imagesCommento a Tar Lazio Roma, sez. II, 10 novembre, 2014, n. 11225

A cura dell’avv. Gabriele Pepe

 1.    La vicenda

La vicenda in questione concerne l’irrogazione nei confronti di un dirigente della Commissione nazionale per le società e la borsa di una sanzione pecuniaria da parte del collegio interno di disciplina. Il procedimento sanzionatorio era stato attivato a seguito di deferimento disposto dalla Commissione con una delibera formata da due soli componenti in carica[1] tra loro in palese contrasto; poiché l’ordinamento della Consob attribuisce prevalenza al voto del presidente a parità di suffragi[2], la delibera veniva di fatto assunta in base ad una decisione esclusiva del presidente. Il procedimento si concludeva con l’irrogazione nei confronti del dirigente di una sanzione pecuniaria pari ad 1/5 della retribuzione.

Il dirigente, impugnando dinanzi al giudice amministrativo il provvedimento sanzionatorio, oltre agli atti presupposti e consequenziali, deduceva, tra le varie censure, la violazione sia del principio di collegialità sia dell’art. 1 della Legge n. 216/1974, in merito al deferimento al collegio di disciplina disposto con il solo voto favorevole (e prevalente) del Presidente della Commissione, composta da due membri in carica su tre.

Il ricorso giurisdizionale proposto si fonda sui motivi che seguono.

In primo luogo il ricorrente censura l’illegittimità di un collegio composto da due soli membri, trattandosi di circostanza lesiva del consolidato principio del tres faciunt collegium, quale principio cardine del sistema della collegialità.

In secondo luogo il ricorrente contesta la legittimità costituzionale e comunitaria dell’art. 23, comma 2, del Decreto Legge n. 201/2011, convertito dalla Legge n. 214/2011[3] che attribuisce prevalenza al voto del presidente nell’ipotesi di collegio formato da due soli componenti in carica, per violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa; del resto l’applicazione di tale disposizione comporterebbe surrettiziamente la trasformazione di un organo collegiale in un organo monocratico, determinando una supremazia funzionale del presidente inconciliabile con i tratti distintivi della collegialità.

 2.    Le principali questioni giuridiche in rilievo

Il caso di specie pone all’interprete l’esame di una pluralità di questioni giuridiche e segnatamente:

1. natura giuridica della Commissione nazionale per le società e la borsa;

2. numero minimo di componenti per la corretta configurazione ed operatività di un organo collegiale;

3. ratio ed effetti della disposizione che espressamente assegna prevalenza al voto del presidente a parità di suffragi;

4. compatibilità costituzionale e comunitaria della disposizione normativa che attribuisce, a parità di suffragi, prevalenza al voto del presidente nell’ambito di una Commissione costituita da due soli componenti in carica.

Quanto alla natura giuridica della Commissione se ne afferma tradizionalmente la natura di organo collegiale imperfetto o virtuale[4] con applicazione del relativo regime giuridico; coerentemente non è richiesta la partecipazione di tutti i componenti assegnati, non sono di regola previsti membri supplenti e sono ammesse forme di astensione al momento del voto. La ratio della natura imperfetta o virtuale dell’organo rinviene il proprio fondamento nell’esigenza di assicurare un celere ed efficace svolgimento dei compiti istituzionali dell’Autorità amministrativa indipendente, senza le limitazioni previste per gli organi collegiali perfetti o reali.

Con riferimento al numero di componenti necessario per la corretta configurazione di un organo collegiale, tradizionalmente il numero minimo viene individuato in tre componenti in ossequio al brocardo latino secondo il quale duo non faciunt collegium[5]. Del resto, come autorevolmente sostenuto dalla dottrina, ogni organo collegiale è ineludibilmente un organo pluripersonale in cui la presenza di una molteplicità di individui, spesso diversi per estrazione, è preordinata ad una più equa e calibrata ponderazione degli interessi in rilievo nella adozione della scelta deliberativa. La pluripersonalità risulta essere, infatti, uno degli elementi costitutivi del fenomeno collegiale insieme alla posizione di primazia formale o di primus inter pares del presidente ed alla reciproca equiordinazione di tutti i componenti.

