastanza ampia, prima di entrare nell’argomento principale, in quanto, senza tale modus procedendi, ne verrebbe meno la comprensione dell’argomento stesso nei suoi tratti essenziali.
Muovendo da tali presupposti, si può senz’altro affermare che: “nel delitto di truffa, mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l’elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l’effetto di produrre – mediante la “cooperazione artificiosa della vittima“ che, indotta in errore dall’inganno ordito dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione . la perdita definitiva del bene da parte della stessa“ (Sez. 2 sent. 18762 del 29-4-2013 (cc. 15-1-2013) rv. 255194).[1]
Va, tuttavia, evidenziato che il delitto di truffa l’elemento dell’”ingiusto profitto” può venirsi a configurare, a danno del creditore, anche nell’ipotesi in cui si realizzi il “conseguimento mediante un inganno, da parte del debitore, nell’ambito di un’obbligazione già assunta e rimasta inadempiuta, del differimento dell’avvio delle azioni recuperatorie od esecutive ai suoi danni“ (Cass., sez. II, 8 novembre 2011 – 14 febbraio 2012, n. 5572, CED 252537)[2] .
Spostando l’analisi sull’elemento soggettivo del delitto di truffa, va senza dubbio messo in evidenza che esso è costituito: “dal dolo generico , diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivo del reato (quali l’inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall’agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia accertati nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio, il che rende priva di rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l’agente a realizzare l’inganno” (Sez. 2 sent. 24654 del 21-6-2012 (ud. 21-3-2012 rv. 252824).
Ne deriva che: “la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo: ne consegue che , nell’ipotesi di cd. truffa contrattuale , il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato” (Sez. 2 sent. 18859 del 17-5-2012 (ud. 24-1-2012) rv. 252821).[3]
Nello specifico: “nella ipotesi di truffa contrattuale, il danno può consistere nell’assunzione di obbligazioni che non avrebbe avuto giustificazione nell’effettiva realtà dei fatti se questa non fosse stata dissimulata dalle false prospettazioni del soggetto agente” (Sez. 5 sent. 22003 del 22-5- 2013 (ud. 7-3-2013) rv. 255652)[4].
In altri termini: “In materia di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artefici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all’art. 640 cod. pen.“ (Cass. Pen., 14 Luglio 2016, n. 29853).[5]
Ne consegue che, come precedentemente illustrato per il delitto di truffa “in forma semplice”, anche “Il delitto di truffa, nella forma cosiddetta contrattuale , va considerato “reato istantaneo e di danno la cui consumazione coincide con la perdita definitiva del bene, i cui si sostanzia il danno del raggirato ed il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente” ( Sez. 2 sent. 20025 del 20-5-2011 (ud. 13-4-2011) rv. 250358).[6]
Approfondendo tale aspetto, si può, dunque, evidenziare che: “la truffa contrattuale può essere integrata anche dal silenzio su circostanze di fatto che, se conosciute dall’altro contraente, avrebbero escluso il suo consenso. In tal contesto il silenzio su di una circostanza di fatto rilevante per la conclusione del contratto è sempre antidoveroso quando chi tace sia consapevole della capacità del proprio silenzio di determinare il consenso della controparte che invece non contratterebbe se l’informazione fosse correttamente data” (Cass. pen., sez. II, 9 marzo 2009, n. 10461).
Trasportando tale illecito modo di agire di una parte a danno dell’altra in ambito della compravendita, accade che: “in tema di truffa, anche in assenza di qualsiasi messa in scena, la stipula di un contratto preliminare di vendita può rappresentare regime idoneo, ove si accompagni al proposito precostituito di non adempiere – sufficiente ad integrare , sul piano del dolo, l’elemento intenzionale del reati di truffa – e il patrimonio del soggetto passivo ne sia rimasto di conseguenza depauperato” (Cass. pen., sez. II, 7 settembre 2009, n. 34538), venendo così ad essere violate “norme fondamentali e generali” e/o “principi basilari dell’ordinamento” (Cass. pen., sez. II, 3 febbraio 2010, n. 8584)[7], come, nello specifico quelle relative alla correttezza e buona fede delle parti nella trattativa contrattuale finalizzata alla compravendita di un’auto con contachilometri taroccato.
