Tutela dei minori di mafia attraverso i provvedimenti de potestate
A cura della Prof.ssa Paola Todini
Vi è da premettere che il substrato culturale che muove l’operato della ‘ndrangheta, pur colorandosi di assonanze, similitudini e relazioni, si distingue e si caratterizza nettamente[1], sia dal punto di vista strutturale sia da quello della tipizzazione degli schemi della devianza, dal fenomeno mafioso[2].
Se in un periodo iniziale questa diversità può essere storicamente ricostruita secondo una duplice chiave di lettura: da un lato quello di una sorta di filiazione delle organizzazioni calabresi rispetto a quelle più importanti della mafia e della camorra, dall’altro nell’incapacità dello Stato di comprendere in pieno la presenza ed il ruolo autonomo di un nuova organizzazione criminale[3] oggi; non vi è dubbio essa identifica accanto alle autonome organizzazioni della mafia, camorra e sacra corona unita una delle associazioni a delinquere di stampo mafioso di cui all’art. 416 bis del c.p.
Il substrato culturale in cui agisce tale ordinamento contra legem è quello in cui l’antistatalità rappresenta la normalità e la quotidianità. Lo stesso termine ‘ndrangheta, secondo il linguista Paolo Martino, deriva dall’etimo greco andragathos, dunque uomo coraggioso, valente[4]. Ancora oggi nel reggino “il verbo ‘ndranghitiari, dal greco andragatizomai, significa <<atteggiarsi a uomo valente>>, rispettato e temuto”[5]. E’, dunque, evidente che in una peculiare accezione demologica la percezione della ‘ndrangheta e dei suoi affiliati sia considerata in termini non del tutto negativi in cui si mescolano leggende ed elementi di religiosità[6] che connotano, corroborano ed in qualche modo anche legittimano il potere terreno e locale degli affiliati, creando un vero e proprio codice di comportamento dei consociati, delle “norme”[7].
Per comprendere il senso e l’efficacia dei provvedimenti che ci accingiamo ad analizzare è necessario comprendere la peculiare struttura della ‘ndrangheta, che la rende unica rispetto alle altre mafie.
La mafia calabrese[8] è strutturata territorialmente in locali, cosche e ‘ndrine. Soprassedendo dalle altre due strutture che esulano dal campo d’indagine di questo lavoro, appare impostante soffermarsi sulle ‘ndrine. Le ‘ndrine sono costituite prevalentemente su ciò che sarebbe definita come una famiglia allargata. La famiglia, dunque, costituisce il mezzo per vincolare in modo inscindibile gli associati ed impedire tradimenti[9], come conferma il minor numero di pentiti rispetto alle altre mafie[10], e si impone sopra ogni altro vincolo.
Il capobastone, che coincide con il capo della famiglia naturale, qualcosa di simile al pater della famiglia romana che vede a lui sottoposti tutti i figli che non sono ancora sui iuris, è il centro della ‘ndrina, da lui una precisa gerarchia di comando prettamente in linea maschile, anche se non mancano eccezioni. La familiarità è il vincolo che consente di evitare infiltrazioni esterne e l’assenza di infiltrazioni esterne è la linfa della ‘ndrina.
In tale contesto sociale il ruolo delle donne assume un rilievo particolare[11], queste, seppur assumono connotati particolari, risultano particolarmente legate -e questo è un dato particolarmente rilevante per l’analisi del fenomeno giuridico che andremo in seguito ad analizzare- attraverso un’intima adesione alle dipendenze di mariti, padri e fratelli violenti e alla loro deresponsabilizzazione come individui. Seppur non mancano figure attive e di assistenza nelle attività criminose[12], le donne sono prevalentemente indirizzate alla cura dei figli e alla loro educazione ai canoni della criminalità; per così dire sono deputate a “trasmettere la cultura e le regole mafiose ai propri figli”[13]. I figli, infatti, costituiscono le nuove leve, da indirizzare il più presto possibile –indipendentemente dal raggiungimento della maggiore età- alle attività criminose della famiglia.
Ricostruito brevemente e senza pretesa alcuna di completezza e di competenza sociologica l’humus culturale nel quale si realizza il fenomeno di inadempimento genitoriale di cui si intende analizzare i fundamenta ed individuare possibili rimedi, ritengo utile soffermarmi su taluni aspetti riguardanti la responsabilità genitoriale che sono alla base di taluni provvedimenti de potestate[14], adottati per ostacolare il fenomeno dei c.d. minori di mafia.
