Cassazione penale sezioni unite sentenza 21 giugno 2012 n 30769
Mandato di arresto europeo non sono oppugnabili. I loro eventuali vizi possono essere fatti valere solo nello Stato
richiesto se e in quanto incidenti sulla procedura di sua pertinenza nonché secondo le regole, le forme e i tempi
previsti nel relativo ordinamento.

Le sezioni unite penali
Presidente Lupo – estensore Cortese

RITENUTO IN FATTO
1. In data 24 marzo 2009 l’Autorità spagnola consegnò
all’autorità giudiziaria italiana C.A. in esecuzione di un
mandato di arresto Europeo (m.a.e.) emesso sulla base di
un’ordinanza di custodia cautelare per i reati di tentato
omicidio e detenzione e porto d’arma, commessi in (OMISSIS).
Da tali reati il C. venne definitivamente assolto a seguito della
sentenza del 17 febbraio 2011 con cui la Corte di cassazione
annullava senza rinvio in parte qua la sentenza di condanna
emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 17 luglio 2009.
In data 25 marzo 2011 il Tribunale di Napoli, nell’ambito di un
procedimento nei confronti del C. per i delitti di cui all’art. 416
bis c.p., e artt. 110 e 629 c.p., D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art.
7, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203
(commessi in (OMISSIS), rispettivamente, sino al mese di
(OMISSIS) e negli anni (OMISSIS)), in ordine ai quali lo stesso era
stato condannato con sentenza del 22 aprile 2010, emise a suo
carico ordinanza di custodia cautelare. Tale ordinanza venne
confermata in data 11 aprile 2011 dal Tribunale del riesame di
Napoli, che ne sospendeva però l’esecuzione, in attesa
dell’attivazione della procedura di consegna suppletiva dalla
Spagna.
In accoglimento di un’eccezione difensiva in ordine alla
violazione del principio di specialità, infatti, il Tribunale rilevava
che i reati oggetto dell’ordinanza custodiate, per i quali il C.
non risultava aver prestato il proprio consenso alla
celebrazione del processo, erano stati commessi in epoca
antecedente alla consegna effettuata dalla Spagna in
esecuzione del mandato di arresto Europeo emesso per i
diversi reati di tentato omicidio e detenzione illegale di armi,
dai quali l’imputato era stato assolto. Il provvedimento del riesame venne confermato dalla Corte di
cassazione con la sentenza n. 39240 del 23 settembre 2011,
depositata il 28 ottobre 2011.
In data 7 giugno 2011 la Corte di appello di Napoli, cui nel
frattempo erano stati trasmessi gli atti del procedimento per i
delitti di partecipazione ad organizzazione criminale ed
estorsione aggravata, emise un m.a.e. inteso ad ottenere
dall’Autorità spagnola l’assenso alla consegna suppletiva per
tali reati. Assenso che venne dato dall’autorità giudiziaria
spagnola (Audiencia Nacional) con ordinanza n. 2/2012 del 10
gennaio 2012.
Con provvedimento emesso in data 24 gennaio 2012, la Corte
di appello di Napoli disponeva darsi esecuzione all’ordinanza
di custodia cautelare emessa da) Tribunale di Napoli nei
confronti del C. in data 25 marzo 2011, per i delitti di cui all’art.
416 bis c.p., e artt. 110 e 629 c.p., D.L. n. 152 del 1991, art. 7,
convertito, con modificazioni, dalla L. n. 203 del 1991.
Unitamente al predetto ordine di esecuzione, venivano
notificati al C., ristretto nell’istituto penitenziario di (OMISSIS), il
mandato di arresto Europeo emesso dalla stessa Corte di
appello di Napoli in data 7 giugno 2011 ed il provvedimento di
consegna suppletiva emesso dall’autorità giudiziaria spagnola,
con la relativa traduzione in lingua italiana.
2. Avverso l’ordine di esecuzione emesso dalla Corte di appello
di Napoli in data 24 gennaio 2012 – nonchè avverso l’ordinanza
n. 2/2012 dell’Audienda Nacional ed il m.a.e. emesso dalla
predetta Corte di appello in data 7 giugno 2011 – proponeva
ricorso per cassazione il C., a mezzo dei suoi difensori,
chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
– violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 31, nonchè dell’art.