Con riferimento alla fattispecie criminosa suindicata è necessario compiere una breve “immersione” nei profili civilistici della materia, onde delinearne precisamente tutti i contorni giuridici per poi ritornare nell’alveo della scienza penalistica.
Su casi come quello in esame, si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. II, Civile, con sentenza n. ° 1480 del 2 febbraio 2012, sancendo il principio secondo cui: “E’ annullabile per dolo la vendita di un’autovettura il cui contachilometri sia stato manomesso e il venditore, benché a conoscenza della manomissione, non abbia informato l’acquirente potendo il dolo, quale causa di annullamento del contratto, consistere tanto nell’ingannare la controparte con notizie false, con parole o con fatti (dolo commissivo), quanto nel nascondere alla conoscenza altrui, col silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive (dolo omissivo)” [8].
Ciò implica che “La clausola di buona fede nel’esecuzione del contratto opera come criterio di reciprocità, imponendo a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra e costituisce un dovere giuridico autonomo o di quanto espressamente stabilito da norme di legge: ne consegue che la sua violazione costituisce di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato” (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2855).[9]
Detto con altre parole: “In tema di contratti il principio di buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta , deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, sicchè la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti ll’esecuzione di un contratto (art. 1375 c.c.), concretizzandosi ne dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto.
La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno o obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del “neminem laedere”, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte” (Cass. civ, sez. III, 7 giugno 2006, n. 13345)[10].
Sul piano soggettivo, va, invece, fatto notare che in materia di buona fede “la violazione del dovere di comportamento secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto rileva non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative o di conclusione di un contratto invalido, ma anche quando il contratto concluso sia valido” (Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024).[11]
Muovendo da tali dati normativi ed analizzandoli con riferimento al “silenzio” nei rapporti tra contraenti, va rilevato che: “affinché il silenzio possa assumere il valore negoziale di consenso, occorre o che il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi8 tra le parti, impongano l’onere o il dovere di parlare, o che, secondo un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità delle parti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell’altra” (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2004, n. 3403)[12].
Esemplifcando: “la violazione del dovere di comportamento imposto dal principio di buona fede (art. 1375 c.c.) è già di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno cagionato a causa della violazione medesima.
Esso opera , quindi, come un criterio di reciprocità che , nel nuovo quadro di valori introdotto dalla Carta costituzionale, costituisce specificazione degli << inderogabili doveri di solidarietà sociale >> tutelati dall’art. 2 Cost. :la sua rilevanza si esplica nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto stabilito dalle singole norme di legge: la buona fede, quindi, si pone come governo della discrezionalità nell’esecuzione del contratto, nel senso che essa opera sul piano della selezione delle scelte discrezionali dei contraenti assicurando che l’esecuzione del contratto avvenga in armonia con quanto emerge dalla ricostruzione dell’operazi0ne economica che le parti avevano inteso porre in essere filtrata attraverso uno standard di ragionevolezza” ( Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005 n. 2855).[13]
Unendo tali profili civilistici con quelli penalistici precedentemente illustrati e focalizzando l’attenzione sulla fattispecie criminosa della vendita, da parte del concessionario, all’acquirente di auto con contachilometri taroccato, si può affermare che, senza dubbio, che, in seno a tale rapporto contrattuale geneticamente viziato, sussiste: “l’elemento soggettivo del delitto di truffa nel caso del concessionario che abbia indotto l’acquirente ad acquistare un’auto ad un maggior prezzo raggirandolo sull’entità dell’effettivo chilometraggio percorso, avendo questi ritenuto corretto il dato riportato nel contachilometri per la fiducia che nutre nel venditore a causa del pregresso rapporto di amicizia e, per le dichiarazioni di quest’ultimo che gli abbia assicurato che l’auto era stata di frequente controllata e revisionata“.