Come noto, la Carta costituzionale attribuisce ai genitori una serie di doveri e poteri[15] di tipo personale e patrimoniale[16] tra cui quello di educare[17] i propri figli; a tale obbligo, declinato unitamente agli altri nel codice civile e ribadito nella normativa internazionale, si unisce quello di prendersi cura secondo le capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni degli stessi. Educazione che i genitori sono chiamati a compiere, sollecitandone una connotazione dialettica che costituisce anche il confine del potere stesso “… dovendosi tracciare i confini tra il legittimo esercizio delle prerogative degli uni e gli spazi di autonomia e di autodeterminazione degli altri[18]”. E’ attraverso tale demarcazione di confini che anche il dovere di educazione acquista una funzione di cura e promozione della persona del minore.
Vi è, inoltre, da aggiungere che l’educazione che i genitori sono chiamati a dare ai propri figli non è un’educazione totalmente libera, ma, come indicato nel preambolo della Convenzione O.N.U. sui diritti del fanciullo, gli Stati parti – e l’Italia, come noto ha ratificato la Convenzione con Legge 27 maggio 1991, n. 176- si sono impegnati ad educare i minori “nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà”.
Orbene se questi sono i valori cui i minori debbono essere educati e se l’educazione assolve alla funzione educativa di tutela essenziale dell’essere umano “a ricevere l’aiuto e la guida necessari per la sua formazione”[19], è evidente che un’educazione, improntata ai valori dell’antistatalità e della criminalità organizzata, costituisca violazione dei doveri inerenti la responsabilità genitoriale che qualora fosse idonea a comportare un pregiudizio, a seconda della sua gravità, vedrebbe nei provvedimenti 330[20] e 333[21] c.c. le necessarie azioni di tutela minorile predisposte dall’ordinamento[22].
Non vi è dubbio, infatti, che la trasmissione di valori antistatali improntati alla criminalità organizzata -invece di far acquisire “ regole comportamentali che consentono al bambino di attivare e mantenere valide relazioni interpersonali ed anche di crescere sviluppando le sue potenzialità materiali”[23]– generi una ipermaturità del minore nella quale la devianza minorile trova la sua causa nel condizionamento dovuto a modelli antisociali. Studi clinici[24] mostrano come nelle sottoculture mafiose le forme di devianza sono facilmente condizionate da modelli antisociali. “Le identificazioni con modelli devianti e oppositivi, una diversa percezione sociale delle leggi e delle regole, l’assimilazione di principi etici, <<altri>> per pressione della subcultura di appartenenza, inducono a valutare come corretti dei comportamenti che la legge definisce crimini”.
Non di rado si è tentata una tutela minorile nei procedimenti per reati di particolare efferatezza attraverso la comminazione della pena accessoria della decadenza dalla responsabilità genitoriale di cui all’art. 34 c.p. la cui ratio punitiva trova la sua giustificazione nell’esigenza di tutelare il minore da eventuali comportamenti pericolosi posti in essere dal genitore, che si è già reso colpevole di altro reato.
Si tratta, come abbiamo visto di provvedimenti di tutela minorile, azionabili solo se vi è una condanna passata in giudicato di uno dei genitori e come pena accessoria a questo, non di provvedimenti di tutela diretta del minore, azionabili immediatamente, indipendentemente dalla vicende giudiziarie familiari, ogni volta in cui sia ravvisabile un grave pregiudizio per il minore.
Oggetto di questo lavoro è l’analisi, nel contesto sopra evidenziato, di un’applicazione peculiare dei procedimenti de potestate che realizza la funzione dei procedimenti stessi, mostrandosi particolarmente idonea, efficace ed incisiva, in termini di prevenzione, nella lotta contro tale particolare forma di criminalità organizzata, senza, peraltro, dover necessariamente sacrificare il diritto del minore alla propria famiglia, ma attuando un percorso di recupero della genitorialità della stessa è idonea a realizzare la funzione primaria dell’affidamento etero familiare.
Si tratta di minori educati alla mafia, che pongono in essere i seguenti comportamenti: gravi manifestazioni di irregolarità nella condotta e nel carattere culminanti in reati, coltivando frequentazioni negative ed in orari non consoni alla loro età, attuando condotte oppositive, ovvero atti di violenza, aggressività, comportamenti a rischio, volontaria sottrazione agli impegni scolastici, pretesa di ricevere somme di denaro dai compagni di scuola e quant’altro dimostri una situazione di rischio e malessere minorile.