La questione del numero minimo di componenti, indispensabile ai fini della operatività della Commissione, si riallaccia poi alla previsione dell’ordinamento Consob che assegna prevalenza al voto del presidente a parità di suffragi[6].

La particolarità di tale previsione, accentuata al massimo grado dalla composizione duale del collegio, può essere nitidamente compresa solo dopo una accurata riflessione di ordine generale. È convincimento diffuso, invero, che negli organi collegiali, solitamente imperfetti, il procedimento possa alle volte non concludersi utilmente a causa della parità dei voti a favore e contro una determinata proposta di deliberazione[7].

Al fine superare tale situazione di impasse, che imporrebbe una nuova votazione, con relativi tempi e costi amministrativi, taluni ordinamenti collegiali prevedono, con espressa disposizione di diritto positivo, che a parità di suffragi prevalga il voto del presidente, in modo da condurre necessariamente l’iter collegiale ad un utile esito deliberativo. Questa disposizione, di natura eccezionale, lungi dal collocare il presidente in una posizione di sovraordinazione o supremazia rispetto agli altri membri, persegue in via esclusiva la finalità di assicurare il funzionamento dell’organo nelle eventuali e straordinarie ipotesi di parità nella votazione. Un rimedio eccezionale, dunque, per casi eccezionali.

Diversamente con riferimento alla vicenda de qua l’applicazione della disposizione che attribuisce, in caso di parità, valore dirimente al suffragio del presidente della Commissione -organo collegiale formato da due soli componenti in carica- viene a stravolgere le finalità del rimedio e con esso la posizione giuridica del presidente; infatti in caso di dissenso con l’altro componente è il presidente ad assumere in via ordinaria ed esclusiva ogni decisione, collocandosi in una posizione non già di primus inter pares ma di vera e propria supremazia sul membro dissenziente.

Una soluzione francamente inaccettabile in quanto distorsiva degli elementi tipici della collegialità, segnatamente rinvenibili nella posizione di primazia formale del presidente[8] e nella reciproca pariordinazione di tutti i componenti[9].

In altri termini il presidente della Commissione non si limiterebbe più ad un ruolo di impulso e coordinamento delle attività del collegio[10], ma ne diverrebbe il vero dominus, sovraordinato rispetto al componente semplice; in definitiva un primus super pares.

Ne discende, coerentemente, un problema di compatibilità costituzionale e comunitaria della disposizione che, in caso di parità, assegna valore doppio al suffragio del presidente in una Commissione formata da due soli componenti in carica su tre. A ben vedere, infatti, tale disposizione risulterebbe potenzialmente lesiva dei principi di imparzialità e buon andamento della funzione amministrativa collegiale, in ragione del predominio assoluto della volontà presidenziale nella decisione assunta (nel caso di specie il deferimento del dirigente al collegio di disciplina per l’irrogazione di un provvedimento sanzionatorio).

 3.    Il decisum giudiziale

Affermata incidentalmente la natura virtuale o imperfetta della Commissione, il Tar del Lazio si occupa della tematica del numero minimo di componenti necessario per la legittima operatività di un organo collegiale. In proposito il giudice amministrativo “sostiene che non può ritenersi superata la tradizionale impostazione secondo la quale non può aversi un collegio con meno di tre membri e invoca a supporto di tale assunto una pronuncia (T.A.R. Lazio, Sez. I, 18 gennaio 2011, n. 419) con la quale questo Tribunale ha risolto negativamente, in relazione ad una fattispecie analoga a quella in esame[11]. Infatti sostenere che “in caso di parità, in un collegio composto da due soli componenti, prevale il voto del presidente, corrisponde in pratica ad affermare che l’unico decidente è il presidente, alterando in modo profondo e incontrovertibile il principio generale di par condicio dei componenti degli organi collegiali”. A ciò aggiunge come sia “del tutto evidente che la regola che riconosce in caso di parità dei voti “prevalenza” al voto del presidente, applicata a collegi con un numero di componenti superiori a due, rappresenta una modalità individuata per superare situazioni di “stallo” in cui un organo collegiale può incorrere, e ciò in ragione di un principio di effettività dell’azione amministrativa, rispondente al più generale principio di buon andamento”. Inoltre puntualizza il Tar come “la stessa regola, tuttavia, laddove prevista in modo acritico dalla norma per il funzionamento di un collegio di due soli componenti, si risolve in una inammissibile prevalenza di un componente sull’altro, violando il principio già citato della par condicio dei componenti degli organi collegiali, ed è tale da poter fare affermare come intervenuta una sostanziale riduzione dell’organo collegiale ad organo monocratico, così contravvenendo al dettato della norma primaria”.

