CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 20 maggio 2014, n.11090 – Pres. Chiarini – est. Frasca

Motivi della decisione

p.1. Con il primo motivo di ricorso si fa valere ‘violazione degli artt. 474, 479, 480, 491 e 500 c.p.c’.

Vi si censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dopo avere rilevato la fondatezza dell’opposizione proposta dai ricorrenti avverso l’esecuzione forzata iscritta al n. 28 del 2003 in relazione al credito fatto valere con il pignoramento introduttivo di detta procedura da pare della Mantovabanca 1896, sul riflesso che il titolo esecutivo sulla base del quale il pignoramento era stato eseguito era venuto meno, per effetto dell’accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo n. 1179 del 2002, ha rilevato che la detta procedura esecutiva doveva ritenersi “validamente proseguita dai creditori intervenuti munti di titolo esecutivo, intervenuti precedentemente al venir meno del titolo del procedente, tra i quali la stessa Mantovabanca 1896 soc. coop. a r.l. (v. atti di intervento del 10.6.2003, del 27.6.2003 e del 19.10.2003), MPS Gestione crediti Banca S.p.a. e Banca di credito Cooperativo di Castelgoffredo soc. coop. a r.l., dovendo ribadirsi quanto già rilevato con nell’ordinanza del 16.9.2006 per cui vale anche per le procedure esecutive il principio secondo cui l’intervenuto deve accettare lo stato in cui si trova il procedimento, così da poter compiere solo gli atti di esecuzione consentiti al creditore procedente, ma non anche quelli preclusi a quest’ultimo a far tempo da una data antecedente l’intervento per venir meno dell’efficacia esecutiva del titolo”. Ed ha, quindi, soggiunto che “Nel processo esecutivo con più creditori muniti di titolo nessuna delle vicende relative al titolo invocato da uno dei creditori (sospensione, sopravvenuta inefficacia, ecc.) può ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del o dei creditori il cui titolo abbia pacificamente conservato forza esecutiva (art. 500 c.p.c.), creditori intervenuti precedentemente alla caducazione del titolo azionato dal procedente l’esecuzione”.

p.1.1. Secondo i ricorrenti un tale assunto non sarebbe condivisibile in quanto la dichiarata nullità del decreto ingiuntivo sulla base del quale era stato eseguito dalla Mantovabanca 1896 il pignoramento che aveva introdotto la procedura esecutiva n. 28 del 2003 avrebbe “determinato la caducazione ex tunc di tutti gli atti esecutivi compiuti in forza del decreto ingiuntivo nullo e relativo a credito inesistente, e, quindi, la caducazione del pignoramento e della sua trascrizione effettuata da Mantovabanca, nonché degli ulteriori atti esecutivi posto in essere dalla stessa”, con la conseguenza che, essendo gli interventi degli altri creditori avvenuti dopo il detto pignoramento “i creditori intervenuti non potevano né avvalersi di un pignoramento nullo, effettuato contra legem, in assenza di titolo e per credito dichiarato inesistente, né proseguire, l’esecuzione illegittimamente intrapresa da Mantovabanca”, non avendo il detto intervento “alcuna efficacia sanante della nullità e della illegittimità del pignoramento” originario.

Sulla base di tali deduzioni si sostiene, formulando quesito di diritto, che il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare “la nullità e la illegittimità della stessa esecuzione n. 28/03” dichiarando insussistente con riferimento a essa il diritto di procedere esecutivamente per i crediti degli intervenuti.

p.1.2. Il motivo concerne esclusivamente la decisione presa dal Tribunale riguardo alla procedura esecutiva n. 28 del 2003 e soltanto con riguardo alla statuizione con la quale il Tribunale ha dichiarato che quella procedura poteva proseguire riguardo alle pretese dei creditori intervenuti nonostante la declaratoria della insussistenza – per effetto dell’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo n. 1179 del 2002 – del diritto di procedere esecutivamente della Mantovabanca sulla base del titolo esecutivo, appunto il detto decreto ingiuntivo, in forza del quale era stato da essa eseguito il pignoramento che aveva dato inizio a detta procedura.