Innanzi a tali situazioni di rischio il Tribunale per i minorenni di Reggio di Calabria non è rimasto inerte, passivo. Va anzi sottolineato come detto Tribunale si sia orientato verso scelte opportune e pienamente consapevoli del contesto situazionale in cui le decisioni del potere giudiziario sono destinate ad operare e a tutela dei minori, abbia adottato dei provvedimenti civili/amministrativi che si sono rilevati non solo efficaci, ma adeguati alla funzione cui l’ordinamento li ha posti.
Sulla base di quanto sopra evidenziato sono, infatti, ravvisabili tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie di decadenza e/o affievolimento della responsabilità genitoriale. La condotta realizzata dal genitore, infatti, è compatibile con quelle contemplate agli articoli 330 e 333 cc., si è in presenza, nell’ambito di un rapporto di filiazione, di un pregiudizio del minore, esiste una correlazione[25] tra la condotta genitoriale ed il pregiudizio[26]. La presenza di tali elementi realizza la fattispecie essendo irrilevante, come noto, la circostanza che il pregiudizio del figlio ad opera del genitore sia avvenuto con coscienza o meno[27].
La giurisprudenza, ancora prima dei provvedimenti emessi nei procedimenti de potestate del Tribunale per i minorenni di Reggio di Calabria[28], aveva evidenziato[29] che i valori che debbono essere trasmessi dai genitori sono anche valori di senso civico e che, pertanto, il genitore che, aderendo ai canoni della criminalità, educhi il minore all’illegalità viola i doveri genitoriali e che ove tale violazione genitoriale (cioè la trasmissione di disvalori civici), generi nel minore l’adesione ai valori di criminalità, l’esercizio non corretto del dovere educazionale produce un pregiudizio minorile.
I presupposti in cui il minore si deve trovare sono i seguenti: stile di vita stigmatizzato, mancanza di segni di resipiscenza, assenza di un serio progetto di vita e/o lavorativo, esposizione del minore a grave rischio di devianza[30], presenza di una famiglia, da intendersi come famiglia allargata, di chiara appartenenza alla criminalità organizzata (generalmente con il padre o altro esponente maschile in stato detentivo per reati connessi alla criminalità organizzata o ucciso in faide o attentati legati ad essa), inidoneità della famiglia di origine a contenere (spesso si tratta di famiglie che minimizzano i comportamenti dei figli[31]), la situazione di pericolosità (legata alla trasmissione di valori di mafia) in cui il minore si trova (dato spesso confermato dalla presenza di fratelli maggiori già tratti in arresto per reati di stampo mafioso).
Atteso che innanzi a tali presupposti e situazioni di rischio minorile, gli ordinari strumenti educativi e le comuni politiche sociali di contenimento sono inidonee a tutelare il minore, dal Tribunale di Reggio Calabria sono stati emessi, in via d’urgenza e, inaudita altera parte, provvedimenti ai sensi dell’art. 333 c.c.[32] di limitazione della potestà genitoriale lesiva del diritto del minore ad essere educato e a ricevere le cure derivanti dal munus genitoriale ed al contempo ai sensi dell’art. 25 del RDL 1404 del 20.07.1934 il minore viene affidato ai servizi[33], collocandolo fuori dalla propria famiglia in una struttura idonea, adeguata alle esigenze del minore, normalmente da reperirsi fuori dalla Regione o dalla provincia per allontanarlo dall’ambiente criminoso che lo ha attanagliato, onde consentire al minore una seria alternativa culturale che consenta il recupero di una personalità in fieri, che non risulta ancora definitivamente strutturata in senso deviante.
Tali provvedimenti, diversamente da quelli costituenti pena accessoria, sono connotati dall’assenza del carattere punitivo nei confronti del genitore inadempiente[34] e sono volti, invece, a prevenire o reprimere le conseguenze dannose ai minori sottoposti alla responsabilità genitoriale. Molti provvedimenti infatti prevedono sin da subito, o successivamente ai primi riscontri positivi, incontri con i genitori; generalmente si tratta di madri che si affrancano, per salvare i figli, dalla loro naturale sottomissione alla struttura della ‘ndrina.
