Al teste non suggerir…

Nota a sentenza a cura di Aurora di Mattea

Cass. pen. Sez. III, Pres. G. De Maio, Rel. A.M. Lombardi.

    Sentenza n. 7373 udienza del 18 gennaio 2012 

 

 

Con la sentenza pronunciata in data 18 gennaio 2012, la Suprema Corte consolida l’indirizzo giurisprudenziale che estende il divieto di porre domande suggestive al giudice ed all’ausiliario che conduce l’esame del teste minore, vittima di abuso sessuale. Nel ribadire il principio che il giudice in sede di esame testimoniale deve garantire la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni, i Giudici di Piazza Cavour hanno sottolineato che il divieto di formulare domande suggestive vada esteso a tutti i soggetti che partecipano all’esame testimoniale, operando per tutti il divieto di porre domande che incidono sulla sincerità delle risposte così come previsto dall’art. 499 comma 2 c.p.p.  Seguendo tale scia argomentativa si addiviene alla soluzione che tali accorgimenti e limiti debbano essere osservati in sede di esame diretto di un teste minore, sia in sede dibattimentale sia in sede di incidente probatorio. La peculiarità della sfera relazionale e psicologica che contraddistingue un minore soprattutto se in età prepubere, richiede un approccio all’ascolto del minore, improntato alla valutazione dell’ambiente familiare, sociale, ed affettivo, che consente di comprendere la capacità del minore non solo a rapportarsi con la realtà, ma anche a rielaborare il suo vissuto. Lungi dal tacciare l’esame testimoniale di inutilizzabilità, non essendovi alcuna inosservanza dei divieti posti dal codice di rito in materia di ammissibilità della prova, l’esame come formatosi non ha contribuito alla ricostruzione della verità processuale ma annebbiato e confuso l’orizzonte cognitivo del giudice, e quindi è da ritenere  non attendibile.

Dalla lettura della sentenza emerge con evidenza come il restringimento del potere di formulare domande suggestive in materia di esame  sia corollario dell’altro principio, il divieto di formulare domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte. Ed invero nel ricorso presentato dal difensore viene censurata la testimonianza del minore in virtù dell’inosservanza dell’art. 499 comma 2.  L’assorbimento di una regola nell’altra tende a creare una pericolosa equiparazione tra ciò che risponde ai termini di una domanda nociva con i caratteri ed i tratti distintivi di una domanda suggestiva. La sinteticità con cui si affronta e si declina il principio esposto in massima lascia insoluto un profilo della quaestio iuris, la estensione del divieto di formulare domande suggestive al di fuori dell’ipotesi di esame testimoniale del minore, e se di seguito la preclusione alla suggestività in uno con la nocività dell’escussione possa comportare un irrigidimento dell’esame incrociato e con essa un’indebita limitazione del principio del contraddittorio della formazione della prova. Tale paventata conclusione in realtà scaturisce dalla lettura dello spazio applicativo  dell’art. 499 co 3 c.p.p. e dalla ratio giustificativa. Secondo la lettera del comma 3 dell’articolo in esame sono vietate le domande che tendono a suggerire la risposta al teste, se l’esame è condotto dalla parte che ha citato il teste e di chi ha un interesse comune alla sua audizione. Si tratta di una limitazione che è posta in relazione con la posizione processuale di chi conduce l’esame, in particolare chi ha chiesto l’esame e  di chi ha interesse ad acquisirne la testimonianza. Diversa è la posizione ed il ruolo di chi si trova nella veste di contro esaminatore e così del giudice che solo in alcuni casi previsti dalla legge conduce l’esame. Invero in quest’ultimo caso il termine esame non si riveste dello stesso significato che assume tale accezione, in seno all’art. 499 comma tre, ovvero come concepito nella rubrica di cui all’art. 498 “Esame e controesame dei testimoni”. La dualità semantica propria del termine in relazione al contesto normativo in cui viene inserito, deve a sua volta condurre ad una attenta considerazione di quanto è esposto nel corpo motivazionale della sentenza, ed in particolare laddove sottolinea che tale divieto opera a carico di tutti coloro che intervengono nell’esame testimoniale, collegando a sua volta tale limite con quello posto dal comma due del medesimo articolo, la nocività dell’esame testimoniale. Nocivo non rima sempre con suggestivo e viceversa, e la difficoltà di aprire sul piano pratico ad una tematica che potrebbe anche in sede di controesame creare qualche difficoltà non è da escludere in toto. Prima di giungere ad una conclusione lapidaria è opportuno condurre l’attento lettore per mano e sottoporre alla sua attenzione il caso pratico, da cui discende la pronuncia, e per valutare meglio gli spunti di riflessione sommariamente posti sopra.