p.1.3. Il motivo prospetta una quaestio iuris relativa alla violazione da parte del Tribunale di norme di diritto regolatrici del processo esecutivo e come tale è riconducibile al n. 3 del’art. 360 c.p.c, onde non è dato comprendere come le resistenti Mantovabanca 1896 s.c.a.r.l., Banca di Credito Cooperativo di Castel Goffredo s.c.a.r.l. nei loro controricorsi abbiano potuto sostenere che vi sarebbe dedotto vizio di motivazione, per sostenerne l’inammissibilità con il ricorso straordinario. Inammissibilità che, peraltro, non sarebbe sussistita sulla base dell’ultimo comma dell’art. 360 c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, applicabile al presente ricorso per cassazione, giusta l’art. 27, comma 2, dello stesso d.lgs..

p.1.4. Il motivo è infondato.

Lo è sulla base dell’arresto cui recentemente sono pervenute le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 61 del 2014, la quale, dopo avere, componendo un contrasto di giurisprudenza inaugurato isolatamente da Cass. n. 3531 del 2009, ha così statuito: “Nel processo di esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall’inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la continuativa sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure dell’interventore) che giustifichi la perdurante efficacia dell’originario pignoramento”. Ed ha, quindi, precisato tale principio affermando quanto segue: “Ne consegue che, qualora, dopo l’intervento di un creditore munito di titolo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l’illegittimità dell’azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato, bensì resta quale primo atto dell’iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che anteriormente ne era partecipe accanto al creditore pignorante. Nel processo di esecuzione forzata, al quale partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva. Tuttavia, occorre distinguere: a) se l’azione esecutiva si sia arrestata prima o dopo l’intervento, poiché nel primo caso, non esistendo un valido pignoramento al quale gli interventi possano ricollegarsi, il processo esecutivo è improseguibile; b) se il difetto del titolo posto a fondamento dell’azione esecutiva del creditore procedente sia originario o sopravvenuto, posto che solo il primo impedisce che l’azione esecutiva prosegua anche da parte degli interventori titolati, mentre il secondo consente l’estensione in loro favore di tutti gli atti compiuti finché il titolo del creditore procedente ha conservato validità”.

Nel caso di specie, fermo che la prospettazione di cui al motivo concerne la posizione dei creditori titolati intervenuti nel processo esecutivo n. 28 del 2003, si rileva che la caducazione del titolo esecutivo sulla base del quale la Mantovabanca 1896 aveva eseguito il pignoramento che diede luogo ad esso non solo non è avvenuta in base ad una fattispecie di inesistenza originaria del titolo, essendosi trattato di caducazione a seguito delle vicende del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ma nemmeno si è verificata prima dei detti interventi, essendo la sentenza del Tribunale di Mantova che ha dichiarato caducato il decreto ingiuntivo sopravenuta ben dopo i detti interventi.

p.1.5. I ricorrenti invocano nella loro memoria a loro favore proprio l’arresto delle Sezioni Unite, ma lo leggono male, perché postulano, del tutto erroneamente, che la caducazione del detto decreto ingiuntivo sia da ricondurre alla fattispecie che le Sezioni Unite hanno considerato determinativa della caducazione anche degli interventi titolati, cioè quella dell’inesistenza originaria del titolo.

Nella loro motivazione, infatti, le Sezioni Unite si sono così espresse (nel paragrafo Vili, intitolato ‘conseguenze applicatile’) nell’individuare i limiti entro i quali deve trovare applicazione il primo principio da Esse affermato e sopra riportato:

“L’affermazione del principio secondo cui la caducazione del titolo posto a base dell’azione esecutiva del creditore procedente non travolge la posizione degli interventori titolati, a prescindere dalla circostanza che dopo il relativo pignoramento ve ne sia stato altro successivo. Tuttavia, siffatto principio è soggetto a precisazioni che qui di seguito devono essere svolte, con l’avvertenza che questo intervento delle SU si limita all’enunciazione di canoni di sistema, riferiti ai titoli esecutivi di formazione giudiziale, come richiesto dal caso portato all’attenzione dall’ordinanza di rimessione.