L’adozione di provvedimenti 330 e 333 c.c., non costituisce un allontanamento del minore in violazione al suo diritto a crescere ed essere educato nella propria famiglia, all’amore genitoriale ed alle relazioni familiari, si tratta piuttosto di un atto dovuto dell’ordinamento che, nel bilanciamento degli interessi minorili (diritto a crescere ed essere educato nella propria famiglia e diritto ad una sana crescita psicofisica esente da pregiudizi), attraverso l’allontanamento dalla famiglia di origine sottrae il minore al pregiudizio; consentendogli così di poter acquisire quei valori civici che lo renderanno, raggiunta la maggiore età, un uomo libero dalla mentalità mafiosa, un adulto con le medesime possibilità degli altri uomini adulti.
L’allontanamento del figlio di mafia costituisce solo una possibilità offerta al minore di ricevere aiuto da educatori, psicologi, servizi e famiglie che si dichiarano disponibili al conseguente ufficio di diritto civile (affidamento etero familiare) affinché il minore sia aiutato nell’acquisizione di quegli strumenti che lo aiuteranno ad uscire dalla educazione mafiosa, in luogo di genitori che si sono dimostrati inadeguati ed incapaci, per le più svariate ragioni, a svolgere tale compito essenziale per la sana crescita psicofisica del minore.
Si tratta di provvedimenti peculiari, come si è visto simili, con le diversità sopra evidenziate, ne sono stati emanati, ma l’innovazione nell’attività di tutela minorile è la sistematicità dell’orientamento giurisprudenziale, resa possibile grazie al circuito comunicativo del protocollo giudiziario del 21.3.2015, che costituisce un precedente assoluto in ambito nazionale.
Il circuito comunicativo contenuto nel protocollo si mostra caratterizzato dalla segretezza e da una trasmissione celere ed informale.
Il protocollo, infatti, per la prima volta vede l’interazione degli Uffici giudiziari –per i minorenni e per gli adulti- del distretto della Corte d’Appello di Reggio di Calabria e, in un’ottica di pragmatismo, è rivolto a concrete azioni di tutela minorile che troppo spesso sono state disattese da sterili ripartizioni di competenza tutto ciò ovviamente ferme restando le competenze stabilite dall’ordinamento.
Il protocollo concorda modalità operative per la realizzazione di azioni di tutela relative a particolari categorie di minori in difficoltà, tra questi i figli di soggetti indagati/imputati/condannati per i reati di cui all’art. 51 co ter bis c. p.p. e altro. Si tratta di operazioni di coordinamento tra Uffici giudiziari che agiscono in via preventiva nella tutela minorile e che riconoscendo il coinvolgimento delinquenziale minorile di alcune famiglie legate alla criminalità organizzata presenti sul territorio, le assenze educative nei confronti di detti minori e la trasmissione di modelli culturali deteriori prevede un raccordo tra la Procura della Repubblica DDA, gli Uffici inquirenti del Distretto, gli Uffici giudiziari minorili così che si avviino procedimenti civili paralleli a quelli penali. In tal modo, come meglio sopra evidenziato nella descrizione dei provvedimenti de potestate nei casi di pregiudizio minorile dovranno essere adottati provvedimenti 330 o 333 cc. con affidamento presso i servizi.
Il protocollo prevede che il Tribunale per i minorenni, proprio perché trattasi di provvedimenti non punitivi del genitore e resi rebus sic stantibus, diversamente dalle pene accessorie, e di provvedimenti che tendono a realizzare –cessata la patologia lesiva del fanciullo- il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia, attueranno duplici percorsi: da un lato quelli formativi/culturali funzionali al recupero del minore ed ad una sua regolare crescita psicofisica, dall’altro quelli di recupero sociale delle competenze educative e di educazione alla legalità della famiglia, la mancata inottemperanza a tali ultime prescrizioni potrà comportare più drastici interventi sulla responsabilità genitoriale e segnalazione alla Procura della Repubblica per la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 388, 570, 572 e 650 c.p.