IL CASO CONCRETO.

La Corte d’Appello di Venezia, ribaltando la soluzione decisionale raggiunta dal giudice di primo grado, riconosce la penale responsabilità di Caio per il reato di cui agli artt. 81 cpv e 609 quater c.p., commesso ai danni della figlia minore. Come si evince dal racconto che la minore fa alla madre in un primo momento, il di lei padre dopo la  separazione dalla madre ha mostrato un atteggiamento nei confronti della bambina invasivo, tanto che quest’ultima non voleva andare a dormire nella casa del padre. Seguita da una psicologa, la bambina racconta che il padre le dormiva accanto e le chiedeva di fare dei giochi strani nel letto. Dopo tale racconto, la madre assistita dalla psicologa procede alla denuncia, e nel corso delle indagini preliminari viene sentita in sede di incidente probatorio con l’assistenza della psicologa a cui aveva raccontato per prima i fatti in denuncia. Ella confermava che il padre la tenesse legata al letto, che le toccava le parti intime. La Corte d’Appello, esaminata la consulenza del Pm, che esprimeva apprezzamento positivo per l’operato della psicologa che aveva seguito la minore, e riconosciuta la capacità di testimoniare della minore ha ritenuto attendibile la escussione testimoniale, preso atto che il divieto di cui all’art. 499 comma 3 è previsto solo per le parti del processo e non si estende al giudice ed al suo ausiliario. Con il ricorso presentato dalla difesa di Caio, viene denunciata la violazione ed errata applicazione dell’art. 499 commi 2 e 3 c.p.p., vizi di motivazione ed il travisamento delle emergenze processuali. Diverse  domande si configurano come nocive, vietate dal comma 2 dell’art. 499 c.p.p., e le relative risposte si definiscono inutilizzabili. Nel riportare diversi passaggi dell’escussione, si evidenzia la carica suggestiva di diversi quesiti, che trovano omologa risposta della minore, la quale, prima di rispondere cerca lo sguardo della dott.ssa per ottenere l’assenso a quanto riferiva.