14 della Convenzione Europea di estradizione, in relazione
all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), sull’assunto che il m.a.e.
prodromico alla consegna suppletiva era precluso dal fatto
che il m.a.e. in esecuzione del quale era precedentemente
avvenuta la consegna all’Italia, era ormai inefficace, essendo
stato il ricorrente definitivamente assolto dai reati di tentato
omicidio e detenzione e porto d’arma, cui tale consegna si
riferiva;
– violazione della L. n. 69 del 2005, art. 28, in relazione all’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b), sull’assunto che la Corte di appello di
Napoli non era funzionalmente competente a provvedere alla
emissione dei m.a.e. inteso ad ottenere dall’Autorità spagnola l’assenso alla consegna suppletiva, in quanto il citato art. 28
attribuisce tale competenza non al giudice presso cui è
pendente il procedimento ma a quello che “ha applicato la
misura cautelare”, ossia, nel caso di specie, al Tribunale;
– violazione della L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 3, in relazione
all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), e lett. e), poichè nel
provvedimento restrittivo non sono state indicate le fonti di
prova sufficienti a soddisfare il requisito ivi previsto, essendosi
limitata la Corte di appello a riportare i due capi di
imputazione, senza neanche descrivere il fatto;
– violazione della L. n. 69 del 2005, art. 19, comma 1, lett. a), in
relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), stante
l’insufficiente indicazione, nel m.a.e. impugnato, delle garanzie
ivi contemplate, in modo da dare al ricorrente la possibilità di
partecipare alla formazione del provvedimento restrittivo:
l’autorità emittente italiana era obbligata ad inserire nella
compilazione del mandato le assicurazioni sufficienti e
necessarie a consentire alla persona richiesta la possibilità di
difendersi e di essere presente al giudizio.
2.1. Con motivi aggiunti proposti in data 2 marzo 2012, i
difensori del C. deducevano la violazione dell’art. 721 c.p.p.,
art. 14 della Convenzione Europea di estradizione e L. n. 69 del
2005, art. 28, comma 1, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma
1, lett. b), assumendo che:
– non risultava prestato il consenso alla celebrazione del
processo per i fatti oggetto del presente procedimento,
obiettivamente diversi da quelli per i quali era stata concessa
la consegna, e pacificamente anteriori alla stessa, con la
conseguenza che era inibito qualsiasi esercizio dell’azione
penale;
– difettava la competenza della Corte di appello alla emissione
del m.a.e.;
– alla consegna suppletiva non poteva procedersi in base a un
titolo originario ormai inefficace, e nella assenza del ricorrente,
detenuto in Italia dal 20 ottobre 2011 e, quindi, di fatto privato
del diritto di difesa nello Stato estero richiesto dall’autorità
giudiziaria italiana.
2.2. Con ulteriori motivi aggiunti proposti in data 7 marzo 2012,
si deduceva la violazione dell’art. 721 c.p.p., art. 14 della
Convenzione Europea di estradizione, L. n. 69 del 2005, art. 28,
comma 1, e art. 32, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1,
lett. b), assumendosi che: – la procedura di consegna suppletiva imponeva l’emissione di
un nuovo mandato da parte del Tribunale e non della Corte di
appello, atteso che il provvedimento restrittivo connesso al
reato oggetto del primo mandato era stato annullato dalla
Corte di cassazione in data 17 febbraio 2011;
– la L. n. 69 del 2005, artt. 26 e 32, configurano il principio di
specialità quale condizione di procedibilità, precludendo, in
assenza di un consenso ad hoc, non solo il diritto di punire o di
privare della libertà personale, ma anche quello di
assoggettare al processo l’individuo consegnato, con la
conseguenza che tale divieto, dal lato attivo della procedura
di consegna, incide sull’esercizio dell’azione penale e che la
Corte territoriale non poteva proseguire l’azione penale per un
reato diverso da quello oggetto del primo mandato, nè era
competente ad attivare la procedura suppletiva, peraltro in sè
non incardinatale a seguito della perdita di efficacia del primo
m.a.e..
3. Con ordinanza del 13 marzo 2012, depositata il 2 aprile 2012,
la Sesta Sezione di questa Suprema Corte, assegnatala del
ricorso, lo ha rimesso alle Sezioni unite, ravvisando, nella
disamina delle questioni poste con il secondo motivo di ricorso,
un contrasto giurisprudenziale in ordine alla determinazione del
giudice competente funzionalmente alla emissione del
mandato di arresto Europeo.