E’ doveroso ricordare tra i tentativi di individuare una concreta tutela dei cc.dd. figli di mafia una proposta di legge -numero 1736, presentata il 28 ottobre 2013 alla XVII legislatura- con la quale si propone l’introduzione nel codice penale dell’articolo 416-quater con cui si prevede la pena accessoria, a seguito di condanna per associazione di tipo mafioso di cui all’articolo 416-bis (o per taluni delitti commessi avvalendosi delle condizioni ivi previste), della decadenza della responsabilità genitoriale. La proposta, senza entrare nel merito politico che non compete minimamente alla scrivente, considerata sotto il profilo tecnico, appare di difficile compatibilità con alcuni principi del nostro ordinamento. Essa, infatti, sembrerebbe prescindere dalla valutazione che la responsabilità genitoriale sia un munus per la realizzazione dell’interesse di un terzo, munus di cui il titolare può essere privato solo se il suo esercizio è contrario all’interesse del terzo da realizzare. La responsabilità genitoriale, dunque, è strumentale e realizza –come noto- l’interesse non del titolare, ma del minore. Orbene, privare il minore che beneficia (e non perché ne trae pregiudizio) del munus per punire il titolare del munus non solo non rispetta, come vedremo, la Costituzione, ma è inutilmente afflittivo nei confronti del minore e inconciliabile con il concetto di responsabilità genitoriale (soprattutto ora che in una visione puerocentrica si è trasformata da potestà in responsabilità). Le pene accessorie non sono prese rebus sic stantibus, ma divengono res giudicata ed hanno carattere punitivo. Se possiamo –con una enorme forzatura, atteso che funzione della disciplina è il recupero della famiglia di origine onde realizzare attraverso il rientro in famiglia il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia- ammettere il carattere punitivo, non è possibile ammettere nell’interesse del minore che il mutare dei presupposti sulla base dei quali la pena accessoria è stata concessa possa consentire al minore di rivivere il rapporto con il proprio genitore e garantirgli il suo diritto, ad esempio, alla genitorialità, a crescere ed essere educato dalla propria famiglia (seppur con le limitazioni di un genitore sottoposto a pena detentiva). Un ultimo dubbio sulla compatibilità della proposta con la carta costituzionale, poiché la proposta, così come formulata, prescinde dall’esistenza di un pregiudizio per il minore, il discrimen per la titolarità della responsabilità genitoriale e quindi il diritto a realizzare la propria persona, anche, in una formazione sociale sarebbe il compimento di una determinata tipologia di reato. In fine, la norma non produrrebbe quasi effetto alcuno, pragmaticamente: per essere applicata deve essere res iudicata ed i minori in questione sarebbero già divenuti maggiorenni.
E’ evidente che un’applicazione di tal genere dei provvedimenti de potestate, intrinsecamente legati al provvedimento amministrativo di cui sono parte integrante, sarà idonea a produrre l’effetto cui sono preposti solo se all’atto giudiziario seguiranno le necessarie azioni amministrative. Affinché i provvedimenti de potestate possano spiegare effetti di prevenzione e occasione di chance per il minore di ‘ndrangheta è il compimento di un’azione capillare sul territorio ad opera di tutti i soggetti deputati alla tutela minorile. In tal senso si mostrano meritevoli di particolare rilievo alcune segnalazioni del Garante dell’Infanzia ed Adolescenza Regione Calabria[35] di supporto, collegamento tra amministrazioni e garanzia del rispetto dei diritti minorili sul territorio di competenza contro taluni atti di inerzia dell’amministrazione[36].
Particolarmente efficacie si è mostrata la sinergia tra la magistratura minorile di Reggio di Calabria e le istituzioni presenti sul territorio. In seguito alla comunicazione, alle Istituzioni preposte alla tutela minorile, di procedimento volto a “sottrarre un minore ad un destino altrimenti ineluttabile e, nel contempo, per consentire al medesimo contesti di vita alternativi a quello non tutelante di provenienza”[37] l’Authority per l’infanzia ed adolescenza della Regione Calabria ha provveduto alla Convocazione tavolo di lavoro per interventi urgenti in favore dei minori del territorio di San Luca[38] che, grazie al pronto riscontro della rete di protezione minorile[39], primi tra tutti quelli scolastici, ha consentito non solo di registrare ed individuare i minori che necessitavano di un intervento socio-assistenziale sul territorio, ma la realizzazione del progetto L’inserimento del minore in affido e in adozione: potenzialità, nodi critici, criteri d’intervento[40].
A chiosa di queste brevi considerazioni sul piano teorico e relative al dato norma e al dato scienza, ricordando l’insegnamento del Maestro Riccardo Orestano vorrei evidenziare, nel dato realtà, un elemento positivo che induce a ritenere fruttuosa la strada di tutela intrapresa. Il Presidente Di Bella riferiva – in un recente incontro sul tema tenutosi al Senato ed organizzato dal Garante per l’infanzia e adolescenza della Regione Calabria- che alcune madri di ‘ndrangheta, successivamente all’adozione di detti provvedimenti civili-amministrativi, si sono presentate spontaneamente, certamente in modo celato, chiedendo aiuto per i propri figli, affinché attraverso l’allontanamento siano sottratti ad un destino altrimenti ineluttabile.