1) Innanzitutto va chiarito (come fa il precedente del 1978 [n.d.r.: si allude a Cass. n. 427 del 1978]) che quel principio di fondo non trova applicazione nel caso in cui uno o più creditori, muniti di titolo esecutivo, intervengano nel processo esecutivo dopo che sia stata pronunciata la caducazione del titolo esecutivo del creditore procedente e, quindi, sia sopravvenuta l’illegittimità dell’azione esecutiva da lui esercitata. In questa ipotesi, il pignoramento, relativo a processo nel quale non sia ancora intervenuto alcun creditore munito di titolo esecutivo, diviene invalido e rende illegittima l’azione esecutiva fino a quel momento esercitata. Sicché, non esistendo un valido pignoramento al quale ricollegarsi, il processo esecutivo è ormai improseguibile e non consente interventi successivi.

2) Il principio è da intendersi riferito all’ipotesi di sopravvenuta invalidità del titolo esecutivo derivata dalla c.d. caducazione, dalla quale occorre distinguere le diverse ipotesi di invalidità originaria del pignoramento, sia per difetto ab origine di titolo esecutivo, sia per vizi intrinseci all’atto o per mancanza dei presupposti processuali dell’azione esecutiva.

Quanto a questi ultimi, indiscutibile è l’invalidità di tutti gli atti esecutivi posti in essere a seguito di pignoramento invalido per vizi dell’atto in sé o per vizi degli atti prodromici (ove non sanati o non sanabili per mancata tempestiva opposizione), oppure per impignorabilità dei beni od, ancora, per lesione dei diritti dei terzi fatti valere ex art. 619 c.p.c., ecc., sicché venendo meno l’atto iniziale del processo esecutivo viene travolto quest’ultimo, con gli interventi, titolati e non titolati, in esso spiegati.

Quanto, invece, al difetto originario del titolo esecutivo, si tratta di situazione che, per un verso, si presta a specificazioni che danno luogo ad una vasta casistica (la quale non può certo essere esaminata in questa sede), ma che, per altro verso, merita le precisazioni che seguono.

Fermando l’attenzione sulle ipotesi più frequenti, essa comporta l’inapplicabilità del principio sopra espresso nel caso in cui il titolo esecutivo giudiziale sia inficiato da un vizio genetico che lo renda inesistente (o nel titolo giudiziale sia un vizio genetico che renda inesistente) o nel caso in cui l’atto posto a fondamento dell’azione esecutiva non sia riconducibile ab origine al novero dei titoli esecutivi di cui all’art. 474 cod. proc. civ., anche quanto ai caratteri del credito imposti dal primo comma, quali risultanti dal titolo stesso.

Non è assimilabile alla situazione di mancanza ab origine di titolo esecutivo la situazione che viene a determinarsi quando il titolo esecutivo di formazione giudiziale, che sia astrattamente riconducibile alla previsione del n. 1 del comma secondo dell’art. 474 cod. proc. civ., ‘venga meno’ in ragione delle vicende del processo nel quale si è formato, cioè sia caducato per fatto sopravvenuto.

Si intende dire che, in tale ultima eventualità, ai fini dell’applicazione del principio di ‘conservazione’ del processo esecutivo in cui siano presenti creditori titolati, non rileva – né occorre verificare, in sede esecutiva e/o oppositiva – se il titolo esecutivo di formazione giudiziale sia venuto meno con efficacia ex tunc ovvero ex nunc, in ragione degli effetti del rimedio esperito nella sede cognitiva.

Così, esemplificando, ad infausta sorte sono destinati gli interventi titolati nel caso in cui il creditore procedente abbia azionato un provvedimento non idoneo, nemmeno in astratto, a fondare l’azione esecutiva (quali, ad esempio, la sentenza inesistente o di condanna generica o il decreto ingiuntivo privo di efficacia esecutiva), non anche quando il provvedimento, costituente titolo esecutivo al momento di esercizio dell’azione esecutiva, sia venuto meno per le vicende del processo nel quale si è venuto a formare. In particolare, quanto a tale ultima eventualità, è indifferente se, in caso di sentenza, si sia trattato di impugnazione ordinaria o straordinaria, ovvero, in caso di decreto ingiuntivo, si sia trattato di revoca per difetto dei presupposti ex art. 633 c.p.c., ovvero per accoglimento nel merito dell’opposizione, o, in caso di ordinanza di condanna provvisoriamente esecutiva, si sia trattato di revoca o di modifica per ragioni di rito o di merito, etc. In tutte queste ipotesi, il processo esecutivo iniziato in forza di titolo esecutivo, all’epoca valido, non é travolto in presenza di creditori intervenuti con titolo esecutivo tuttora valido.

In conclusione, rileva che l’esecuzione forzata risulti formalmente legittima, anche se, per ipotesi, sia sostanzialmente ingiusta, essendo perciò sufficiente – affinché il creditore intervenuto con titolo non subisca gli effetti del venir meno dell’azione esecutiva del creditore procedente – che esista un titolo esecutivo in favore di quest’ultimo, non anche che sia esistente il diritto di credito in esso rappresentato”.

p.1.6. È palese che la vicenda di cui è processo è da ricondurre all’ipotesi in cui il titolo esecutivo che diede origine al pignoramento introduttivo dell’esecuzione n. 28 del 2003 esisteva al momento della sua introduzione ed è venuto meno solo successivamente: bast^ leggere l’esemplificazione chiarificatrice fatta dalle Sezioni Unite. Non è riconducibile né al caso in cui l’intervento pur titolato abbia luogo quando già il titolo esecutivo che aveva dato inizio all’esecuzione sia venuto meno, esemplificato dalle Sezioni Unite nella nota 6 evocando la fattispecie della sentenza n. 427 del 1978, né all’ipotesi di inesistenza o mancanza di titolo esecutivo al momento dell’inizio dell’esecuzione.

p.1.7. Va ancora considerato che del tutto priva di fondamento era l’invocazione fatta nel suo controricorso dalla Mantovabanca 1896 di una sospensione del presente giudizio di cassazione in attesa della definizione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo n. 1179 del 2002. Invocazione sostenuta per la pretesa pregiudizialità del detto giudizio rispetto all’opposizione all’esecuzione e per la pendenza di un appello dinanzi alla Corte d’Appello di Brescia riguardo alla sentenza di accoglimento integrale dell’opposizione al decreto.

In disparte l’assorbenza del principio di diritto secondo cui “L’istanza di sospensione del giudizio, in attesa della definizione di altra controversia, è inammissibile se proposta per la prima volta in Cassazione, in quanto il provvedimento richiesto esula dalla funzione istituzionale della Corte Suprema, cui è demandato soltanto il sindacato di legittimità delle anteriori decisioni dei giudici di merito”. (Cass. n. 8193 del 2001, seguita da numerose conformi) ed in disparte il rilievo che semmai verrebbe in considerazione la norma del secondo comma dell’art. 337 c.p.c., data la pendenza del preteso giudizio pregiudicante in appello, si dovrebbe rilevare comunque che non vi è pregiudizialità rispetto al giudizio di opposizione all’esecuzione iniziata sulla base di titolo esecutivo giudiziale ancora controverso, del giudizio nel quale il titolo è sub iudice, atteso che in generale le successive vicende di tale giudizio che incidono sul titolo, se si risolvono in una statuizione pur non definitiva che caduca in tutto o in parte il titolo debbono essere immediatamente ‘registrate’ dal giudice dell’esecuzione, che ne deve trarre le dovute conseguenze sull’esecuzione e, quindi, sulla fondatezza dell’opposizione contro di essa, dato che l’efficacia della statuizione adottata nel giudizio sul titolo deve aver corso.

p.2. Con il secondo motivo si denuncia ‘violazione dell’art. 615 c.p.c.’.

Il motivo riguarda innanzitutto la motivazione della sentenza impugnata, là dove ha preso in esame la contestazione rivolta dai ricorrenti avverso il diritto di procedere all’esecuzione della Mantovabanca 1896 con riferimento al credito fondato sul decreto ingiuntivo n. 11898 del 2002 oggetto dell’intervento del 1 luglio 2003 e, in relazione alla prospettazione dei ricorrenti che, con sentenza n. 444 del 2007, il Tribunale di Manto va l’aveva revocato ed aveva ridotto il credito dall’equivalente di CHF 305.773,73 alla ‘differenza da calcolarsi alla data del 28 ottobre 2002, fra la somma di 309.293,90 Franchi Svizzeri e l’importo di Euro 24.283,17’, ha tuttavia respinto l’opposizione affermando che il credito era “stato confermato, quand’anche ridimensionato nel quantum…. e dunque l’opposizione proposta deve valutarsi infondata non risultando dedotte vicende estintive del medesimo credito successive alla formazione del titolo”.

Il motivo, concerne, altresì, la motivazione di identico tenore con cui il Tribunale, in relazione al credito della Banca di credito Cooperativo di Castelgoffredo portato dal decreto ingiuntivo n. 1193 del 2002 ed oggetto dell’intervento della stessa, pur dando atto che il credito era stato ridimensionato nel quantum dalla sentenza n. 106 del 2006 del Tribunale di Mantova, aveva respinto l’opposizione, anche qui osservando che il credito era “stato confermato, quand’anche ridimensionato nel quantum…. e dunque l’opposizione proposta deve valutarsi infondata non risultando dedotte vicende estintive del medesimo credito successive alla formazione del titolo”, là dove, invece, per come i ricorrenti avevano dedotto, quella sentenza aveva ridotto il dovuto da Euro 1.164.208,67 ad Euro 396.964,38 importo che, quindi, era stato “estinto con il pagamento effettuato a tale creditore nella esecuzione riunita n. 70 /03”.

La critica alla sentenza impugnata è svolta assumendosi che il Tribunale avrebbe dovuto accogliere invece le opposizioni proposte contro gli interventi, qualificate come opposizioni all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., e, dichiarare insussistente il diritto delle due interventrici a procedere all’esecuzione per quanto riconosciuto dalle due sentenze non dovuto, “salvo verificare, con l’esame del fascicolo delle esecuzioni riunite, l’intervenuta estinzione del credito della Banca di Credito Cooperativo nell’ambito dell’esecuzione riunita n. 70/03”.

La sentenza impugnata, invece, dichiarando infondata l’opposizione, avrebbe riconosciuto il diritto dei detti creditori di procedere anche per le somme non dovute in base alle sentenze emesse nei giudizi di opposizione all’esecuzione.

p.2.1. Il motivo appare fondato riguardo alla deduzione che il Tribunale, di fronte alla constatazione che il credito dei due creditori intervenuti era stato, come dice la sua stessa motivazione, ‘ridimensionato’, in ragione dell’accoglimento parziale delle opposizioni ai due decreti ingiuntivi fatti valere come titolo per gli interventi, avrebbe dovuto, anziché rigettare l’opposizione con l’incomprensibile e non pertinente rilievo che non risultavano dedotte vicende estintive del medesimo credito successive alla formazione del titolo, accoglierla parzialmente e dichiarare inesistente il diritto di procedere all’esecuzione delle due creditrici intervenute per la somma riconosciuta non dovuta, dichiarandolo invece esistente solo per le somme per cui le due sentenze avevano riconosciuto esistente i crediti di cui ai due decreti.

La sentenza impugnata dev’essere, dunque cassata in accoglimento del motivo in esame, sulla base del seguente principio di diritto che viene in rilievo è il seguente: “allorquando nel corso del giudizio di opposizione all’esecuzione il diritto per cui si procede esecutivamente, fondato su titolo esecutivo giudiziale ancora sub iudice, risulta negato parzialmente da una successiva sentenza di merito pur non definitiva emessa nel giudizio in cui se ne discute, o per riconoscimento della parziale inesistenza originaria o per riconoscimento di una parziale inesistenza in forza di fatto estintivo sopravvenuto fatto valere in quel giudizio, il giudice dell’esecuzione che decida l’opposizione deve rigettarla per la parte di credito riconosciuta esistente e accoglierla per la parte residua, dichiarando a seconda dei casi il momento al quale risale l’accertata inesistenza. Tale principio si applica anche nel caso in cui l’esecuzione sia stata iniziata sulla base di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e l’opposizione ad esso venga accolta parzialmente, siccome si evince anche dal secondo comma dell’art. 653 c.p.c.”.

Il giudice di rinvio, che si designa nello stesso Tribunale di Mantova, in persona di diverso magistrato addetto al’ufficio, provvederà sull’opposizione avverso l’esecuzione n. 27 del 2003 per quanto attiene ai diritti di procedere esecutivamente delle due intervenute dando atto, attraverso la ricognizione delle due sentenze di accoglimento parziale di opposizione ai decreti ingiuntivi che l’opposizione all’esecuzione è fondata ed il diritto di procedere esecutivamente delle creditrici intervenute sulla base dei titoli per cui spiegarono il loro intervento (cioè i due decreti ingiuntivi) non esiste per la parte in cui le sentenze de quibus hanno accolto le opposizioni ai decreti e che è infondata per il resto (salva l’esistenza di ulteriori fatti sopravvenuti).

Con riferimento all’opposizione riguardo all’intervento della Banca di Credito Cooperativo di Castelgoffredo il giudice di rinvio esaminerà, se constaterà che era stato allegato, il fatto estintivo relativo al pagamento che nel ricorso si assume eseguito nell’ambito dell’esecuzione n. 70 del 2003.

p.3. Con il terzo motivo si denuncia ‘violazione degli artt. 564 e 615 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 512 c.p.c.’.

Il motivo riguarda la parte della sentenza impugnata, che ha provveduto sul motivo di opposizione all’esecuzione che i ricorrenti avevano prospettato riguardo all’intervento titolato della s.p.a. Leasingimpresa, là dove avevano addotto e documentato che il Tribunale di Saluzzo, accogliendo parzialmente l’opposizione al decreto ingiuntivo costituente titolo per l’intervento, l’aveva revocato ed aveva ridotto la pretesa in conto capitale ad Euro 28.081,20.

p.3.1. Vi si censura la motivazione della sentenza impugnata, là dove si è così espressa: “con riferimento agli ulteriori intervenienti deve osservarsi che essendo l’opposizione proposta ex art. 615 c.p.c., per sua natura, azione finalizzata alla contestazione del diritto dell’istante la procedura esecutiva a procedere in executivis, risulta inammissibile l’opposizione proposta in questa forma nei confronti dei creditori intervenuti nella procedura esecutiva che non abbiano dato impulso al processo esecutivo (in questo senso è la giurisprudenza prevalente [della] Cassazione civile, senza III, 23 aprile 2001, n. 5961; Tribunale Bari, sez. II, 17 luglio 2006, n. 1990; Tribunale Pavia, 13 febbraio 1991). Specificatamente è dunque inammissibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c. proposta nei confronti di Leasingimpresa S.p.A. di cui all’intervento del 10.2.2004 nella procedura n. 28/2003, non risultando dagli atti del fascicolo dell’esecuzione che questo creditore abbia mai dato impulso alla procedura”.

p.3.1.1. La censura viene svolta adducendosi che, nei verbali dello svolgimento dell’esecuzione e particolarmente nel verbale di udienza del 6 dicembre 2005, in quello del 6 febbraio 2007 e in quello dell’11 maggio 2007, “contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata” quanto risultava da detti verbali – e precisamente e rispettivamente la richiesta di revoca del provvedimento di sospensione formulata delle esecuzioni riunite formulata nel primo dal procuratore della Leasingimpresa, l’essersi tale procuratore associato all’istanza del procuratore di altro creditore intervenuto (quello della MPS) per la trasmissione del fascicolo al notaio delegato al fine di disporre la vendita di taluni lotti e la richiesta di approvazione del piano di riparto parziale – evidenziava “chiari atti d’impulso della esecuzione, ben diversi dal comportamento del creditore intervenuto che, limitandosi a presenziare alle udienze, si astenga dal formulare specifiche istanze dirette alla prosecuzione della esecuzione”.

Sulla base di tale assunto si sostiene che il Tribunale avrebbe “ingiustamente e in violazione di legge” dichiarato inammissibile l’opposizione.

p.3.1.2. Il motivo è inammissibile.

Invero, con esso si è dedotto che l’affermazione del Tribunale che non risultava dagli atti del fascicolo della esecuzione che la Leasingimpresa “abbia mai dato impulso alla procedura” sarebbe erronea per effetto di un errore di percezione di tre fatti del processo esecutivo da parte dello stesso Tribunale. Fatti rappresentati dalle emergenze dei detti verbali.

Tale errore di percezione avrebbe dovuto farsi valere con il mezzo della revocazione ordinaria ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c., perché la decisione del Tribunale viene censurata in quanto frutto proprio di esso.

p.4. Con il quarto motivo si denuncia ‘violazione degli artt. 1283 e 1224 c.c, dell’art. 15 D.P.R. n. 7 del 1976; nonché violazione e falsa applicazione del’art. 120 D.lgs. 385/92 come modificato dall’art. 25 D.Lgs. n. 342/99’.

