Avv. Federica Federici – Dott. Stefano Valentini

L’art. 30 del d.lgs. 276/2003, di attuazione della legge delega n. 30/2003 (c.d. “legge Biagi”) disciplina il fenomeno del distacco di lavoratori tra imprese recitando: 1)“L’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

2)In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.

Il porre uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa, al fine di soddisfare un proprio interesse, significa, primi di tutto, che il datore di lavoro distaccante, pur rimanendo responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore, trasferisce il proprio potere organizzativo e direttivo sul prestatore in capo al distaccatario, ergo pone il lavoratore alle dipendenze e sotto la direzione di un altro datore di lavoro che, pertanto, riceve la prestazione utilizzando la risorsa lavorativa altrui come se fosse propria.

Secondo la giurisprudenza, in ipotesi di distacco del lavoratore presso altro datore di lavoro, mentre il beneficiario delle prestazioni lavorative dispone dei poteri funzionali all’inserimento del lavoratore distaccato nella propria struttura aziendale, permangono tra distaccante e lavoratore i vincoli obbligatori e di potere-soggezione, mantenendo il distaccante, uno su tutti, il potere di licenziare.

Ciò significa che il lavoratore distaccato, pur rimanendo formalmente dipendente dal datore distaccante, risulta, tuttavia, inserito funzionalmente nell’organizzazione distaccataria (legame organico), in quanto interamente organizzato e diretto da quest’ultima; tanto che, secondo la giurisprudenza, il terzo beneficiario del distacco, può stipulare condizioni diverse e più favorevoli con il lavoratore distaccato, talché si viene ad instaurare, accanto all’originario unico rapporto di impiego, un ulteriore rapporto collaterale ad esso collegato, che trae occasione dalle vicende relative al rapporto di distacco e che soggettivamente intercorre tra il terzo e il lavoratore distaccato.

 

I limiti del distacco

Due sono però i limiti giustificanti la liceità del distacco: l’interesse del datore di lavoro distaccante e la temporaneità del distacco.

A questi due limiti deve aggiungersi (in base alle altre disposizioni scaturenti dai primi due commi dell’art. 30 e da altre disposizioni collegate e logicamente connesse e conseguenti), in presenza di particolari situazioni, il consenso del lavoratore distaccato: recita infatti il 3° comma dell’art. 30, che “Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 Km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive”.

 

a)    l’interesse del distaccante

Il primo limite alla stipulazione del distacco è costituito dall’interesse del distaccante. L’interesse in questione dovrà essere inerente l’esercizio dell’attività imprenditoriale propria del distaccante e, pertanto, coincidere con una qualsiasi motivazione tecnica, produttiva, ed organizzativa dello stesso, purché effettivamente esistente, lecita, rilevante e, comunque, sempre distinta dalla finalità direttamente lucrativa che caratterizza invece, la somministrazione professionale di manodopera.

Il distacco deve realizzare, dunque, uno specifico interesse che consenta di qualificarlo come atto organizzativo dell’impresa che lo dispone; solo in presenza di un simile requisito è, infatti, possibile riconoscere nell’operazione concretamente realizzata una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa capace di salvaguardarne la validità, In varie pronunce la Cassazione ha ritenuto il distacco legittimo, a condizione che le prestazioni del lavoratore distaccato siano dirette a realizzare un rilevante interesse del datore di lavoro distaccante, pur non dovendosi trattare necessariamente dell’attività principale dell’impresa, bensì anche di un’attività complementare o persino straordinaria.

L’assenza poi, nella lettera della legge, di una qualificazione dell’interesse in termini strettamente patrimoniali, sembra rendere ammissibile la coincidenza dell’interesse del distaccante anche con un’utilità di natura non economica, bensì morale, solidale, ecc., purché rispondente ad una precisa esigenza dello stesso.

In una sentenza di merito (Trib. Roma 21 novembre 2007) è stato ribadito che l’interesse del distaccante inerente l’esercizio della sua attività imprenditoriale, risulti: “specifico, rilevante, concreto e persistente” (quali ad esempio l’esistenza di un contratto di fornitura di beni o di appalto di servizi, l’esistenza di un collegamento societario, l’esistenza di un vincolo solidaristico, il cui riscontro in concreto è necessario a distinguere l’interesse legittimante il ricorso al distacco dal puro e semplice interesse al conseguimento del corrispettivo della somministrazione di lavoro o da quello di aggirare una specifica normativa posta a tutela dei lavoratori o altrimenti limitativa del ricorso ad essi). Per la sussistenza di un interesse qualificato al distacco, il distaccante dovrà provare la pattuizione di un’attività lavorativa determinata: nell’oggetto, nella collocazione spaziale e, almeno tendenzialmente, nella durata, affidata al lavoratore distaccato.