[1] Secondo taluni autori nella ‘Ndrangheta vi sarebbe una prevalente matrice popolare che non è riscontrabile nella mafia, caratterizzata, invece, dal rappresentare il ceto borghese. Sul punto Amplius Hobsbawn, E.J. I ribelli, Forme primitive di rivolta sociale, Torino 1980, pag. 67.
[2] Bolognini S., Pluralismo giuridico e ordinamenti contra legem, Roma, 2012, pag. 3 e ss.
[3] Ciconte, E., Storia della ‘ndrangheta dall’unità ad oggi, Bari, 1992, pag. 10.
[4] Gratteri, N., Nicaso, A., Il grande inganno, Cosenza, 2012.
[5] Gratteri, N., Nicaso, A., Fratelli di sangue, Milano, 2006.
[6] Risultano presenti in diversi riti e cerimonie le rappresentazioni o le rievocazioni di tre cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso che -vissuti tra il 1300 ed il 1400- rappresentano il Cristo, S. Michele Arcangelo e S. Pietro. La ritualistica esoterica mafiosa vuole che i tre lavorarono nascosti per ventinove anni con il fine di preparare le regole della nuova società che erano determinati a costruire e che, ultimato il lavoro, divisero in Mafia nella Sicilia, Camorra nel napoletano e ‘ndrangheta nella Calabria, ivi si circondarono dei deboli e degli oppressi creando un codice verbale fondato sull’umiltà e l’omertà. Amplius Bolognini, S., Pluralismo cit., pag. 19.
[7] Rilevano, comunque, le opposte tesi storiche per le quali la costituzione della ‘ndrangheta (sia) sarebbe stata del tutto avulsa dalla costituzione delle altre mafie e che con esse non abbia rapporto alcuno e che piuttosto sia, almeno nella sua fase iniziale, una sorta di “associazione” di mutuo soccorso per la difesa dai soprusi del potere statale e feudale, rintracciandone le origini nel brigantaggio. Amplius Stajano, C., Africo, Torino 1979, pag. 119.
[8] Così riporta Francesco Fonti, affiliato alla cosca di Siderno in Gratteri N., Nicaso A., Fratelli di sangue cit., pag. 87.
[9] Ciconte E. ‘Ndrangheta dall’Unità a oggi, Bari, 1992, pag. 77.
[10] D’Amato M., La mafia allo specchio, Milano, 2013, pag. 36.
[11] Amplius Siebert R., Le donne, la mafia, Milano, 1994.
[12] Gratteri N., Nicaso A., Il grande inganno cit., pag. 58.
[13] Gratteri N., Nicaso A., Il grande inganno cit., pag. 55.
[14] Per tutti si rinvia a Auletta T., Famiglia e matrimonio, Torino, 2010, 503
[15] Sul concetto di”responsabilità genitoriale” si rinvia ai molteplici contributi inseriti nel capitolo Nuovo titolo IX del libro I, rubricato “della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio” in Bianca M. C. (a cura di), Filiazione Commento al decreto attuativo, pag. 88 e ss.
[16] Cfr. Bianca M.C., Diritto civile, 2.1 La famiglia, Milano, 2014, pag. 343.
[17] L’obbligo di educare la prole, di difficile definizione anche perché strettamente connesso all’evoluzione della società, attiene alla formazione dell’individuo sotto il profilo sociale con la funzione di consentirne il corretto inserimento nella società adulta. Esso si concretizza, dunque, nell’obbligo di far apprendere al minore, le regole di vita che governeranno la sua persona nella società cui appartiene e si differenzia dall’obbligo istruttivo, che attiene ad uno sviluppo psicofisico, “perché si riferisce principalmente alla sua relazionabilità con gli altri”. Amplius Anceschi A., Rapporti tra genitori e figli, Milano, 2014, pag. 168; cfr anche Sesta M. , Diritto di famiglia, Padova, 2005, pag. 458 e ss.
[18] G. Ballarani, Diritti dei figli e della famiglia. cit., pag. 473.
[19] Cfr. Bianca C. M. Diritto civile cit., pag. 331.