Secondo un primo orientamento (seguito da Sez. 1, n. 26635
del 29/04/2008, confl. comp. in proc. Trib. Ragusar Rv. 240531),
basato su un’interpretazione logico-sistematica del quadro
normativo (artt. 28, 30 e 39) delineato dalla L. n. 69 del 2005, al
quale l’ordinanza rimettente dichiara argomentatamele di
aderire, la competenza deve essere attribuita all’autorità
giudiziaria che procede; mentre secondo un altro indirizzo
(seguito implicitamente già da Sez. 1, n. 16478 del 19/04/2006,
confl. comp. in proc. Abdelwahab, Rv. 233578, ma espresso
formalmente la prima volta da Sez. 1, n. 15200 del 26/03/2009,
confl. comp. in proc. Lauricella, Rv. 243321, e a cui ha poi
aderito anche Sez. 1, n. 18569 del 16/04/2009, confl. comp. in
proc. Diana, Rv. 243652), che privilegia un’esegesi strettamente
letterale della norma contenuta nella L. n. 69 del 2005, art. 28,
essa spetta al giudice che ha applicato la misura cautelare,
indipendentemente dalla pendenza in atto del procedimento
innanzi ad un giudice diverso. 4. A seguito dell’ordinanza emessa dalla Sesta Sezione penale,
pervenuta alla Cancelleria delle Sezioni unite in data 3 aprite
2012, il Primo Presidente, visti l’art. 610 c.p.p., comma 3, e art.
618 c.p.p., con decreto emesso in data 5 aprile 2012, ha
assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando, per la
trattazione del ricorso, l’udienza in camera di consiglio del 21
giugno 2012.
5. Con memoria depositata il 14 giugno 2012, la difesa del C.:
– ha censurato l’interpretazione logico-sistematica patrocinata
dall’ordinanza di rimessione, evidenziando in particolare che il
tenore univoco della L. n. 69 del 2005, art. 28, il suo raccordo
con la decisione quadro 2002/584/GAI del 13/06/2002 e la
natura stessa del m.a.e. non consentono e non giustificano
tale operazione ermeneutica analogico-integrativa;
– ha fatto rilevare che comunque, alla data del 12 aprile 2011
di richiesta del m.a.e. da parte del p.m., il processo era ancora
pendente presso il Tribunale;
– ha ribadito che il C. venne sottoposto al nuovo processo in
assenza di consegna suppletiva e mentre era in Italia non per
sua libera scelta, e non fu messo in condizione di contraddire in
relazione a un titolo cautelare utilizzato dal 12 aprile 2011.
6. Con nota pervenuta il 19 giugno 2012 la difesa ha trasmesso
una precedente richiesta di m.a.e. nei confronti del C. per il
delitto ex art. 416 bis c.p., rivolta in data 20 gennaio 2009 dal
p.m. al g.i.p. che aveva emesso la relativa ordinanza
custodiale, e il provvedimento di reiezione del g.i.p., motivato
con l’annullamento, in sede di riesame, di tale ordinanza.
7. Con ulteriore memoria depositata il 20 giugno 2012 la difesa,
oltre a rilevare alcune inesattezze in fatto contenute
nell’ordinanza di rimessione, ha ripreso in particolare i primi due
motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni
unite è “se la competenza funzionale ad emettere il mandato
di arresto Europeo per l’esecuzione di una misura cautelare
custodiate spetti al giudice che ha applicato la misura, anche
laddove il procedimento penda davanti ad un giudice
diverso, oppure al giudice che procede”.
2. L’attenzione deve peraltro essere focalizzata prioritariamente
sull’ammissibilità del ricorso, in relazione ai motivi dedotti e alla
natura dei provvedimenti impugnati. 2.1. L’ordinanza di rimessione ha circoscritto l’ambito di
ammissibilità del ricorso all’ordine di esecuzione emesso dalla
Corte di appello di Napoli in data 24 gennaio 2012, quale
provvedimento direttamente ricorribile per cassazione ai sensi
dell’art. 568 c.p.p., comma 2, poichè incidente sulla libertà
personale dell’interessato, mentre ha escluso l’impugnabilità sia
dell’ordinanza di consegna suppletiva concessa dall’autorità
giudiziaria spagnola (Audiencia Nacional) con provvedimento
n. 2/2012 del 10 gennaio 2012 (considerato insindacabile
manifestazione di esercizio della sovranità del Paese richiesto
della cooperazione), sia (sulla scorta della concorde
giurisprudenza di legittimità) del mandato di arresto Europeo
emesso dalla Corte di appello di Napoli in data 7 giugno 2011.