 

b)    La temporaneità

Il secondo limite è costituito dalla temporaneità del distacco. La giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che la destinazione del lavoratore presso l’azienda distaccataria debba avere una durata predeterminata, più o meno lunga, coincidente con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente svolga la prestazione lavorativa a favore del terzo.

La stessa Cassazione ha affermato che la durata del distacco, ancorché la temporaneità sia caratteristica essenziale di tale istituto, con il quale è incompatibile la definitività dell’applicazione del lavoratore al servizio di un terzo, può essere anche non predeterminata, dovendosi accertarla in relazione all’esistenza nel datore di lavoro distaccante di un interesse al distacco. Il distacco potrà durare finché durerà l’interesse del datore di lavoro allo svolgimento del lavoro da parte del prestatore presso il terzo. Non è quindi la durata limitata del distacco a determinare l’interesse, ma è il perdurare di quest’ultimo a condizionarne la temporaneità (temporaneità che non è necessariamente sinonimo di brevità, anzi la Cassazione prevede che possa coincidere per ipotesi anche con la cessazione del rapporto di lavoro).

 

I vincoli di forma

Nonostante l’assenza di una espressa previsione normativa, in relazione al momento in cui il distacco inizia a produrre effetti, risulta necessario valutare l’opportunità di un sua formalizzazione per iscritto (contratto o documento di distacco). La forma scritta, pur non prevista come requisito di validità del distacco, appare, tuttavia utile non solo a giustificare la presenza del distaccato in azienda, ma altresì a determinare le condizioni e le modalità che regoleranno la svolgimento del rapporto e l’esecuzione della prestazione di lavoro durante il distacco.

 

Il consenso del lavoratore

Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, il consenso del lavoratore al suo distacco presso il distaccatario era ritenuto totalmente irrilevante.

Attualmente l’art. 30, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003, prevede la possibilità che il consenso del lavoratore al distacco sia necessario solo se esso comporti un mutamento di mansioni: il vincolo rappresentato dal consenso del lavoratore, “vale a ratificare l’equivalenza delle mansioni nell’ipotesi in cui, pur in assenza di demansionamento, vi sia una specializzazione e/o una riduzione dell’attività svolta con riguardo al patrimonio professionale del lavoratore”. In tal senso dispone la Circolare Min. Lav. n. 3/2004. Ed è lo stesso Ministero del Lavoro che nel 2005 ha ribadito che il lavoratore può essere distaccato solo con mansioni equivalenti a quelle normalmente svolte precedentemente presso il distaccante e, soprattutto, previo suo consenso.

 

Il distacco parziale

Benché la disciplina di cui all’art. 30 del d.lgs. 276/03 non ne faccia menzione, il problema dell’ammissibilità di un distacco parziale era già stato oggetto di riflessione da parte della prassi ministeriale. Infatti, prima del decreto 276/03, in assenza di un quadro normativo di riferimento e in presenza soltanto di pronunce giurisprudenziali, il Ministero del lavoro, con una propria nota: la n. 5/25814/70/VA del 8 marzo 2001, descriveva le condizioni di legittimità del distacco. Fra queste condizioni, recuperate in buona parte dalla giurisprudenza maturata sull’argomento, troviamo anche l’ammissibilità del distacco parziale. La nota ministeriale afferma, in tal senso, che “il comando o distacco disposto dal datore di lavoro presso altro soggetto destinatario delle prestazioni lavorative è compatibile con il carattere parziale della prestazione presso il

destinatario”. Da tale affermazione, invero condivisibile, discende che, almeno a livello di prassi ministeriale, risulta lecito anche un distacco a tempo parziale, il quale permetta al distaccato di continuale a prestare il suo lavoro, mantenendo mansioni sostanziali ed incarichi formali, per il proprio datore distaccante ed anche in momenti diversi, per il datore distaccatario, ovvero per il datore presso cui è stato distaccato. Deve precisarsi che non si tratta in alcun modo di un contratto di lavoro a tempo parziale, ovvero part-time, bensì della parzialità del distacco, cioè dell’utilizzazione della prestazione di lavoro da parte del distaccatario in modo parziale e non pieno.