[20] Pelosi A.C., Potestà dei genitori sui figli, in Novissimo Dig.It., App. V, coll. 1124-1131. Finocchiaro A., Finocchiaro M., Commento sistematico alla L. 19 maggio 1975 n. 151, Milano 1984; M. Sesta, Diritto di famiglia cit. , pag., 476 e ss..
[21] Giardina F., Minore, Diritto civile, in EGT, 1990, pag.13, Pelosi A.C. Della potestà dei genitori, IV, in A.A. V.V., Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992, pag. 409; M. Sesta, Diritto di famiglia cit., pag., 478 e ss.;
[22] Al riguardo è stato evidenziato come la formulazione delle menzionate disposizioni del codice civile induca numerosi elementi di perplessità, stante l’uso di termini letterali generici “astrattamente riferibili a condotte genitoriali eterogenee” da un lato l’elencazione tassativa, ma con termini generici delle fattispecie di cui all’articolo 330 cc., dall’altro la formulazione aperta dell’art. 333 cc. e la mancanza di chiare indicazioni circa i tipi di condotte pregiudizievoli. Amplius Cerato M., La potestà dei genitori. I modi di esercizio, la decadenza, l’affievolimento, Milano, 2000, pag. 147 e ss..
[23] Campanato G., La tutela giuridica del minore, Padova, 2005, pag. 301.
[24] Grimoldi M., Le caratteristiche psicologiche come causa efficiente della devianza minorile, in-o, 4, 2011, pag. 150 e ss.
[25] Al riguardo è stato osservato che ogni qualvolta il comportamento genitoriale non integri, come nel caso di specie, reato, il giudice minorile è chiamato a verificare se esiste un collegamento causale tra il comportamento dell’adulto ed il disagio minorile e che al riguardo sarebbe più opportuno “pensare ad un nesso, non tanto di causalità quanto di relazione, tra la condotta genitoriale e la situazione psicologica del minore”. Amplius Cerato M., La potestà dei genitori cit. pag. 166.
[26] Il pregiudizio subito dal minore –che, come noto, può coinvolgere elementi materiali o spirituali- realizza quella distonia dell’evoluzione psicofisica del minore. Caratteristica della distonia è la gravità. Ulteriore elemento di particolare importanza, nella tipologia di pregiudizio che il minore di ‘ndrangheta viene a subire, concerne una interpretazione particolarmente ampia offerta dalla dottrina al concetto di pregiudizio. Non vi è dubbio che il pregiudizio attuale sia un pregiudizio tutelabile attraverso i provvedimenti de potestate, ma già una dottrina risalente riteneva che potesse afferire a tale qualificazione di pregiudizio anche il pregiudizio prevedibile in tal senso cfr. Pelosi A.C., Della potestà dei genitori cit. pag. 404 e ss., altra parte della dottrina, accentua la valenza futura del pregiudizio considerando tale procrastinarsi nel tempo uno degli elementi costitutivi della fattispecie. Amplius Finocchiaro A., Finocchiaro M., Diritto di Famiglia cit. pag. 2183. Nel minore di ‘ndrangheta accanto al pregiudizio attuale, insito nella condotta criminosa e, dunque, nel rischio della commissione di reati, di rimanere coinvolto in faide che inficerebbero primari diritti come quello alla salute e alla vita, permane il pregiudizio prevedibile che il minore non si affranchi mai dal modello criminale e non possa accedere ad una normale vita di relazione libera di partecipare ad una società civile. E’ questo il senso della proposta “LIBERI DI SCEGLIERE” relativa alla realizzazione di un protocollo istituzionale d’intesa, promosso dal Tribunale per di minorenni di Reggio Calabria,dal Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della regione Calabria,dall’associazione “Libera” di Don Ciotti (contattata direttamente dal T.M di Reggio Calabria e capo fila di una rete di associazioni) e altri soggetti istituzionali. http://www.garanteinfanziacalabria.it/archivio/608-minori-calabresi-di-ambienti-familiari-appartenenti-alla-criminalita-organizzata-loro-diritto-alleducazione-per-acquisire-quei-valori-civici-che-li-renderanno-liberi-dalla-mentalita-mafiosa-proposta-di-progetto-liberi-di-scegliere
[27] Corte Appello Perugia, 27.02.1997, in Rass. Giur. umbra, 1997, pag. 382.
[28] Tribunale per i Minorenni di Reggio di Calabria decreti del19.07.12; 14.12.2012; del 12.02.2013;del 16.07.13; del 19.06.14;
[29] Trib. min. Bari decreto 17 gennaio 2007.