2.2. In ordine al provvedimento dell’autorità spagnola, deve
osservarsi che, in quanto manifestazione di esercizio della
sovranità del Paese richiesto della cooperazione, esso
certamente non può, in se stesso, essere soggetto a diretta
impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria italiana (Sez. 6, n.
5447 del 12/12/2001, dep. 2002, Castellucci, Rv. 220871).
Nei suoi riguardi potrebbe semmai porsi un problema di
disapplicazione, per contrasto con norme inderogabili e
principi fondamentali del nostro ordinamento (Sez. 1, n. 21673
dei 22/01/2009, Pizzata, Rv. 243795).
Sta di fatto, però, che, al di là di un accenno del tutto
generico a pregiudizi difensivi (che appaiono comunque
smentiti dal tenore dell’ordinanza emessa dall’autorità
spagnola, dal quale si evince che in quella sede fu assicurato
e di fatto esercitato, mediante rilievi considerati peraltro
generici, il diritto di difesa), il ricorrente non censura il
provvedimento estero per profili potenzialmente forieri
dell’incompatibilità anzidetta, ma pretende di invalidarlo per
effetto dei presunti vizi del m.a.e. attivo con cui ne è stata
fatta richiesta. L’esito perseguito presuppone evidentemente,
a monte, l’impugnabilità (e conseguente caducazione) del
provvedimento (m.a.e.) che dai detti vizi sia affetto.
Il discorso si sposta, quindi, sulla verifica di tale impugnabilità.
2.3. Riguardo all’impugnabilità del m.a.e., va ricordato che,
secondo il concorde indirizzo della giurisprudenza, nell’ambito
della procedura attiva di consegna è possibile contestare,
dinanzi all’autorità giudiziaria italiana, soltanto il titolo su cui si
fonda il m.a.e., ma non direttamente quest’ultimo, che è atto
in sè conseguenziale, specificamente indirizzato all’autorità estera in funzione dell’attivazione, da parte della medesima,
della procedura di esecuzione (Sez. 6, n. 9273 del 05/02/2007,
Shirrefe Fasola, Rv.235557; Sez. 6, n. 20823 del 19/01/2010, Bosti,
Rv. 247360; Sez. 6, n 21470 del 09/05/2012, Cesano); mentre
tutte le questioni afferenti tale procedura possono e devono
farsi valere nello Stato richiesto, secondo le regole, le forme e i
tempi previsti dal relativo ordinamento (Sez. 6, n. 18466
del’11/01/2007, Qerimaj Safet, Rv.236577; Sez. 6, n. 45769 del
31/10/2007, Di Summa, Rv. 238091; Sez. 6, n. 20823 del
19/01/2010, Bosti). Ne consegue che è nell’ambito di tali
questioni, e nei modi indicati, che possono, se e in quanto
incidano sulla procedura di esecuzione, essere fatti valere
eventuali vizi del m.a.e..
Tale orientamento è senz’altro da condividere, in quanto si
basa sulla corretta considerazione che il m.a.e. attivo è atto
rivolto (non al soggetto destinatario della misura ma)
all’autorità estera, con carattere chiaramente accessorio e
strumentale rispetto al provvedimento restrittivo di cui vuole
conseguire la concreta esecuzione mediante la cooperazione
di detta autorità. Conferma di tanto può rinvenirsi nelle
disposizioni di cui alla L. n. 69 del 2005, artt. 29 e 31, che
prevedono, rispettivamente, la fungibilità del m.a.e. con la
segnalazione di ricerca nel Sistema Informativo Schengen
(S.I.S.) e la sua immediata perdita di efficacia al venir meno
del provvedimento restrittivo di base.
Per le dette caratteristiche, il m.a.e. attivo, non rientrante per
sè in alcuna delle categorie di atti per le quali è sancita
espressamente l’impugnabilità per legge, non può
evidentemente neppure essere considerato un provvedimento
autonomamente incidente sulla libertà personale, agli effetti di
quanto previsto dagli artt. 111 Cost., comma 7, e art. 568
c.p.p., comma 2.