QUAESTIO IURIS

Centro nevralgico del modello di formazione della prova introdotto  dal legislatore del 1988 nel codice di rito è l’escussione testimoniale, che diviene nel processo penale massima espressione del principio di oralità, ed in via implicita anche di concentrazione ed immediatezza. Il fatto esce fuori dalle risultanze investigative e diventa materia viva, che attraverso le propalazioni del teste prende vita e si forma all’interno del processo. A forgiare la prova secondo la sapiente arte della maieutica, la pubblica accusa e la difesa  che si alternano e concorrono, ciascuno dalla propria prospettiva ricostruttiva alla formazione della prova, che  svela, dalla viva voce dei testimoni, il contesto, le circostanze gli aspetti più reconditi ma assai rilevanti che un mero verbale di sommarie informazioni per natura non può certamente contenere. Invero il termine escussione deriva dal latino exaequatio, e tradotto, assume il significato di “scavare dentro”. Il termine nel nostro vocabolario non si allontana dall’originaria veste semantica, essendo l’escussione una ricerca che l’esaminatore conduce sull’esaminato con la formulazione di quesiti che consentano di scavare nella memoria dell’esaminando, facendo riaffiorare la verità dei fatti. La cross-examination, così come definita dagli anglosassoni, è arteria centrale del processo che consente di far transitare nel dibattimento una serie di informazioni e dichiarazioni che sono note solo al pm ed alla difesa. L’esame incrociato può garantire una ricostruzione valida e pienamente fruibile dal giudice solo se vengono rispettate le regole di conduzione che vengono disciplinate dall’art. 499 del codice di rito, e dagli articoli 194 e ss sui contenuti e limiti della testimonianza. Facendo una breve disamina sulle coordinate normative che devono essere osservate, si evidenzia come nel tentativo di impedire una narrazione libera del teste, chi conduce l’esame ed il controesame è chiamato a formulare domande su fatti specifici, in altri termini domande specifiche settoriali, che diano un margine di risposta delimitato, escludendo qualunque divagazione sulle opinioni comuni e sulle voci correnti. Non si esclude, comunque, la possibilità di porre domande aperte, che consentano di inquadrare le vicende nel contesto in cui si sono svolte, in modo da modulare l’ampio spazio narrativo concesso al teste con il quadro probatorio che l’esaminatore intende portare avanti. Con riguardo al 2° comma, è posto il divieto di porre quesiti che possono nuocere alla sincerità delle risposte. Come sostenuto, in dottrina, è nociva la domanda che possa turbare la libertà psichica del soggetto, che manipoli il ricordo ed il narrato del teste, tale da portarlo a mentire o a dichiarare il falso. La genericità della formula normativa ha messo in difficoltà gli addetti i lavori, lasciando loro il delicato compito di comprendere quanto una domanda possa incidere sull’integrità psichica della persona. All’interno di tale categoria rientrano le domande maliziose capziose, tendenziose e quelle che cercano di innervosire il teste. Dubbia è la sussumibilità delle domande implicative, che dando per scontato un fatto, chiedono oltre che la conferma di questo anche l’ulteriore risposta ad esso collegata. In effetti tale formula interrogativa può essere ammessa in sede di controesame, in quanto consente di vagliare l’attendibilità e la genuinità della sua dichiarazione. Di diversa natura le domande ambigue o equivoche, che inducono in errore l’esaminato, in maniera inconsapevole. Il secondo divieto previsto dal medesimo articolo è l’art. 499 c.p.p. è rivolto alla parte che ha chiesto di assumere la prova testimoniale di una persona, o a chi ha interesse alla sua audizione. La circoscrizione del divieto sta nella primigenia esigenza di evitare che la parte interessata ad acquisire il diario narrativo di quel teste finisca per condurre un interrogatorio, poco limpido, e che devi la spontaneità della sua versione con una domanda dotate di una forte carica suggestiva, che potenzialmente incida sulla risposta. Diversa è invece la posizione assunta da chi si trova nella veste di contro esaminatore, che è chiamato a saggiare la credibilità del teste, e di fronte a domande suggestive e a trabocchetto o implicative il teste non edotto sa riconoscere con facilità l’inganno contenuto nella domanda. La rilevanza che in questa fase della cross examination assume la natura suggestiva dei quesiti, sottolinea ancora una volta la risorsa cognitiva nascosta nell’esame testimoniale. La capacità di trarre da un esame articolato, approfondito e serrato dei risvolti  insoliti, che chiariscono all’organo giudicante gli strumenti per verificare l’attendibilità delle fonti narrative, la relazione tra le diverse propalazioni dichiarate da gli altri testi e l’imputato, è segnale evidente della ricchezza insita nei meccanismi del modello processuale di stampo accusatorio.

La produttività narrativa può essere compromessa, però, come spesso capita, dal c.d teste ostile, che recalcitrante alle risposte, spesso si trincera, dietro un “ non ricordo” “non lo so”. In tale ipotesi, si è tentati dal dire che in sede di esame la preclusione alla proposizione di domande suggestive dovrebbe essere derogata, Questa soluzione è accolta con tiepido assenso tra le più autorevoli voci della dottrina che trovano nella contestazione di cui all’art. 500 comma 3 c.p.p., un valido passepartout per passare il guado senza troppe complicazioni di rito. Fatto salvo il rispetto del divieto, è comunque consentito in sede di esame la formulazione di una domanda alternativa, che pone dinanzi all’escusso la segnalazione di due diverse ed alternative ricostruzione “era bianco o rosso?”, “ era buio o vi era ancora luce?”. Sull’altro versante,  ritornando in sede di controesame, si è discusso sul potere del Presidente del Collegio o del giudice monocratico di escludere le domande suggestive. Premesso che il potere di esclusione debba essere valutato in relazione al caso concreto, e in particolare alla modalità di conduzione dell’esame ad opera delle parti processuali, è opportuno ribadire, che la domanda suggestiva se riflette gli estremi di un quesito nocivo, che possa ingenerare nell’esaminando una compressione della propria integrità psichica, non vi è dubbio, che non si può obiettare a tale esclusione. Diverso invece è il caso in cui non si riscontra alcuna anomalia o segno di nocumento nel quesito così come posto. In tale caso, la giurisprudenza che positivamente ha ammesso  il potere di esclusione dell’organo giudicante,  ha ravvisato la radice normativa, atta a giustificare l’intromissione del giudice nel corso dell’esame incrociato, nel comma 6 del presente articolo, che così recita:” Durante l’esame il presidente, anche d’ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame, la correttezza delle contestazioni, ordinando se occorre, l’esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni.” Pertanto l’esclusione della domanda è ammessa nella misura in cui la sua formulazione avrebbe inciso sulla genuinità delle risposte, sulla pertinenza rispetto ai fatti di causa, e sulla lealtà nella conduzione dell’esame. Altra parte della giurisprudenza ha riconosciuto nell’eventuale esclusione della domanda una nullità ai sensi dell’art. 180, che deve essere dedotta entro il termine dell’art. 182 c.p.p..