[30] Sotto la denominazione devianza minorile si fanno ricomprendere comportamenti costituenti reati, ma anche comportamenti non penalmente rilevanti di tipo irregolare auto ed etero aggressivi caratterizzati da comportamenti antisociali sintomatici di una disfunzione della sana ed ordinaria crescita minorile. Amplius Bertolini P. Caronia L. , Ragazzi difficili, Firenze, 1993, pag. 101 e ss.
[31] Al riguardo un atteggiamento del genitore che minimizza il comportamento costituente reato del figlio è sintomatico di una sua inidoneità ai doveri genitoriali ed una sua violazione ai diritti del minore. Ciò è desumibile anche da una lettura d’insieme della disciplina di tutela minorile che si manifesta anche attraverso la normativa inerente al processo penale minorile. Significativa la disposizione contenuta all’art. 12 del D..R. 448/88 la quale garantisce l’assistenza affettiva e psicologica ad opera dei genitori –o altra persona indicata- all’imputato minorenne. Il compito assegnato ai soggetti sopra indicati è quello di fornire il sostegno affettivo e psicologico al minore. I genitori del minore, sono dunque chiamati a collaborare nel procedimento, nell’interesse del figlio, a sostenerlo nell’impegno dei percorsi di maturazione che naturalmente dovrebbero seguire il procedimento o nelle misure come la messa alla prova. E’ evidente che tale ruolo è del tutto incompatibile con atteggiamenti di minimizzazione degli eventi riscontrati nei procedimenti in esame.
[32] La prevalente individuazione di una tutela minorile attraverso il ricorso all’articolo 333 cc. piuttosto che attraverso il 330 cc. rende manifesto, in una visione puerocentrica del diritto di famiglia, che l’articolo 333 cc. debba essere considerato non più quasi come una disposizione accessoria, gradata, secondaria rispetto al 330 cc., ma come quella che meglio realizza il best interest minorile riuscendo a conciliare nel bilanciamento degli interessi coinvolti l’esigenza di tutela e del diritto ad una sana crescita psicofisica con il diritto ai propri affetti ed il diritto a crescere ed essere educato in seno alla propria famiglia.
[33] L’articolo disciplina le misure applicabili ai minori irregolari per condotta o per carattere. Premesso che tale locuzione -sostitutiva del termine “traviamento”, utilizzato nella precedente normativa- indica qualsiasi atto antisociale, diasadattamento del minore, comportamento autodistruttivo e di disordine, per il quale si renda necessaria l’adozione di un provvedimento amministrativo di tutela minorile. L’applicabilità del provvedimento è particolarmente duttile ed opera anche nei confronti di minori infraquattordicenni pur in assenza di commissione di reato. Amplius Cerato M. La potestà cit. pag. 272.
[34] Da sottolineare che la decadenza o limitazione della potestà genitoriale si pone non come misura sanzionatoria del comportamento del genitore, ma come mezzo di tutela del minore onde evitare a lui un pregiudizio che possa ledere lo sviluppo della sua personalità. Amplius Trib. Min. Catania, decreto del 02.04.2007 e in dottrina Finocchiaro A., Finocchiaro M., Diritto di Famiglia Cit. pag. 2180, Villa G. ptestà dei genitori e rapporti con i figli, in il diritto di famiglia, trattato diretto da Bonilini G e Cattaneo G., vol III, Torino, 1997, pag. 280.
[35] Sulle Autorità amministrative indipendenti di tutela minorile si rinvia a Strumendo L., Il garante dell’infanzia e dell’adolescenza: un sistema di garanzia nazionale nella prospettiva europea, Milano, 2007; Strumendo L., De Stefani P., Il Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, in Zatti P. (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, Vol. VI, pag. 257; Reif L.C., The Ombudsman, Good Governance and the International Human Rights System, Leiden, 2013.
[36] Autorità Garante infanzia e Adolescenza Regione Calabria Segnalazioni 636/14.
[37] Tribunale per i minorenni di Reggio di Calabria provvedimento del 14.12.2012 emesso nell’ambito del procedimento 7/12 RGTM.
[38] Autorità Garante infanzia e l’adolescenza della Regione Calabria Prot. 31-16.1.13.
[39] Vercellone P., La rete di protezione dei minori in difficoltà, in Zatti P. (a cura di), Vol. VI, pag. 3
[40]Progetto finanziato dal MIUR e realizzato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze.