La revoca del part-time va motivata dettagliatamente e specificamente Tribunale di Firenze, sez. lavoro, ordinanza 21.04.2011
Tribunale di Firenze
Sezione Lavoro
Ordinanza 21 aprile 2011
(Presidente Relatore Rizzo)
Fatto e diritto
Il Tribunale, sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 5/4/2011, premesso che:
– con ricorso, ex 700 c.p.c., L. B., quale dipendente del Ministero della Giustizia –
Dipartimento (omissis), presso il Tribunale di Firenze in qualità di assistente giudiziario,
posizione economica F2 ,CCNL comparto Ministeri e CCNL Integrativo, ha chiesto all’adito
Giudice del Lavoro di sospendere l’efficacia del provvedimento del Ministero della Giustizia
prot. 4248/10 del 16 dicembre 2010 limitatamente alla parte in cui, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 16 della L. n. 183/2010, dispone nei suoi confronti la revoca della trasformazione
dell’orario di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (da 36 ore a 30 settimanali), con
conseguente ricostituzione del rapporto di lavoro a tempo pieno a far data dal 1 febbraio
2011;
– a fondamento della domanda cautelare la ricorrente ha dedotto, quanto al fumus boni iuris,
la illegittimità del suddetto provvedimento amministrativo;
– in particolare, tale illegittimità discenderebbe dalla violazione ad opera della P.A. dei
principi di buona fede e correttezza per l’inosservanza, in primo luogo, delle disposizioni che
la stessa amministrazione convenuta si è data con la circolare prot. 1196 del 24 novembre
2010 per l’attuazione dell’art. 16 della L. n. 183/2010, dal momento che la lettera (prot. 1248
del 16.12.2010) con la quale il Responsabile della Gestione del Personale del Tribunale di
Firenze ha chiesto la revoca del part-time della ricorrente, ed alla quale il Ministero ha
rinviato per la motivazione della revoca, reca una formula generica (“le gravi difficoltà
organizzative ai servizi di cancelleria che impongono una completa prestazione lavorativa”)
anziché, come imposto dalla Circolare, una esaustiva motivazione con riferimento al profilo
professionale dell’interessata e alla specifica posizione dalla stessa rivestita nell’assetto
organizzativo dell’ufficio;
– in secondo luogo, l’inosservanza dei principi di correttezza e buona fede sarebbe derivata,
nel caso di specie, dall’omissione di una seppur minima istruttoria in ordine alle necessità
familiari, alla convivenza di figli minori dei 13 anni o di figli con handicap dei soggetti
interessati dalla richiesta di revoca, (che non coincidevano con tutti i fruitori di part-time,
posto che coloro che beneficiavano di un contratto a 35 ore alla settimana non erano stati
interessati dal provvedimento) , e dalla conseguente omessa redazione di una graduatoria di
priorità , imposta dalla circolare sopra indicata in caso di revoca di solo alcuni tempi parziali;
– quanto al periculum in mora, la ricorrente ha dedotto di prestare assistenza al suocero in
condizione di handicap grave e di avere un figlio di dodici anni, la cui cura non è
integralmente surrogabile con mezzi tecnici di ausilio, quali badanti o baby-sitter, già peraltro
presenti per parte della giornata, con conseguente danno insuscettibile di riparazione
postuma;
– l’amministrazione si è costituita in giudizio eccependo l’insussistenza del periculum in mora,
(di cui rilevava peraltro la mancata esplicitazione, essendosi la B. limitata ad allegare solo il
fatto di prestare assistenza al suocero e di avere un figlio di dodici anni), posto che la
ricorrente già fruiva dei permessi previsti dalla L. 104/92 e avrebbe potuto prestare le 6 ore di
lavoro richieste per il completamento dell’orario nella giornata di sabato mattina, o, in ogni
caso, avrebbe potuto pagare una badante o una baby sitter con i maggiori introiti derivanti
dalla prestazione a tempo pieno;
– la convenuta ha altresì contestato la sussistenza del fumus boni iuris, atteso che, a
prescindere dalla motivazione adottata, comunque il mantenimento del part time avrebbe
comportato un reale pregiudizio per l’amministrazione, sussistendo effettivamente esigenze di
servizio nell’ufficio GIP ove la B. lavora.