Ne consegue che il lavoratore continuerà ad essere tenuto a fornire e per ciò retribuito, una prestazione di lavoro a tempo pieno ma da svolgersi presso due datori di lavoro diversi.

 

L’obbligo di sicurezza e salute

In base ai principi generali e per unanime interpretazione, il datore di lavoro presso il quale il lavoratore viene temporaneamente dislocato è il principale destinatario degli obblighi di cui all’art. 2087 cod. civ. Lo stesso d. lgs. n. 81/200 dispone che nel distacco “tutti gli obblighi di prevenzione e protezione” (a partire dalla specifica valutazione dei suoi rischi lavorativi e dall’individuazione delle misure che lo riguardano) “sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali viene distaccato”. Tuttavia si deve ritenere che egli resti responsabile, quanto meno a titolo di culpa in eligendo, qualora il destinatario della prestazione non sia fornito dei necessari requisiti tecnico-organizzativi di sicurezza e salute sul lavoro.

 

Il trattamento economico-normativo ed i contributi previdenziali ed assistenziali

In forza dell’art. 30, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, in caso di distacco, il datore di lavoro distaccante rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore distaccato, anche se  si ritiene ammesso il rimborso da parte del distaccatario. In merito si sono pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 1751 del 13 aprile 1989, affermando la non rilevanza della corresponsione del rimborso al fine della qualificazione del distacco come non genuino. Giova ricordare tuttavia che il rimborso non potrà però superare quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante, come specificato anche dalla già citata Circolare ministeriale n. 3/2004.

Anche l’obbligo contributivo, così come l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, restano a carico del datore di lavoro distaccante, mentre i premi INAIL andranno calcolati sulla base dei premi e della tariffa applicati al distaccatario e non dal datore di lavoro distaccante.

 

Le modifiche di cui al d.lgs. 251/04, di correzione del D.lgs. 276/03

La disciplina del distacco si arricchisce di un nuovo comma, il 4-bis, che stabilisce che quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato possa chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo  cod. proc. civ., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.

 

Riassumendo quindi, affinché un rapporto di distacco sia valido e lecito ai sensi di legge secondo le previsioni specifiche di questo istituto (art. 30 D.Lgs. 276/03), è necessario dal punto di vista amministrativo che sussista un contratto di distacco (totale o parziale) dal quale risultino in modo esplicito le seguenti condizioni:

  • un      interesse del datore di      lavoro, distaccante, a che il lavoratore presti la propria      opera presso il soggetto distaccatario che non sia quello meramente      riferibile alla prestazione stessa;
  • la      temporaneità, intesa non come brevità, ma come ” non      definitività” della prestazione di lavoro presso il distaccatario,
  • la      titolarità in capo al distaccante del rapporto di lavoro, che      permane quale obbligo retributivo e contributivo, benché il potere      direttivo, di controllo e disciplinare passi al distaccatario.

Nel caso il distacco comporti un cambiamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore; se avviene ad una distanza superiore a 50 km può avvenire solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Il ricorso all’istituto del distacco deve essere inoltre obbligatoriamente segnalato dal distaccante in via telematica al centro circoscrizionale per l’impiego, entro 5 gg dalla trasformazione del rapporto di lavoro, compilando il quadro/sezione “Trasformazione” del modello “Unificato Lav”, entro i 5 giorni successivi alla trasformazione del rapporto di lavoro. Con il D.lgs. 251/04, di correzione del D.lgs. 276/03, è stato introdotto il comma 4bis, che recita: “Quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.”

 

Nella prassi il distacco viene usato normalmente non solo in ambito nazionale, ma anche per le missioni all’estero di proprio personale dipendente (multinazionali, gruppi industriali, holding, società controllate o partecipate, ecc.):  in tal caso va distinto dalla trasferta e dal trasferimento. Dalla trasferta perché pur realizzando entrambi un mutamento temporaneo del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, manca nella trasferta la delega ad altro datore di lavoro – ancorché temporanea – del potere direttivo. Elemento che caratterizza, invece, il distacco. Nel trasferimento, invece, il mutamento si caratterizza per la sua definitività. Il distacco si configura, pertanto, quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