L’illustrata conclusione appare in linea con la disciplina della
decisione-quadro del Consiglio U.E. sul mandato d’arresto
Europeo (2002/584/GAI del 13 giugno 2002), nella quale non si
contempla la previsione di specifici mezzi di impugnazione a
tutela dei diritti e delle garanzie processuali delle persone
oggetto della richiesta di consegna. Tale scelta, ispirata
all’intento di evitare rischiose sovrapposizioni o interferenze,
appare chiaramente volta a rispettare i meccanismi di
impugnazione autonomamente esperibili in ciascuno degli ordinamenti coinvolti nel rapporto di cooperazione, nell’ambito
delle fasi di rispettiva pertinenza.
3. Ciò chiarito in via generale, deve osservarsi che il caso
oggetto di ricorso attiene non al m.a.e. attivo ordinario,
finalizzato ad ottenere la cattura del consegnando, bensì a un
m.a.e. utilizzato come veicolo per attivare la procedura di
assenso alla estensione della consegna di cui alla L. n. 69 del
2005, art. 32, e art. 26, comma 3, necessaria al fine di superare
gli effetti limitativi del principio di specialità.
3.1. Riguardo a tale principio, vale qui ricordare che esso, nei
regime del mandato di arresto Europeo (art. 27, p.3, lett. c),
così come interpretato anche dalla Corte d) Giustizia Europea
(sent.01/12/2008, ric. Leymann-Pustoravov, in G.U.U.E. serie C
44 del 21 febbraio 2009), non osta a che l’autorità giudiziaria
del Paese che ha ottenuto la precedente consegna proceda
nei confronti della persona consegnata anche per reati diversi
da quelli oggetto della detta consegna e commessi
anteriormente alla stessa, ma preclude soltanto (prima e in
assenza del consenso alla estensione della consegna da parte
dello Stato di esecuzione) la possibilità di eseguire nei confronti
della persona consegnata misure restrittive della libertà
personale. In senso conforme va ovviamente interpretata,
anche per l’intervenuta pronuncia della Corte di Giustizia, che
ha forza autoritativa per gli Stati membri (Corte di Giustizia,
16/06/2005, ric. Pupino, in G.U.U.E. serie C 193 del 19 agosto
2005) la normativa interna (lievemente diversa da quella della
decisione quadro) di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 32, e art. 26,
comma 2, lett. e), (in tali termini, proprio con riferimento alla
vicenda processuale in esame, Sez. 6, n. 39240 del 23/09/2011,
Caiazzo, Rv. 251366).
3.2. Tanto precisato, rilevasi che sia la previsione del p.4 dell’art.
27 della decisione-quadro, sia la norma attuativa interna della
L. n. 69 del 2005, art. 26, comma 3, richiamata dal successivo
art. 32, non prevedono formalmente, per la richiesta di assenso
alla estensione della consegna, remissione di un nuovo
apposito m.a.e..
La scelta appare senz’altro coerente con la funzione di tale
strumento, che è quella di ottenere l’arresto del soggetto da
parte dello Stato di rifugio, esigenza che evidentemente non
sussiste quando il soggetto sia stato già consegnato e ivi più
non si trovi. Resta peraltro evidente che anche per la richiesta di assenso –
il cui contenuto informativo corrisponde a quello del m.a.e. (v.
artt. 8 e 27, p.4, della decisione-quadro, e L. n. 69 del 2005, art.
32, e art. 26, comma 3) – valgono pienamente, in relazione alla
procedura attiva, i rilievi già fatti, in tema di impugnabilità, per
il m.a.e. attivo.
Anche la richiesta di assenso è invero rivolta all’autorità estera
e ha palese carattere di accessorietà e strumentante rispetto
al provvedimento restrittivo, di cui vuole conseguire, nel
procedimento relativo a reati diversi da quelli oggetto della
precedente consegna del soggetto e commessi
anteriormente a questa, la concreta eseguibilità, attraverso la
rimozione, da parte della detta autorità, del divieto derivante
dal principio di specialità.