L’illustrazione del motivo si articola come segue: “gli attuali ricorrenti avevano contestato – in relazione al credito di Mantova Banca 1986 derivante dal contratto di mutuo del 3.9.2001 di cui all’intervento del 10.6.2003, nonché al credito della MPS Gestione Crediti Banca S.p.A. derivante anch’esso da mutuo fondiario – l’entità delle pretese per avere dette mutuanti addebitato interessi corrispettivi in relazione alle rate che sarebbero scadute successivamente alla richiesta di anticipata restituzione e all’inizio dell’esecuzione, rate mai venute a maturazione, nonché interessi di mora anche sui detti interessi corrispettivi non dovuti. La impugnata sentenza ha respinto l’opposizione anche su tale punto affermando in relazione ad entrambi i crediti: Quanto all’addebito di interessi corrispettivi in relazione alle rate di mutuo scadute dopo la richiesta di anticipata restituzione, lo stesso risulta consentito, siccome contrattualmente previsto, dall’art. 2 della deliberazione CICR n. 224000 del 9.2.000. Invero le Sezioni Unite della intestata ecc.ma Suprema Corte hanno statuito che: In tema di mutuo fondiario, in ipotesi di inadempimento del mutuatario, l’esercizio della condizione risolutiva da parte dell’Istituto di credito mutuante determina la risoluzione del rapporto di mutuo, con la conseguenza che il mutuatario deve provvedere, oltre al pagamento integrale delle rate già scadute, all’immediata restituzione della somma capitale, ma non degli interessi conglobati nelle semestralità a scadere, dovendosi poi calcolare, sul credito così determinato, gli interessi di mora ad un tasso corrispondente a quello contrattualmente pattuito, se superiore al tasso legale (Cass. SS.UU. 19 maggio 2008, n. 12639). Né al caso in esame è applicabile l’art. 2 della delibera del CICR n. 224000 del 9.2.2000 in quanto la stessa attiene al suo rapporto di conto corrente e non al rapporto di mutuo fondiario. Invero è l’art. 3 comma 2 della stessa delibera, attinente ai finanziamenti con piano di rimborso rateale, peraltro diversi dal mutuo fondiario regolato da specifiche disposizioni, che prevede: quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto di finanziamento, l’importo complessivamente dovuto può, se contrattualmente stabilito, produrre interesse a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. Ne consegue che anche ai sensi della predetta delibera le rate che sarebbero scadute successivamente alla richiesta di anticipata restituzione non possano ulteriormente maturare e che gli interessi sul capitale residuo e sulle rate già scadute, decorrono solo su tali somme nella misura contrattualmente convenuta, esclusa ogni forma di anatocismo. Si formula il seguente quesito: In tema di mutuo fondiario ed a seguito di richiesta di anticipata restituzione del capitale mutuato conseguente all’inadempimento del mutuatario, quest’ultimo è tenuto, come affermato dalla impugnata sentenza, al pagamento degli interessi corrispettivi sulle rate non più venute a maturazione e agli interessi di mora sugli stessi interessi corrispettivi o, invece ed ai sensi degli artt. 1283 e 1224 c.c. e dell’art. 15 D.P.R. n. 7 del 1976, è tenuto al solo pagamento, superate già scadute sul capitale residuo, dei soli interessi di mora nella misura contrattualmente convenuta?”.

p.4.1. Il motivo, nel quale il principio di diritto di cui alla sentenza delle SS.UU. è peraltro citato non nella sua versione ufficiale, concerne l’opposizione all’esecuzione diretta a contestare il credito di cui all’intervento della Mantovabanca 1986 derivante dal contratto di mutuo fondiario del 3 settembre 2001 e quello di cui all’intervento della MPS Gestione Crediti Banca.

p.4.2. Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., giacché si fonda sul contenuto dei contratti di mutuo costituenti il titolo esecutivo, sul contenuto degli atti di intervento delle due creditrici nei quali si faceva valere la pretesa creditoria oggetto del mutuo e, quindi, si indicavano gli interessi pretesi, e su quello dell’atto di opposizione all’esecuzione per quanto attiene alla prospettazione con cui erano stati contestati gli interessi corrispettivi, ma non fornisce l’indicazione specifica richiesta da detta norma, nei termini di cui alla consolida giurisprudenza di queste Corte (a partire da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e Cass. sez. un. n. 28547; di seguito: Cass. sez. un. n. 7161 del 2010; da ultimo Cass. n. 7455 del 2013, riassuntivamente, dove si evidenzia come la norma costituisca il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione, elaborato già anteriormente dalla giurisprudenza di questa Corte).

