A cura dell’Avv. Salvatore Magra
L’Artefice della legge incise col fuoco della creatività le Leggi supreme e affidò il compito della decifrazione di queste a tre illustri studiosi dell’interpretazione: la Forma, il Potere e la Ragione.
La Forma interpretava, dando importanza al dato esteriore, ridimensionando la necessità di realizzare gli interessi di ampio raggio, collegati alla Legge dell’Artefice, e in questo modo favoriva una catena di montaggio che ledeva le posizioni dei membri della comunità. I consociati si robotizzavano, divenendo simili a macchine. Alcuni uomini diventarono macchine sotto ogni aspetto.
L’Artefice si rese conto della patologia intrinseca all’interpretazione della legge da parte della Forma e affidò il compito della decifrazione degli arcani contenuti delle Leggi al Potere.
Il Potere antepose a tutto il soddisfacimento dei propri interessi e continuò a privilegiare il Formalismo; in esso si era installata in un processo simbiotico anche la Forma. I consociati persero il senso dell’orientamento e non compresero più la natura dell’aggregato sociale, in cui vivevano. Il Potere acquisì le ricchezze e gli uomini restarono a pane e acqua,
L’Artefice intervenne di nuovo e attribuì il compito dell’interpretazione alla Ragione. Questa riuscì a emanciparsi dal Potere e dalla Forma, ma ogni vitalità delle persone venne annichilita. L’inconscio della gente restò imprigionato. Solo l’emisfero sinistro del cervello delle persone continuò a funzionare: non c’era più l’anima.
L’Artefice vagava, distrutto a un a un certo punto gli si presento un misterioso soggetto: il Giurista ignoto, che aveva il dono di esser consapevole di essere solo una piccola luce nel buio. Solo questo interpretò in modo adeguato le norme. La comunità raggiunse livelli di convivenza solidale elevatissimi. E dalla notte nacque il Sole. L’Artefice ritrovò una pietra preziosissima che aveva creduto di aver perso per sempre