Ferma restando l’esperibilità di tutti i rimedi previsti nei confronti
del provvedimento restrittivo, non ci sono spazi per ritenere
l’impugnabilità “interna” della richiesta di assenso in quanto
tale, mancando al riguardo una statuizione espressa di legge
(non prevista in alcun modo dalla decisione-quadro) e non
potendo la richiesta stessa considerarsi un provvedimento
autonomamente incidente sulla libertà personale agli effetti
delle previsioni di cui all’art. 111 Cost., comma 7, e art. 568
c.p.p., comma 2.
Anche in questo caso eventuali vizi dell’atto in esame
potranno essere fatti valere, se e in quanto incidenti sulla
procedura di rilascio dell’assenso, solo nello Stato richiesto, e
secondo le regole, le forme e i tempi previsti net relativo
ordinamento.
4. Il discorso che precede consente di enucleare il seguente
principio di diritto:
“Il mandato di arresto Europeo (m.a.e.) emesso dall’autorità
giudiziaria italiana nella procedura attiva di consegna di cui
alla L. 22 aprile 2005, n. 69, artt. 28, 29 e 30, e il provvedimento
emesso (eventualmente in forma di m.a.e.) dalla stessa
autorità nella procedura di estensione attiva della consegna di
cui agli artt. 32 e 26 della detta legge, non sono impugnabili
nell’ambito dell’ordinamento interno, neanche a sensi dell’art.
111 Cost., comma 7, e art. 568 c.p.p., comma 2; i loro eventuali
vizi potendo essere fatti valere solo nello Stato richiesto, se e in
quanto incidenti sulla procedura di sua pertinenza, e secondo
le regole, le forme e i tempi previsti nel relativo ordinamento”. 5. Dai rilievi esposti deriva l’inammissibilità di tutti i motivi di
ricorso dedotti in relazione al provvedimento con cui si è
formulata la richiesta di assenso, e miranti, attraverso la sua
caducazione, a porre nel nulla lo stesso atto di assenso
dell’autorità estera.
6. Si ritiene tuttavia opportuno, per completezza, esaminare,
fra tali motivi, quelli che, adducendo l’inesistenza, a monte,
dello stesso potere di attivare la procedura attiva di estensione
della consegna, potrebbero, se fondati, suscitare dubbi su
un’eventuale abnormità del relativo provvedimento di avvio
(per un caso di ritenuta abnormità, e conseguente
impugnabilità, di provvedimento reiettivo di richiesta di m.a.e.,
v. Sez. 6, n 21470 del 09/05/2012, Cesano).
6.1. Il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 721 c.p.p., art.
14 della Convenzione Europea di estradizione e L. n. 69 del
2005, art. 28, comma 1, in base all’assunto che, non risultando
prestato il consenso alla celebrazione del processo per i fatti
oggetto del presente procedimento (obiettivamente diversi da
quelli per i quali era stata concessa la consegna, e
pacificamente anteriori alla stessa), era Inibito qualsiasi
esercizio dell’azione penale nei suoi confronti. Questo
inficerebbe in radice l’iniziativa cautelare e la correlata
attivazione della procedura di estensione della consegna
adottate nel caso di specie.
L’assunto, infondato in diritto per quanto illustrato nel paragrafo
3.1. circa la portata “attenuata” del principio di specialità nel
regime del mandato di arresto Europeo, è altresì coperto da
preclusione endoprocessuale, per effetto della citata sentenza
n. 39240 del 23 settembre 2011, Rv. 251366, in cui – sulla scorta
della ricordata giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea
e della conforme necessaria interpretazione del diritto interno
(e non senza un richiamo alla disciplina già posta in tema di
estradizione dall’art. 721 c.p.p.) – si è rilevato che il C., per i
delitti (oggetto del presente procedimento) di cui all’art. 416
bis c.p., e artt. 110 e 629 c.p., D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art.
7, commessi anteriormente alla consegna dello stesso
effettuata dall’autorità spagnola in data 24 marzo 2009 per i
diversi reati di tentato omicidio e detenzione e porto d’arma,
legittimamente è stato sottoposto a procedimento penale,
condannato con sentenza di primo grado del 22 aprile 2010 e
assoggettato a misura cautelare (temporaneamente sospesa). 6.2. Con altro motivo si è dedotto che il provvedimento con cui
è stata sollecitata la consegna suppletiva era precluso dal
fatto che il m.a.e., in esecuzione del quale era
precedentemente avvenuta la consegna all’Italia, era ormai
inefficace, essendo stato il ricorrente definitivamente assolto
dai reati di tentato omicidio e detenzione e porto d’arma, cui
tale consegna si riferiva.
Il motivo è palesemente infondato.
Da un lato, infatti, la L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 31, (secondo il
quale, “il mandato d’arresto Europeo perde efficacia quando il
provvedimento restrittivo sulla base del quale è stato emesso è
stato revocato o annullato ovvero è divenuto inefficace. Il
procuratore generale presso la corte di appello ne dà
immediata comunicazione al Ministro della giustizia ai fini della
conseguente comunicazione allo Stato membro di
esecuzione”), richiamato a sostegno di esso, non viene qui per
nulla in rilievo, posto che si riferisce, all’evidenza, alla situazione
(che solo può riflettersi sulle incombenze dell’Autorità estera) in
cui si verifichi, mentre è in corso l’esecuzione del m.a.e., il venir
meno del titolo che ne è alla base, e non concerne quindi il
caso (di esclusiva pertinenza dell’ordinamento interno) in cui,
espletata regolarmente la procedura di consegna, nello
svolgimento del processo in funzione del quale essa è
avvenuta si pervenga a una pronuncia assolutoria del
consegnato.
Dall’altro, non c’è dubbio che il “legame” fra la consegna
precedente e il diverso procedimento nel quale deve
applicarsi una misura restrittiva, che incontra il limite derivante
dal principio di specialità, per il cui superamento occorre la
richiesta e la concessione di assenso dello Stato di esecuzione
della prima consegna, non richiede affatto la pendenza in
atto del procedimento cui quest’ultima afferiva, ma si basa
semplicemente sul presupposto che il soggetto sia stato
consegnato allo Stato richiedente e non ricorra alcuna delle
condizioni di deroga al principio di specialità previste dalla L. n.
69 del 2005, art. 26, comma 2. Questa disciplina è posta
evidentemente a garanzia dell’interessato, che altrimenti
sarebbe direttamente processabile in vinculis, senza alcun
onere a carico dell’autorità procedente. La difesa, d’altronde,
si è ben guardata dal contestare, ma ha anzi rivendicato,
l’assenza delle menzionate condizioni di deroga, confermando
in tal modo l’operatività del principio di specialità, comportante per sè la necessità e legittimità della procedura
della richiesta di assenso.
L’assunto che la definitiva assoluzione dell’imputato dai reati
per i quali era stato emesso il precedente m.a.e., avendo
esaurito l’efficacia di quest’ultimo, lo avrebbe reso inidoneo a
fondare il legittimo avvio della procedura di consegna
suppletiva, appare del tutto avulso dalla disciplina come sopra
ricostruita e porterebbe alla conseguenza paradossale di
privare l’interessato delle garanzie derivanti dal principio di
specialità, non potendosi certo ritenere che, nella situazione
data, si sarebbe dovuto procedere alla emissione di un vero e
proprio (nuovo e autonomo) m.a.e. attivo, in assenza
dell’essenziale presupposto della presenza del soggetto nello
Stato estero.
7. Resta da esaminare l’impugnabilità del provvedimento
emesso dalla Corte d’appello il 24 gennaio 2012. Esso esprime
nella sostanza il riconoscimento della cessazione della
preesistente causa di sospensione dell’esecuzione della misura
cautelare. Sotto tale profilo, per la diretta incidenza sullo status
libertatis, se ne deve ammettere, come sostenuto
nell’ordinanza di rimessione, la ricorribilità a sensi dell’art. 568
c.p.p., comma 2.
Sennonchè, nei confronti del provvedimento de quo (la cui
emissione non richiedeva certo il previo contraddittorio con
l’interessato), non sono stati dedotti vizi specifici, essendosi in
sostanza affidato l’auspicato esito della sua caducazione
all’accoglimento dei motivi con cui si è censurata l’attivazione
della procedura di consegna da parte della Corte di appello.
L’evidenziata inammissibilità di tali motivi comporta, dunque,
l’inammissibilità del ricorso anche in riferimento al
provvedimento del 24 gennaio 2012.
8. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una
somma a favore della cassa delle ammende nella misura
(ritenuta equa in relazione ai motivi dell’inammissibilità) di Euro
mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro
1000 a favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att.
c.p.p., comma 1 ter.

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