Premesso, altresì, che:
– con ordinanza del 4 marzo 2011 (depositata il 8/3/2011), il Giudice monocratico del Lavoro
del Tribunale di Firenze, in accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., ha ordinato al
Ministero della Giustizia di sospendere gli effetti del provvedimento prot. n. 20001 del
29.12.2010, condannando la P.A. soccombente al pagamento delle spese di lite liquidate in €
1.000,00 di cui € 550,00 per onorari, € 450,00 per diritti, oltre 12,5% per spese generali,
I.V.A. e C.A.P. come per legge;
– il Giudice a quo, quanto al fumus boni iuris, ha ritenuto che, nel caso di specie, la P.A. non
abbia osservato i criteri di buona fede e correttezza come richiesto dalla legge, in quanto la
motivazione della richiesta di revoca del part-time, richiamata per intero dal provvedimento
ministeriale in contestazione, non contenendo una valutazione del pregiudizio specifico che
l’Ufficio Gip subirebbe per effetto della prosecuzione da parte della ricorrente dell’orario part-
time ma limitandosi ad addurre la sussistenza di “gravi difficoltà organizzative ai servizi di
cancelleria che impongono una più completa prestazione lavorativa”, non è sufficiente a dare
atto dell’istruttoria compiuta nel caso de quo;
– ad avviso del Giudice a quo, infatti, la suddetta motivazione, essendo generica e per giunta
identica a quella indicata per il personale di Uffici diversi dall’Ufficio Gip, viola la suddetta
circolare n. 1196/2010, con la quale lo stesso Ministero ha disposto che i Responsabili della
gestione delle risorse umane, in caso di revoca dei part-time di tutto il personale dell’ufficio
che fruisce di tale tipologia di orario, debbano motivare la richiesta in modo completo e
dettagliato in riferimento ad ogni dipendente e senza formule generiche (del tipo “gravi
carenze di organico”, “gravi esigenze di servizio” etc.), indicando le ragioni di carattere
organizzativo che, in relazione ai profili professionali degli interessati ed alle attività a loro
demandate dall’ufficio, determinano il rilevato pregiudizio alla funzionalità
dell’amministrazione;
– il provvedimento della P.A. nel caso in questione si porrebbe peraltro in contrasto anche con il punto n. 2 della circolare n. 1196/2010, che impone la predisposizione di graduatorie, posto
che l’amministrazione non aveva provveduto a revocare tutti i part-time, lasciando in essere
quelli a 35 ore alla settimana;
– circa il periculum in mora, il Giudice a quo ha ritenuto che la ricostituzione di un rapporto
di lavoro a tempo pieno cagionerebbe, almeno nell’immediato, un pregiudizio irreparabile
agli equilibri della vita familiare della ricorrente, in ragione del fatto che quest’ultima deve
accudire al figlio dodicenne e al suocero infermo, in assenza di un possibile aiuto da parte dei
propri genitori, entrambi deceduti;
– rilevato che, con ricorso depositato 15 marzo 2011, il Ministero della Giustizia ha
presentato reclamo avverso la suddetta ordinanza chiedendo al Giudice del Lavoro in
composizione collegiale di rigettare, in riforma dell’impugnata ordinanza, l’istanza cautelare
avanzata dalla ricorrente;
visto che il Ministero della Giustizia ha a tal fine dedotto quanto segue:
– il Giudice a quo, quanto al periculum, non ha valutato né la possibilità, prospettata dalla
P.A. nella prima fase del giudizio cautelare, che il rapporto di lavoro a tempo pieno si svolga
suddividendo le complessive 36 ore in 6 giorni compreso il sabato, con la conseguente
esclusione dei due rientri pomeridiani; né il fatto che il ripristino dell’orario di lavoro full
time comporterebbe un aumento della retribuzione, tale da poter ridurre al minimo l’aggravio
economico scaturente dall’assunzione di persone di supporto;
– quanto al fumus, il richiamo operato dall’art 16 del c.d. “Collegato lavoro” ai principi di