Gli Ermellini precisano, infatti, al riguardo che: “Sussiste sicuramente il reato suddetto quando sia stata provata la consapevolezza dell’imputato sul reale chilometraggio dell’autovettura, sul suo reale ed inferiore valore, nonché sugli artifici e raggiri posti in essere per trarre in errore la persona offesa“.[14]
Per tali motivi, la Cassazione ha condannato “un concessionario che aveva <<truccato>> il contachilometri di un autoveicolo in sede di vendita, poiché trattasi di violazione non civilistica – inadempimento contrattuale, ma trattasi di una fattispecie con rilevanza penale.
In questa pronuncia la cassazione ha esaminato la prassi dei venditori di veicoli usati di diminuire i chilometri percorsi, il tutto con il chiaro intento di vendere ad un prezzo maggiore, violazione che configura il reato di truffa.
Nel contraffare un contachilometri, è, infatti, palese la consapevolezza del venditore di volere porre in essere artifici e raggiri per convincere l’acquirente all’acquisto.
L’acquirente ha scoperto che era stato contraffatto il contachilometri solo dopo l’acquisto, ed ha scoperto che l’effettivo chilometraggio era il doppio di quello risultante al momento dell’acquisto. Conseguentemente il prezzo pagato era stato chiaramente eccessivo.
La chiara volontà di raggirare parte acquirente è stata poi confermata dall’avere parte proprietaria voluto tacere il nome del precedente proprietario, nel chiaro intento di impedire all’interessato all’acquisto di controllare le condizioni della vettura.
Sulla base di questo la Corte d’Appello ha configurato il reato di truffa, di cui all’art. 640 c.p.: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.
La Corte di Cassazione ha confermato la pena del precedente grado di giustizia, cioè la condanna a 4 mesi di reclusione e 200 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali“[15].
Conclusioni
Concludendo, si può affermare che, ai fini della consumazione del reato di truffa (nonché di quello di truffa contrattuale) è necessario che “il profitto dell’azione truffaldina entri nella sfera giuridica di disponibilità dell’agente, non essendo sufficiente che esso sia fuoriuscito da quello del soggetto agente” (Cass. V, sent. 14905 del 6-4-2009 (ud. 29-1-2009) rv 243608).[16], ma deve verificarsi la “definitva perdita patrimoniale per il soggetto passivo“(con riferimento specifico al reato di truffa contrattuale) (Cass. pen., sez. II, 3 maggio 2010, n. 16735)[17].
[1] I codiciCOMMENTATI per le professioni forensi – APPENDICE DI AGGIORNAMENTO AI CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA – MODIFICHE NORMATIVE – SELEZIONE RAGIONATA DELLE PIU’ RECENTI PRONUNCE DELLA CORTE D CASSAZIONE – NOVEMBRE 2013 CONSULTABILE DURANTE LE PROVE SCRITTE DELL’ESAME DI AVVOCATO – EDIZIONI GIURIDICHE SIMONE –GRUPPO EDITORIALE SIMONE (sub art. 640 c.p.).
[2] Da: Giorgio Lattanzi – CODICE PENALE – ANNOTATO CON LA GIURISPRUDENZA – PERCORSI 2012 ESAME AVVOCATO 2012 – AGGIORNAMENTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE – ADDENDA GRATUITA – GIUFFRE’ EDITORE – MULTA PACIS – AG (sub. art. 640 c.p. par. 3 “Profitto”).
[3] I codiciCOMMENTATI per le professioni forensi – APPENDICE DI AGGIORNAMENTO AI CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA – MODIFICHE NORMATIVE – SELEZIONE RAGIONATA DELLE PIU’ RECENTI PRONUNCE DELLA CORTE D CASSAZIONE – NOVEMBRE 2012 CONSULTABILE DURANTE LE PROVE SCRITTE DELL’ESAME DI AVVOCATO – EDIZIONI GIURIDICHE SIMONE –GRUPPO EDITORIALE SIMONE (sub art. 640 c.p.).
[4] I codiciCOMMENTATI per le professioni forensi – APPENDICE DI AGGIORNAMENTO AI CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA – MODIFICHE NORMATIVE – SELEZIONE RAGIONATA DELLE PIU’ RECENTI PRONUNCE DELLA CORTE D CASSAZIONE – NOVEMBRE 2013 CONSULTABILE DURANTE LE PROVE SCRITTE DELL’ESAME DI AVVOCATO – EDIZIONI GIURIDICHE SIMONE –GRUPPO EDITORIALE SIMONE. (sub art. 640 c.p.).
[5] Da: CODICE CIVILE e CODICE PENALE – ADDENDA DI AGGIORNAMENTO 2016 – I CODICI SUPERIORI 2016 diretti da Guido ALPA e Roberto GAROFOLI – NEL DIRITTO EDITORE
(sub art. 640 c.p. par. 1. “Truffa contrattuale”).
[6] I codiciCOMMENTATI – APPENDICE DI AGGIORNAMENTO AI CODICI CIVILE E PENALE –COMMENTATI CON LA GIURISPRUDENZA – SELEZIONE RAGIONATA DELLE PIU’ RECENTI PRONUNCE DELLA CORTE D CASSAZIONE –DICEMBRE 2011 – CONSULTABILE DURANTE LE PROVE SCRITTE DELL’ESAME DI AVVOCATO – EDIZIONI GIURIDICHE SIMONE –GRUPPO EDITORIALE SIMONE
(sub art. 640 c.p.).
[7] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM ( sentenze tratte da par. 15 “Truffa contrattuale” sub art. 640 c.p.).
[8] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM (art. 1470 c.c. par. 19 “Vendita con dolo”).
[9] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM art. 1375 c.c. par. 4 “Buona fede come criterio di reciprocità).
[10] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM art. 1375 c.c. par. 6 “Buona fede oggettiva”).
[11] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM art. 1375 c.c. par. 7 “Buona fede:strumento di integrazione degli obblighi contrattuali e limite funzionale all’esercizio del diritto”).
[12] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM art. 1375 c.c. par. 21 “Silenzio nei rapporti tra contraenti”).
[13] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM art. 1375 c.c. par. 22 “Violazione del dovere di buona fede:conseguenze”).
[14] Da: PENALE – Autoveicolo, vendita, contachilometri, alterazione, concessionario, truffa – Cassazione penale, sez. II, sentenza 17/09/2013 n.° 38085 –Aggiornato il 18/06/2014 – Fonte:Massimario.it – 36/2013. Cfr. nota su Altalex Esami e Concorsi – Schede di Giurisprudenza (a cura di Simone Marani –Professionista:Avvocato – Prov:Bologna)
[15] Da:Reato di truffa per il concessionario che trucca il contachilometri – 2 marzo 2014 di ACSALLUZZO (Anna Claudia Salluzzo- Avvocato) su:www.studiolegalesalluzzo.wordpress.com
[16] I codiciCOMMENTATI – APPENDICE DI AGGIORNAMENTO AI CODICI CIVILE E PENALE –COMMENTATI CON LA GIURISPRUDENZA – SELEZIONE RAGIONATA DELLE PIU’ RECENTI PRONUNCE DELLA CORTE D CASSAZIONE –Novembre 2009- CONSULTABILE DURANTE LE PROVE SCRITTE DELL’ESAME DI AVVOCATO – EDIZIONI GIURIDICHE SIMONE –GRUPPO EDITORIALE SIMONE
(sub art. 640 c.p.).
[17] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM ( sentenze tratte da par. 15 “Truffa contrattuale” sub art. 640 c.p.).
[17] Luigi Tramontano – CODICI CIVILE E PENALE – ANNOTATI CON LA GIURISPRUDENZA PER L’ESAME DI AVVOCATO 2013 – CEDAM (art. 640 c.p.. par. 10 “Tentativo e consumazione”).