L’inosservanza dell’art. 366 n. 6 si evidenzia nella specie perché: a) si omette di riprodurre il contenuto dei contratti rilevante in parte qua e quello dell’atto di opposizione che sorreggeva la censura e ci si astiene anche dal riprodurlo indirettamente indicando la parte dei documenti in cui l’indiretta produzione troverebbe riscontro; b) si omette di indicare se e dove detti atti siano stati prodotti (anche agli ulteriori effetti dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c.) e siano esaminabili in questo giudizio di legittimità.

In tal modo la Corte non è messa in grado di verificare né come il tema proposto dal motivo era stato introdotto dall’opposizione all’esecuzione e con riguardo a quale modo di essere della pretesa esecutiva delle due creditrici, né di apprezzare la congruenza in iure dei termini in cui la sentenza impugnata li ha esaminati.

Nemmeno il Collegio è posto in grado di apprezzare la congruenza rispetto alla fattispecie del principio di diritto di cui alla sentenza delle SS.UU. e nemmeno del recente principio di diritto affermato da Cass. n. 3656 del 2013.

p.4.3. Inoltre, il percorso della stessa illustrazione del motivo si presenta, proprio per le rilevate carenze di indicazione specifica degli atti su cui si fonda, privo anche di specificità e, quindi, per tale ragione inidoneo ad assolvere al precetto dell’idoneità al raggiungimento dello scopo, onde è ulteriormente inammissibile alla stregua del seguente principio di diritto: “Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156, secondo comma, cod. proc. civ.). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorché la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo”. (Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi).

p.5. Conclusivamente, è rigettato il primo motivo di ricorso e sono dichiarati inammissibili il terzo ed il quarto motivo. La sentenza impugnata è cassata con rinvio esclusivamente nei termini risultanti dal’accoglimento del secondo motivo, cioè riguardo alle sole statuizioni adottate sulla parte dell’opposizione all’esecuzione riguardante le pretese esecutive della Mantovabanca 1896 fondate sul decreto ingiuntivo n. 11898 del 2002 e sull’intervento del 1 luglio 2003 e della Banca di Credito Cooperativo di Castelgoffredo, riguardo alle quali il giudice di rinvio dovrà provvedere nei termini sopra indicati.

Le statuizioni sulle spese relative ai rapporti processuali fra i qui ricorrenti e le dette creditrici si intendono caducate in conseguenza e sulle spese riguardo ad essi provvedera il giudice di rinvio anche per quanto attiene alle spese del giudizio di cassazione.

Nella sua valutazione il giudice di rinvio terrà conto dell’esito complessivo della lite, derivante anche dal rigetto del primo motivo e dalla inammissibilità del quarto.

Le spese possono compensarsi nel rapporto processuale fra i ricorrenti e la MPS Gestione Crediti nella qualità, dato che il primo motivo di ricorso è stato oggetto di composizione di contrasto di giurisprudenza. Non è luogo a provvedere sulle spese nel rapporto fra i ricorrenti e la Leasimpresa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il terzo ed il quarto. Accoglie il secondo motivo e cassa la sentenza impugnata in relazione, cioè limitatamente alla statuizione sulla parte dell’opposizione all’esecuzione dei ricorrenti concernenti e nei sensi di cui in motivazione, cioè limitatamente alle pretese esecutive della Mantovabanca 1896, fondate sul decreto ingiuntivo n. 11898 del 2002 e sull’intervento del 1 luglio 2003, e alla pretesa esecutiva della Banca di Credito Cooperativo di Castelgoffredo fondata sul decreto ingiuntivo n. 1193 del 2002. Rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione limitatamente ai relativi rapporti processuali. Compensa le spese del giudizio di cassazione nel rapporto fra i ricorrenti e la resistente MPS Gestione Crediti. Nulla per le spese nel rapporto fra ricorrenti e Leasngimpresa.

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