correttezza e buona fede deve essere inteso nel senso che la revoca dell’orario part time deve
fondarsi su una situazione di fatto in cui il funzionamento dell’ufficio sia realmente
compromesso, a prescindere dalla completezza o ampiezza della motivazione; inoltre, la
ricorrente, già nel 2007, allorché la concessione del part time dalla stessa richiesto fu
procrastinata di sei mesi per il “grave pregiudizio” che ne derivava alla funzionalità
dell’ufficio non contestò la reale sussistenza di tale pregiudizio; ancora, la ricorrente non ha
contestato che la cancelleria dell’Ufficio G.i.p. versi in una situazione di grave difficoltà
come indicato nella motivazione per relationem del provvedimento di revoca e più in
dettaglio descritto dal Ministero convenuto nella memoria di costituzione nella prima fase del
presente giudizio cautelare, cosicché deve ritenersi pacifico che la riduzione dell’orario di
lavoro della ricorrente crei pregiudizio alla funzionalità del servizio e, quindi, all’interesse
pubblico;
rilevato, altresì, che la ricorrente si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto del reclamo
proposto con condanna del Ministero al pagamento delle spese del giudizio, e considerato
che:
– la lavoratrice, in ordine al periculum, ha ribadito le allegazioni già effettuate nel
procedimento ex art. 700 c.p.c.;
– in ordine al fumus, la lavoratrice ha ribadito le deduzioni già esposte nella precedente fase
del giudizio cautelare circa la violazione nel caso di specie dei principi di buona fede e
correttezza cui è subordinato dalla legge l’esercizio del potere di revoca, in conseguenza della
inosservanza delle norme che la stessa amministrazione si è data in relazione ai procedimenti
di revoca dei part time già concessi e della omissione di una sia pur minima istruttoria sull’attualità e la gravità delle ragioni e delle circostanze giustificatrici della riduzione della
prestazione lavorativa;
ritiene che il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia sia fondato e che, di
conseguenza, in riforma dell’ordinanza emessa dal Giudice a quo il 4.3.2011 (depositata il
8/3/2011), la domanda cautelare della ricorrente debba essere rigettata per l’insussistenza sia
del fumus boni iuris che del periculum in mora.
In merito, innanzitutto, al requisito normativo del fumus boni iuris, il Collegio, pur
concordando con il Giudice a quo in ordine al fatto che la motivazione addotta dal
Responsabile della Gestione del Personale del Tribunale di Firenze (nella lettera prot. 1248
del 16.12.2010) a fondamento della richiesta di revoca del part time della ricorrente e
richiamata, (a formarne parte integrante e sostanziale), nel provvedimento ministeriale in
contestazione (prot. 20001 del 29 dicembre 2010), non sia conforme alle prescrizioni
impartite dal Ministero (con la Circolare prot. 1196 del 24 novembre 2010) circa il quantum
della motivazione da adottare, ritiene tuttavia che detta inosservanza non costituisca ex se una
violazione dei principi di correttezza e buona fede di cui all’art. 16 della L. n. 183/2010.
Alla stregua della suddetta Circolare amministrativa (che, come è noto, non vincola il
Giudice nell’interpretazione ed applicazione delle norme cui si riferisce), infatti, la
motivazione avrebbe dovuto dare conto in modo dettagliato e specifico della situazione in cui
versa la cancelleria dell’ufficio G.i.p. sotto il profilo dell’organico, nonché dei concreti effetti
pregiudizievoli che sulla organizzazione del lavoro e sullo smaltimento dei carichi di lavoro
di quella cancelleria, produce l’orario a tempo parziale della ricorrente. Viceversa, la P.A. si è
limitata ad enunciare quello che è in sostanza il risultato della valutazione richiesta dalla
norma, ossia che la riduzione della prestazione lavorativa cagiona gravi difficoltà
organizzative ai servizi di cancelleria.
Ciò nonostante, il Tribunale rileva, in primo luogo, che l’art. 16 della L. n. 183/2010,
nell’attribuire alle pubbliche amministrazioni ivi indicate il potere di sottoporre a nuova
valutazione (entro 180 giorni dall’entrata in vigore della stessa legge) i provvedimenti di
concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già
adottati prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni nella
L. n. 133/2008, ha testualmente previsto per tali amministrazioni non un particolare obbligo
di motivazione formale degli eventuali provvedimenti di revoca dei part time già concessi,
ma l’obbligo di osservare, nell’esercizio del potere loro conferito, i principi di correttezza e
buona fede.
Di conseguenza, in assenza di un obbligo di motivazione espressa di fonte legislativa, la
genericità e/o l’incompletezza della motivazione del provvedimento di revoca dell’orario part
time della lavoratrice (rispetto al quantum di motivazione preteso dalla circolare
amministrativa), non rendono di per sé la condotta datoriale contraria ai principi di
correttezza e buona fede, essendo a ciò necessario che, in esito all’accertamento giudiziale,
risulti che, nel caso concreto, effettivamente non sussistevano ragioni di interesse pubblico
idonee a giustificare l’adozione del provvedimento di cui si tratta, e che, pertanto,
quest’ultimo è il frutto di un mero arbitrio datoriale.
I principi di buona fede e correttezza di cui il legislatore esige l’osservanza implicano, cioè,
che la P.A. possa revocare l’orario di lavoro a tempo parziale già concesso solo per soddisfare
un effettivo ed apprezzabile interesse pubblico al ripristino dell’orario full time, ossia in presenza di un reale pregiudizio alla funzionalità dell’ufficio in cui è incardinato il lavoratore,
derivante dalla ridotta durata della prestazione lavorativa di quest’ultimo.
In altri termini, ritiene il Tribunale che, in mancanza di una previsione legislativa ad hoc, sia
il difetto di motivazione in senso sostanziale (inesistenza in concreto dei motivi cui la norma
subordina la revoca) e non in senso formale (omessa o insufficiente motivazione del
provvedimento) a concretare l’inosservanza di quei principi, in ragione della conseguente
illogicità, vessatorietà, arbitrarietà della revoca.
Ebbene, nel caso di specie le relazioni della dirigente dell’ufficio amministrativo, contenute
nel fascicolo di parte convenuta, nonché i dati risultanti dalle successive richieste di revoca
dei residui part-time a 35 ore , prodotte all’udienza del 5/4/2011(quali ad esempio, il fatto che
su 245 unità previste in organico, siano attualmente presenti solo 208 unità, e che nei
prossimi mesi vi saranno pensionamenti di soggetti per i quali non sono previste sostituzioni,
con conseguente difficoltà ad assicurare i servizi), non sono state negati, così come non sono
state contestate le difficoltà organizzative dei servizi di cancelleria con cui la P.A. ha
motivato, sia pur sommariamente, il provvedimento, limitandosi la difesa della B., viceversa,
a denunciare l’insufficienza, la genericità della motivazione per relationem del
provvedimento di revoca, il difetto procedimentale di una omessa graduatoria, la mancata
adozione da parte del Ministero di misure (quali ad esempio assunzioni a tempo determinato
di altri soggetti) atte a coprire le carenze di organico prodotte dal mantenimento del part-time.
Al riguardo il Tribunale osserva, altresì, che, non essendo previsto dall’art. 16 L. 183/2010 un
obbligo di indicare analiticamente i motivi nello stesso atto di revoca (diversamente da
quanto la legge prevede, ad esempio, all’ art. 1 D.lgs. n. 368/2001 in materia di apposizione
del termine al contratto di lavoro subordinato, e all’ art. 2 L. n. 604/1966 in materia di
licenziamenti), e non esistendo un obbligo motivazionale generalizzato nel diritto civile, la
P.A. ha legittimamente specificato e integrato in giudizio la motivazione addotta nel
provvedimento.