Il giudice amministrativo tende, in questo modo, ad aderire alle tesi prospettate dal ricorrente, spingendosi ad affermare come il vulnus alla collegialità sia così grave da trasformare nella maggior parte dei casi ed in modo surrettizio la Commissione da organo collegiale ad organo monocratico. Del resto, ad avviso del Tar, la prevalenza del voto del presidente nella vicenda de qua non si può giustificare con le esigenze di spedito funzionamento del collegio, che di solito rappresentano il fondamento di siffatto potere presidenziale. Diversamente, tale rimedio “dimostra, una volta di più che la previsione normativa di un collegio di due soli componenti è illegittima, poiché essa rende l’originario collegio in pratica un organo monocratico”. Tale asserzione è poi confermata da altra giurisprudenza secondo cui “la medesima previsione di un collegio di due soli componenti è irragionevole, laddove la disposizione di “prevalenza” non vi fosse, perché, in caso di opinioni diverse, il “collegio” non sarebbe in grado di decidere e, quindi, di funzionare[12].

Con precipuo riferimento alla regola che attribuisce, a parità di suffragi, prevalenza al voto del presidente in organi collegiali formati da due soli componenti, il Tar del Lazio esamina la censura del ricorrente sulla incompatibilità costituzionale e comunitaria dell’art. 23, comma 2, del Decreto Legge n. 201/2011, convertito dalla Legge n. 214/2011 (poi recepita nell’art. 19, comma 1, del Regolamento di organizzazione[13]) per violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della funzione amministrativa collegiale.

Il giudice efficacemente risolve il problema della compatibilità costituzionale e comunitaria attraverso un’interpretazione conforme della norma tanto alla Carta costituzionale quanto all’ordinamento comunitario. Infatti afferma il Tar che prima ancora di esaminare le suesposte questioni di compatibilità della disposizione dell’art. 23, comma 2, del Decreto Legge n. 201/2011 convertito dalla Legge n. 214/2011 con i principi costituzionali e dell’ordinamento comunitario è necessario verificare se tale disposizione si presti ad una interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata. In tale direzione il giudice amministrativo, in adesione alle prospettazioni del ricorrente, puntualizza come occorra mantenere nettamente distinta l’ipotesi in cui l’applicazione della regola della prevalenza del voto del presidente consente di superare una episodica e fisiologica situazione di impasse, come quella determinata dall’astensione o dall’impedimento di uno dei componenti del collegio, dalla differente ipotesi in cui l’applicazione di tale regola, in costanza di una prolungata e patologica situazione di impasse, cagionata dalla mancata tempestiva sostituzione del componente in scadenza, comporta di fatto la trasformazione dell’organo di vertice dell’autorità indipendente da collegiale in monocratico. Pertanto –ed è questo il passaggio decisivo della pronuncia- ad avviso del giudice amministrativo sussisterebbe una radicale differenza ontologica tra le due situazioni prospettate. Infatti “la prima oltre a non essere prevedibile, in quanto determinata da fatti contingenti, si presenta limitata nel tempo, sicché si potrebbe anche ritenere che il principio di continuità dell’azione amministrativa – che costituisce un corollario del principio di buon andamento dell’amministrazione – possa giustificare una temporanea compressione del principio della par condicio dei componenti dell’organo collegiale e, quindi, consentire l’applicazione della regola secondo la quale in caso di disaccordo tra i due componenti prevale il voto del Presidente”. In tale passaggio la pronuncia ribadisce l’eccezionalità della previsione che assegna prevalenza, in caso di parità, al voto presidenziale quale rimedio occasionale ed eventuale; in altri termini un rimedio, di rara applicazione, volto ad assicurare il corretto funzionamento dell’organo collegiale non già in modo costante ma solo in situazioni peculiari ed eccezionali.

Diversamente la seconda fattispecie di cronica assenza del terzo componente, per carenza di nomina governativa, facendo sì che il collegio sia composto stabilmente da due soli componenti in carica, rende non applicabile la regola della prevalenza del voto presidenziale, poiché ove ciò avvenisse si affiderebbe alla volontà del presidente ogni decisione, compromettendo irreparabilmente la natura collegiale dell’organo.

Del resto -precisa il Tar- “a fronte della indiscutibile volontà del legislatore (desumibile dall’art. 1 del decreto legge n. 95/1974, convertito dalla legge n. 216/1974) di garantire la collegialità delle deliberazioni dell’organo di vertice della CONSOB – la regola posta dall’art. 23, comma 2, del decreto legge n. 201/2011 non può essere ritenuta espressione di un principio generale dell’ordinamento secondo il quale, ogniqualvolta un organo collegiale composto da tre soggetti si trovi ad operare con due soli componenti, la formazione della volontà dell’organo collegiale può dipendere dal voto del solo Presidente”.

In conseguenza della natura eccezionalissima della disposizione di cui all’art. 23 comma 2, il giudice amministrativo chiarisce come la regola della prevalenza del suffragio presidenziale non sia applicabile nella seconda situazione di impasse dell’organo collegiale “determinata dalla mancata sostituzione del componente giunto a scadenza del mandato”. Ciò in ragione della circostanza che “tale situazione – a differenza di quella determinata dall’astensione o dall’impedimento di uno dei componenti del collegio – è prevedibile con largo anticipo” e conseguentemente “il rischio di paralizzare l’attività dell’autorità indipendente può essere agevolmente scongiurato dal Governo provvedendo tempestivamente alla nomina del terzo componente”. Inoltre tale situazione appare gravemente patologica in nuce dato che “qualora si consentisse l’applicazione della regola sancita dal secondo comma dell’art. 23 anche nelle more della nomina del terzo componente del collegio, di fatto si lascerebbe al Governo la scelta di far operare l’organo di vertice di un’autorità indipendente come la Consob in un assetto collegiale oppure monocratico”.

In definitiva, con riferimento al caso di specie, l’erronea applicazione della regola della prevalenza del voto presidenziale invalida la delibera con cui la Commissione ha deferito il dirigente al collegio di disciplina e conseguentemente rende illegittimo, in via derivata, il successivo provvedimento sanzionatorio. Per le regioni sopra esposte il Tar del Lazio accoglie il ricorso annullando la sanzione irrogata nei confronti del dirigente.

 4.    Riflessioni conclusive

 

La pronuncia del Tar Lazio intende ribadire l’attuale vigenza delle regole tradizionali in tema di collegialità rintracciabili, segnatamente, nella posizione di primazia o di primus inter pares del presidente e nella reciproca pariordinazione di tutti i componenti.

In tale prospettiva il giudice amministrativo compie una puntuale actio finium regundorum dell’ambito applicativo della disposizione che assegna prevalenza, in caso di parità, al voto del presidente nell’ambito della Commissione quale organo collegiale costituito da due soli componenti in carica (in luogo dei tre previsti).

A riguardo il Tar opera un distinguo tra un deficit di composizione connesso alla assenza temporanea ed occasionale di un componente ed un deficit di composizione strutturale- come nel caso di specie- riconducibile alla mancata nomina del terzo componente da parte dell’autorità governativa. Tale summa divisio assume rilievo centrale in ragione delle ricadute che l’assenza occasionale o persistente di un componente della Commissione può riverberare sul concreto funzionamento dell’iter collegiale.

Con un’interpretazione restrittiva (costituzionalmente e comunitariamente conforme) della disposizione di cui all’art. 23 comma 2 del Decreto Legge n. 201/2011 convertito dalla Legge n. 214/2011 il giudice amministrativo esclude l’applicazione della regola della prevalenza, a parità di voti, del suffragio del presidente alla fattispecie di cronica e patologica assenza del terzo componente della Commissione. Ciò sulla base della considerazione che la disposizione in parola deve essere ricondotta nel proprio naturale e circoscritto alveo applicativo, quale disposizione eccezionale contemplata dall’ordinamento per ipotesi occasionali di parità nella votazione.

Con siffatta opera ermeneutica il Tar sottolinea, dunque, l’erronea applicazione della regola della prevalenza del voto del presidente evidenziando come, diversamente, nel caso di specie la delibera della Commissione di deferimento del dirigente si sarebbe dovuta formare con il voto unanime di entrambi i componenti in carica.

Dall’erronea applicazione della regola di cui sopra discende l’illegittimità della delibera della Commissione e conseguentemente l’invalidità derivata del provvedimento sanzionatorio irrogato dal collegio di disciplina.



[1] L’art. 23, comma 2, del Decreto Legge n. 201/2011, convertito dalla Legge n. 214/2011, incidendo sull’art. 1, comma 3, della Legge n. 216/1974, riduce da cinque a tre compreso il Presidente il numero dei componenti della Consob per alleggerire i costi a carico dell’Erario. All’epoca della vicenda summenzionata i componenti in carica sono esclusivamente due, non essendo il terzo ancora stato nominato dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. L’inerzia governativa viene, così, a creare un deficit nella struttura e nel funzionamento della Commissione.

[2] L’art. 19, comma 1, del Regolamento di organizzazione e funzionamento della Consob espressamente recita: “Le deliberazioni della Commissione sono adottate a maggioranza dei votanti. In caso di parità prevale il voto del Presidente”. Tale disposizione, tuttavia, non corrisponde alla versione originaria del Regolamento, il quale differentemente statuiva: “Salvo che non sia prevista una maggioranza diversa, le deliberazioni della Commissione sono adottate a maggioranza dei votanti e, comunque, con non meno di due voti favorevoli. In caso di parità prevale il voto del Presidente”. La norma è stata modificata nel 2013 per adeguare la disciplina regolamentare alla disposizione dell’art. 23, comma 2, del Decreto Legge n. 201/2011, convertito dalla Legge n. 214/2011, secondo il quale “ove il numero dei componenti, incluso il Presidente, risulti pari, ai fini delle deliberazioni, in caso di parità, il voto del presidente vale doppio”.

[3] Tale disposizione incide in senso modificativo sulla Legge n. 216/1974 istitutiva della Consob.

[4] Sulla generale distinzione tra organi collegiali perfetti o reali ed organi collegiali imperfetti o virtuali, in giurisprudenza, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 1961, n. 62, in Foro amm. 1961, p. 253. Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 1961, n. 181, in Foro amm. 1961, p. 382. Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 1987, n. 230, in Cons. Stato 1987, p. 675. Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 543, in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, tra i tanti, VALENTINI S., La collegialità nella teoria dell’organizzazione, Giuffrè, Milano, 1968, ristampa, Giuffrè, Milano, 1980, pp. 188 e ss. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, vol. VI, Roma, 1988, p. 4.

[5] Con riferimento al numero minimo di componenti vige da sempre il principio del “tres faciunt collegium” che risale a Nerazio Prisco, (vedasi anche L. 16. 85 Dig., De verborum significatione, Marcello, 50, 16) in base al quale ogni istituzione, per definirsi collegiale, deve essere formata, quantomeno al momento della sua costituzione, da un numero di componenti non inferiore a tre, preferibilmente in numero dispari. In giurisprudenza, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 1962, n. 257, in Foro amm. 1962. p. 456. Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2011, n. 4573, in www.giustamm.it, secondo il quale “duo non faciunt collegium“. Contra Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2000, n. 15056, in www.cortedicassazione.it. T.A.R. Lazio, Sez. I,18 gennaio 2011, n. 419, in www.giustamm.it. Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2011, n. 4573, in www.giustizia-amministrativa.it.

[6] Tale previsione, contenuta nella disposizione di rango legislativo di cui all’art. 23, comma 2, del Decreto Legge n. 201/2011, convertito dalla Legge n. 214/2011, è stata poi recepita in una norma di rango regolamentare individuabile nell’art. 19, comma 1, del Regolamento di organizzazione e funzionamento della Consob.

