Danno esistenziale da inadempimento nella compravendita di un bene immobile
Tribunale di Tivoli, sez. civile, sentenza 14/03/2012 n. 258
a cura dell’Avv. Teresa Giacovelli
Massima
Nella compravendita di un bene immobile è risarcibile il danno esistenziale.
Sintesi del caso
Nella vicenda in esame si analizza la compravendita di un bene immobile che, al momento della stipula del contratto preliminare non era commerciabile, in quanto gravato da abusi edilizi. Tuttavia, il promissario alienante in qualità di attore nel presente giudizio, aveva posto rimedio a tale situazione ottenendo i necessari permessi in sanatoria ma, stipulato il preliminare di vendita ed immesso nel possesso del bene il promissario acquirente questi, senza autorizzazioni e permessi, realizzava nuove opere sul manufatto, con la conseguenza che la situazione di non commerciabilità del bene era rimasta inalterata. Nelle more della stipula del definitivo, il promissario acquirente sollevava contestazioni circa la consistenza dell’immobile ed all’ esistenza di una tettoia abusiva destinata a ricovero di due automobili. A fronte di tali circostanze, quest’ultimo pretendeva una riduzione sproporzionata del prezzo pattuito e rifiutava di concludere il definitivo malgrado la disponibilità del promissario promittente di regolarizzare la situazione mediante demolizione della tettoia , ed a decurtare il prezzo pari al valore agricolo dell’area. In seguito alla resistenza del promissario acquirente convenuto, il promittente alienante agiva in giudizio chiedendo ed ottenendo la risoluzione del contratto preliminare per colpevole inadempimento del convenuto.
Questio iuris
Il principio di diritto che si ricava nel caso di specie assume rilievo in ordine al riconoscimento dei danni non patrimoniale da inadempimento contrattuale secondo il combinato disposto degli artt.1218 e 2059 cc., nonché sull’ammissibilità del pregiudizio de quo anche nel caso di compravendita di un bene immobile. Precisamente il giudice di Tivoli evidenzia l’irragionevolezza del rifiuto, da parte del promissario acquirente, della proposta transattiva avanzata dall’attore e la rilevanza, ai fini decisori, della realizzazione abusiva di opere da parte del promissario acquirente. Circostanze che giustificano la condanna del convenuto per inadempimento dell’obbligo di concludere il definitivo e risoluzione del contratto per sua colpa e condanna al risarcimento danni e rimborso per l’occupazione abusiva. Ne conseguono riflessioni sia in merito alle vicende relative alla sequenza procedimentale del preliminare-definitivo e sia riguardo la sussistenza di un danno non patrimoniale esistenziale cagionato al promissario promittente a causa della impossibilità, per mancata stipula del definitivo, di realizzare il proprio progetto di vita abitativa. La vicenda si inserisce nel solco delle principali novità giurisprudenziali e dottrinali inerenti la categoria del danno esistenziale specie dopo l’intervento delle Sezioni Unite 2008. In particolare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 1218 c.c. amplia il novero dei danni non patrimoniali risarcibili anche oltre i confini dell’illecito aquiliano di cui all’art. 2043 cc.
Normativa di riferimento
Art.1174 c.c. ‘carattere patrimoniale della prestazione’
Art. 1218 c.c ‘responsabilità del debitore’
Art. 1321 c.c. ‘nozione del contratto’
Art. 1351 c.c.’contratto preliminare’
Art.1453 c.c ‘ risoluzione de contratto per inadempimento’.
Art. 1337c.c.’ trattative e responsabilità precontrattuale’
Art. 2932 c.c. ‘esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto’
Nota esplicativa
La vicenda in commento si presta a notevoli spunti di riflessione giuridica a seconda del campo di indagine prescelto. Da un lato, a fronte della compravendita di un bene immobile previa stipula del preliminare ex art. 1351 c.c. è possibile analizzare il rapporto con il definitivo specie nel caso di mancata stipula di quest’ultimo e dall’altro, in tema di risarcimento danni , rileva l’ evoluzione maturata in seno alla categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc.