Peraltro, quando la P.A. agisce nell’ambito del rapporto di lavoro c.d. privatizzato, essa pone
in essere atti gestionali sottoposti alle regole del diritto privato e non vincolati agli obblighi
motivazionali previsti dalla L. 241/90, applicabile solo ai provvedimenti amministrativi in
senso tecnico (cfr .Cass. n. 23760/2004, secondo cui la legge n. 241 non è applicabile ai
rapporti di lavoro con pubbliche amministrazioni attinente come è alla sola “attività
amministrativa” (art. 1), id est all’attività propriamente provvedimentale posta in essere
dall’amministrazione… “(la stessa) non è applicabile agli atti di gestione del rapporto di
lavoro, atti di diritto privato, caratterizzati dall’assoluta parità tra le parti, proprio perché tale
parità è inconciliabile con la posizione di soggezione insita nella sottoposizione alle regole
del procedimento amministrativo”).
La conclusione ora rassegnata risulta oggi ulteriormente avvalorata dalla legge n.15/2005, la
quale, all’art. 1 della legge n. 241 ha aggiunto il comma 1bis, che dispone: “1bis. La pubblica
amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di
diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.
Non può essere condivisa la prospettazione di parte reclamata, secondo cui gli obblighi
procedimentali e motivazionali previsti nella circolare costituirebbero le regole che
l’amministrazione si sarebbe data nell’esercitare la facoltà di revoca riconosciutale dalla
legge, e, come tali, impegnerebbero la P.A. nei confronti dei propri dipendenti, con conseguente violazione dei principi di correttezza e buona fede in caso di loro violazione.
Infatti la circolare evocata in giudizio non disciplina affatto il potere di revoca del part-time
da parte dell’amministrazione nei confronti dei propri dipendenti (nel qual caso
effettivamente la violazione delle regole precedentemente predisposte per questo atto di
gestione del rapporto comporterebbe la violazione dei principi di correttezza e buona fede),
ma regola solo una fase endoprocedimentale di formazione della volontà negoziale del
Ministero, in quanto disciplina le modalità con le quali i dirigenti amministrativi degli uffici
giudiziari sparsi sul territorio nazionale devono avanzare la proposta di revoca al direttore
generale, pena la mancata presa in considerazione da parte dello stesso (si confronti al
riguardo il dato letterale della circolare 1196/2010, soprattutto a pag. 4).
La violazione delle regole impartite potrebbe in questo caso comportare solo la reiezione
della proposta di trasformazione dei rapporti di lavoro da parte del Direttore generale
(evenienza che si è verificata per ben due volte con riguardo ai part-time a 35 ore per i quali
la dirigente amministrativa ha provveduto ,successivamente alla trasformazione del part-time
oggetto di giudizio, ad inoltrare richiesta di revoca), ma non ad impegnare l’amministrazione
nei confronti dei propri dipendenti in ordine alla modalità di esercizio della facoltà
riconosciuta dall’art. 16 L. 183/2010.
Peraltro, anche qualora si ritenesse il contrario (e cioè che la mancata piena attuazione delle
regole previste per la proposta di revoca comporti una violazione dei principi di correttezza e
buona fede, – ma si ribadisce, non è questa la convinzione di questo Tribunale-), comunque
questo fatto non comporrebbe la nullità dell’atto di revoca (essendo le ipotesi di nullità
tassative e non esistendo al riguardo alcuna norma imperativa violata), producendo solo
effetti risarcitori, incompatibili con una tutela cautelare, che, come è noto, presuppone
l’esistenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile.
Di conseguenza, poiché è risultato che vi sono reali ragioni di interesse pubblico alla
ricostituzione dell’orario full time della lavoratrice, si ritiene che, nel caso di specie,
l’amministrazione convenuta non abbia violato i principi di correttezza e buona fede di cui
all’art. 16 della L. n. 183/2010.
L’interpretazione sopra offerta alla norma del collegato lavoro si palesa altresì coerente con il
quadro giuridico dell’istituto del part time nel pubblico impiego.