[7] Sulle soluzioni adottabili in caso di parità dei suffragi, senza pretese di completezza, CAMMEO F., La parità dei voti nelle deliberazioni comunali, Utet, Torino, 1901, passim. VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, Roma, 1920, p. 269. BORSI U., La parità di voti nelle deliberazioni degli organi collegiali degli enti locali, in Rass. legisl. com., 1936, fasc. 19, p. 4. FORTI U., La parità di voto nelle deliberazioni amministrative, in Studi di dir. pubbl., 1937, I, pp. 443 e ss.. DE GENNARO G., La parità di voti nelle deliberazioni amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, I, pp. 650 e ss., ora anche in Scritti di diritto pubblico, vol. I, Milano, 1955, pp. 41 e ss.. LA TORRE M., Parità di voti e voto del presidente del collegio, in Amm. it., 1952, p. 61. STRANGES A., Deliberazioni dei consigli comunali: effetti della parità di voti, ripetizione della votazione, in Il servizio ispettivo, n. 5, 1954, p. 101. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I e II, Giuffrè, Milano, 1956-59, passim. DAGTOGLOU P., Kollegialorgane und Kollegialakte der Verwaltung, Stuttgart, 1960, passim. GARGIULO U., I collegi amministrativi, Jovene, Napoli, 1962, p. 299.

[8] Sia consentito rinviare in proposito a PEPE G., La primazia negli organi collegiali pubblici, Editoriale scientifica, Napoli, 2014, passim. L’elaborazione della primazia quale figura organizzatoria di originale equiordinazione di deve a GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1950, pp. 202-203.

[9] La posizione di primazia formale o di primus inter pares del presidente ben si concilia con il principio di equiordinazione che ispira le relazioni infra-collegiali e con il principio di maggioranza quale principio generale per l’adozione delle deliberazioni collegiali. Proprio il principio maggioritario dimostra come il presidente non rivesta alcuna posizione di sovraordinazione, potendo egli essere messo in minoranza in sede di votazione. La primazia rappresenta, del resto, una figura organizzatoria di originale equiordinazione che riconosce al presidente un ruolo di mero primus inter pares nell’osservanza del principio della par condicio quale cardine di ogni sistema collegiale.

[10] Tale ruolo si manifesta generalmente nelle funzioni di convocazione delle adunanze, formulazione dell’ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute. I caratteri tipici di siffatte funzioni si rinvengono nella strumentalità rispetto al corretto svolgimento dell’attività collegiale e al suo fisiologico esito deliberativo; nella natura meramente formale-procedurale da cui discende l’inidoneità ad incidere sull’autonomia decisionale degli altri componenti.

[11] La fattispecie richiamata, inerente la composizione del collegio di garanzia sui procedimenti disciplinari istituito presso l’Isvap ai sensi dell’art. 331 del decreto legislativo n. 209/2005, poneva la questione circa la possibilità per un collegio di agire validamente con la presenza di due componenti (art. 9, comma 2, del Regolamento ISVAP n. 6/2006) applicando la regola secondo la quale in caso di parità prevale il voto del presidente (art. 9, comma 3, del Regolamento Isvap n. 6/2006). Il giudice amministrativo forniva risposta negativa.

[12] T.A.R. Lazio, Sez. I, 18 gennaio 2011, n. 419, in www.giustizia-amministrativa.it: “Il che rende, ancora una volta, evidenti le ragioni del brocardo “duo non faciunt collegium”, del perché, cioè, non si dia ragionevolmente organo collegiale se non con più di due componenti”

[13] L’art. 23 comma secondo del Decreto Legge n. 201/2011 espressamente recita: “Ove il numero dei componenti, incluso il Presidente, risulti pari, ai fini delle deliberazioni, in caso di parità, il voto del Presidente vale doppio”. Quest’ultima disposizione è stata recepita nell’art. 19, comma 1, del Regolamento di organizzazione della Consob (sostituito con delibera n. 18591 del 26 giugno 2013), secondo il quale “le deliberazioni della Commissione sono adottate a maggioranza dei votanti. In caso di parità prevale il voto del Presidente”.

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