Quanto al primo aspetto si evidenzia che nella prassi è sovente l’ipotesi in cui si proceda alla tutela del promissario acquirente a fronte della mancata stipulazione del definitivo mentre l’ipotesi opposta, relativa alla tutela del promissario promittente, è meno frequente. Per tale ragione la sentenza in esame è peculiare in quanto oggetto di censura è un comportamento colpevole e imputabile all’acquirente-convenuto. Come noto il ricorso alla sequenza procedimentale del preliminare – definitivo tipica delle vendite immobiliari è preferita al fine di garantire la conclusione del definitivo nel modo più equo e meritevole di tutela per entrambi i contraenti. Ne consegue che in ogni dinamica contrattuale è necessario che sussista un bilanciamento di interessi e una solidarietà reciproca delle parti in ossequio all’art. 2 Cost. Merita rilievo l’evoluzione giurisprudenziale sul ruolo della clausola generale della buona fede che impone che ciascuna delle parti , in ogni fase del rapporto, debba agire in modo da preservare e tutelare gli interessi dell’altra. Non vi è dubbio che la collaborazione reciproca dei contraenti si evince dall’art. 1175 cc rubricato ‘comportamento secondo correttezza’e non vi è motivo per escludere tale condotta anche nella fase delle trattative e responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. Inoltre l’importanza che riveste la definitiva stipulazione del contratto definitivo ,quale esito conclusivo della sequenza procedimentale, si ricava dal ricorso all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto ex art. 2932 c.c. Il ricorso ad una norma ad hoc che consenta di ottenere per sentenza gli stessi effetti del contratto non concluso giustifica la meritevolezza dell’interesse sotteso alla stipulazione dello stesso da parte sia del promittente acquirente che del promissario. Ne consegue che qualora sia l’alienante ,come nella specie, a subire il pregiudizio derivante dalla mancata stipulazione del definitivo allora è logico che oggetto di ristoro è un danno non patrimoniale, di natura esistenziale consistente nel non poter realizzare il proprio progetto di vita abitativa. A tal proposito si correla l’altro profilo di indagine della vicenda in punto di pregiudizi risarcibili. Nella specie, il danno non patrimoniale cagionato all’attore non è un danno biologico in senso stretto, né un danno morale ma un danno legato agli aspetti esistenziali dell’inadempimento contrattuale. Ed invero , il lungo percorso giurisprudenziale che ha portato alla unificazione dei danni non patrimoniali, non ha eliminato la categoria del danno esistenziale. Solo attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme sul danno si giustifica l’ingresso dei pregiudizi non patrimoniali ex art. 2059 c.c. nell’inadempimento contrattuale ex art. 1218c.c. L’evoluzione giurisprudenziale trae spunto dalla nuova lettura delle fonti dell’obbligazione di cui all’art. 1173 c.c. e dalla centralità che ha assunto la tutela integrale della persona umana a fronte di pregiudizi oltre che economici anche di tipo esistenziale. Ed è chiaro che interessi di tal genere possono verificarsi anche in sede di inadempimento contrattuale come si evince dal disposto dell’art. 1174 c.c.laddove richiama interessi anche non patrimoniali del creditore. In definitiva, anche dopo l’unificazione della categoria del danno non patrimoniale ex ar. 2059 c.c.ad opera delle Sezioni Unite del 2008, il danno esistenziale non è eliminato ma piuttosto è un tipo di pregiudizio rimesso ad una valutazione equitativa del giudice in punto di liquidazione dei danni di cui all’art. 1227 c.c. In definitiva, anche nella dinamica di un rapporto contrattuale, possono emergere pregiudizi diversi da quelli strettamente economici. In presenza della stipula di un preliminare di vendita che culmini nella stipulazione del contratto definitivo, il mancato raggiungimento di suddetto obiettivo può ledere non solo interessi patrimoniali ma anche esigenze e propositi di tipo personale.