L’art. 16 della L. 183/2010 ha infatti voluto consentire alla P.A. ( nel termine di 180 giorni
dalla sua entrata in vigore) la possibilità di rivedere i rapporti di lavoro parziali concessi
prima della Legge c.d. Brunetta (D.L. 112/08, conv. nella L. 133/08) al fine di uniformarli
(quanto a presupposti di concedibilità) a quelli stipulati dal 2008 in poi.
Come è noto, fino alla novella del 2008 l’art. 1 comma 58 L. 662/1996 riconosceva al
dipendente pubblico il diritto soggettivo e potestativo di ottenere la trasformazione
automatica del proprio rapporto di lavoro a tempo pieno, in un rapporto di part time
orizzontale, verticale o misto, cui la P.A. di appartenenza non poteva contrapporre un rifiuto,
essendole consentito, in caso di grave pregiudizio alla funzionalità dei servizi, un mero
differimento della trasformazione per un periodo non superiore ai sei mesi. Il diritto del
dipendente era pertanto indifferente alle esigenze dei servizi della pubblica amministrazione,
con cui poteva anche entrare in contrasto.
Con l’art. 73 del D.L. 112/08 (conv. in L. 133/08) si equilibrano le esigenze delle persone che
lavorano con quelle organizzative dei datori di lavoro pubblici, avvicinando un po’ di più la
posizione sostanziale dei pubblici dipendenti a quelli privati, in quanto viene abolito
l’automatismo della trasformazione del rapporto e viene previsto che la domanda di svolgere
la prestazione lavorativa in regime di tempo parziale debba essere accettata
dall’amministrazione, la quale ha il potere discrezionale di rifiutare o meno la proposta in
ragione della valutazione della sussistenza (o insussistenza) di un pregiudizio alla
funzionalità del servizio.
L’art. 16 del collegato lavoro vuole consentire alla P.A., nel termine di decadenza previsto
dalla norma, di rivalutare i rapporti di part time anteriori al 2008 ( e cioè quelli che questa ha
subito in base alla vecchia legislazione) al fine di verificare se la loro permanenza si ponga o
meno in contrasto con la funzionalità del servizio cui è preposta la stessa amministrazione, e
nel fare questo è richiesto che debba attenersi a criteri di correttezza e buona fede, il che ,
appunto, equivale a dire che deve operare non arbitrariamente, trasformando i rapporti solo
quando la loro permanenza con un orario ridotto comporti effettivamente un pregiudizio al
servizio.
Quanto al periculum in mora, il Collegio ritiene che, nel caso de quo, la lavoratrice non abbia
allegato in cosa consista il pregiudizio irreparabile a cui va incontro con la trasformazione del
rapporto, non potendo consistere questo nel fatto di avere un figlio di 12 anni o il suocero
infermo da assistere.
Peraltro, la stessa B. riferisce nel ricorso ex art. 700 c.p.c. e nella memoria di costituzione in
sede di reclamo di avvalersi già di badante e baby-sitter, per cui non è dato capire come due
rientri pomeridiani di 3 ore alla settimana possano sconvolgere la sua vita familiare.
Peraltro l’inconveniente connesso alla prestazione lavorativa in due pomeriggi settimanali
può, nel caso di specie, essere ovviato optando per una regolamentazione dell’orario di lavoro
su sei giorni alla settimana (tutte le mattine, dal lunedì al sabato).
Quanto al regolamento delle spese di lite, considerata la recentissima emanazione della L.
183/2010 e la novità della questione interpretativa posta dal caso di specie, si ritiene che
sussistano gravi ed eccezionali motivi, ex art. 92 c.p.c., per compensare tra le parti le spese di
lite.
P.Q.M.
visto l’art. 669-terdecies c.p.c., il Tribunale di Firenze, Sezione lavoro, in composizione
collegiale, in accoglimento del reclamo, revoca l’ordinanza del Tribunale di Firenze del
4.3.2011 – depositata il 8.3.2011- e respinge la domanda cautelare proposta da L. B.
Compensa tra le parti le spese di lite.