Per distaccare in ambito comunitario un cittadino italiano, ovvero un cittadino comunitario assunto e retribuito da una Società italiana non è richiesta, alcuna specifica autorizzazione amministrativa. In ambito comunitario vige infatti il principio della libera circolazione (Direttiva 2004/38/Ce e Reg. 492/2011 del 5 aprile 2011). L’unico presupposto è il possesso della cittadinanza italiana ovvero, se a dover essere trasferito è un cittadino comunitario, assunto in Italia, il possesso della cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea. I regolamenti comunitari assicurano, infatti, la parità di trattamento in ambito comunitario ai lavoratori e alle loro famiglie. Una volta effettuata regolarmente l’assunzione non vi sono nei confronti dei cittadini di tali paesi limitazioni al diritto di circolazione e, quindi, all’invio all’estero in missione.

Pertanto, i cittadini comunitari hanno il diritto di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri mediante semplice iscrizione nei registri anagrafici. Per il cittadino italiano (o cittadino comunitario assunto in Italia) che viene distaccato all’estero in ambito comunitario la procedura di iscrizione negli uffici anagrafici e l’eventuale rilascio dei documenti di identità validi quale titolo di libero soggiorno e circolazione nel Paese comunitario va accertata di volta in volta con l’autorità di pubblica sicurezza del luogo di destinazione. Al lavoratore distaccato in uno Stato membro della Comunità europea continuerà ad applicarsi il sistema previdenziale e contributivo italiano per tutta la durata del distacco (deroga al c.d. «principio di territorialità). Quando un lavoratore, assunto in Italia, venga distaccato all’estero in ambito comunitario egli ha la possibilità, a determinate condizioni, di mantenere il regime previdenziale del Paese di origine/residenza, derogando al principio della territorialità per: 24 mesi per il primo periodo di distacco o per un ulteriore periodo che di solito arriva a massimo cinque anni comprensivi degli altri due, su accordo degli Stati membri.

Anche in ambito extracomunitario vige il principio della territorialità, principio in base al quale i contributi previdenziali devono essere versati nel luogo di esecuzione della prestazione lavorativa. È però possibile derogare al principio della territorialità nelle ipotesi di distacco in forza di specifici accordi internazionali che consentono al cittadino italiano di mantenere, durante il distacco, il regime previdenziale italiano, generalmente più favorevole rispetto a quello di altri paesi. I datori di lavoro italiani operanti in Paesi extracomunitari, indipendentemente che questi siano legati o meno con l’Italia da Accordi di sicurezza sociale, ogni qualvolta intendano inviare all’estero, in un paese extracomunitario, un proprio dipendente, devono richiedere apposita autorizzazione preventiva al Ministero del lavoro, Direzione generale per l’impiego su apposita modulistica diffusa dal Ministero (legge n. 398/1987 e D.M. 16 agosto 1988).

Riferimenti normativi

D. lgs. 251/04

D. lgs. 276/03

D. lgs. 72/00

Legge n. 30/2003 (Legge Biagi)

Legge 3 ottobre 1987 n. 398

Legge 21 novembre 2000 n. 342

Circolare Min. Lav. n. 3/2004

Circolare 9//2009  Lavoro occasionale di tipo accessorio.

Legge 9 aprile 2009, n. 33 “Conversione del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 49 della Gazzetta Ufficiale n. 85 dell’11 aprile 2009, in vigore dal 12 aprile 2009. Modifiche art. 70, decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Decisione 10 gennaio 1996 n. 96/71/CE

Direttiva CEE 29 aprile 2004 n. 2004/38/CE

Regolamento della comunità Europea 5 aprile 2011 n. 492/2011

Regolamento della comunità Europea 29 aprile 2004 n. 883/2004

Decreto ministeriale 16 agosto 1988

Decreto legge 31 luglio 1987 n. 317

Decreto Presidente della Repubblica 18 aprile 1994 n. 346

Decreto Presidente della Repubblica 31 luglio 1980 n. 618

Decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917

 

Riferimenti giurisprudenziali

Cass. Civ. sez. lav. n. 9694 del 23 aprile 2009

Cass. Civ. sez. lav. n.16165 del 18 agosto 2004

Cass. Civ. sez. lav. n. 7743 del 7 giugno 2000

SS.UU. Cassazione n. 1751 del 13 aprile 1989

Trib. Roma 21 novembre 2007

 

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