Connesso a tale profilo è l’intervento di una parte processuale nel corso dell’esame o controesame condotto dalla controparte per sollevare delle eccezioni sulla violazione delle regole di cui all’art. 499 c.p.p.

La segnalazione di una illegittimità nella conduzione dell’esame è espressione del potere di opposizione riconosciuto   ex adverso a ciascuna parte. Diversamente dal potere di eccezione, quello di opposizione si esercita solo con riferimento alla prova orale, quando questa è in itinere. L’eventuale opposizione ex adverso fa sorgere in capo al giudice il potere di risolvere la questione con immediatezza e senza formalità. Invero il provvedimento che il presidente del collegio o il giudice monocratico pronuncia ai sensi dell’art. 504 non è soggetto a gravame, nonostante spesso produca un riverbero non poco incisivo sul diritto alla prova. Si pone il problema di comprendere come debba essere valutato l’intervento del presidente e come a sua volta la parte che si sente esautorata dal suo diritto alla prova, possa in sede di gravame sollevare la mancata assunzione di una prova decisiva, in caso di censura su una domanda posta, ovvero sostenere l’inutilizzabilità delle dichiarazioni, se l’eventuale opposizione sollevato non ha trovato l’accoglimento dell’organo giudicante. La violazione delle regole per l’esame previste dagli articoli 498 e 499 c.p.p., secondo un risalente indirizzo giurisprudenziale, determina l’inutilizzabilità della testimonianza o di quella parte della testimonianza, che non viene assunta secondo le regole sopraindicate, in ossequio al principio posto dall’art. 191 c.p.p., che prevede l’inutilizzabilità di prove acquisite in violazione di uno specifico divieto. Un recente indirizzo giurisprudenziale ha però ribadito che l’eventuale violazione delle norme previste per la conduzione dell’esame incrociato non dà luogo all’inutilizzabilità della testimonianza, non trattandosi di assunzione della prova avvenuta in violazione dei divieti di legge. D’altra parte non può parlarsi di nullità, in ragione al principio di tassatività.

Il teste vulnerabile

Presa una familiarità con le regole previste dall’art. 499 c.p.p., è opportuno tracciare un quadro analitico sulla disciplina normativa vigente in materia esame testimoniale di teste vulnerabile. Principiando dalla nozione stessa di teste vulnerabile, si fa richiamo alla peculiare categoria di quei soggetti, che vittime di reati, di una certa gravità e soprattutto tali da provocare un notevole impatto fisico e psichico in chi li ha subiti, non riescono ad affrontare il processo ed i suoi ingranaggi con facilità. Il ricordo di fatti che li hanno visti spiacevolmente protagonisti, è una ferita aperta, che difficilmente si rimarginerà, se non sono supportati da un sostegno psicologico ed affettivo. Teste vulnerabile per eccellenza è il minore,  costretto molto spesso a fare presto conoscenza di esperienze negative, che spesso gli impediscono di raggiungere la maggiore età con serenità ed equilibrio. Nel nostro codice la figura del teste vulnerabile, non è concepita tanto come una categoria a sé, che per sua natura merita un trattamento peculiare, ma è approntato un meccanismo di audizione che consente alla vittima di collaborare con gli organi giudicanti ma al contempo di uscire immediatamente dagli ingranaggi del processo. l’incidente probatorio è una sorta di anteprima del processo penale, che in ragione di particolari casi, consente di anticipare l’assunzione della prova, testimoniale e non, in un momento ancora prematuro per la conclusione delle indagini, mantenendo intatte le garanzie del contraddittorio nella formazione della prova.

L’art.392 co 1 disciplina le varie ipotesi in cui è possibile  adottare il meccanismo dell’incidente probatorio, su richiesta del PM e dell’indagato. In particolare il legislatore del 1988 ha consentito di anticipare l’escussione testimoniale nella fase delle indagini preliminari con tutte le garanzie del contraddittorio, per l’audizione di persone con gravi impedimenti o esposte a gravi minacce. Tralasciando per adesso le altre ipotesi in cui è ammesso l’incidente probatorio, e concentrandoci sulla figura del teste vulnerabile, è da aggiungere che  il comma 1 bis che ammette l’audizione del teste minore di anni 16, in ogni caso con riferimento ai reati di natura sessuale, quali la violenza la pedopornografia la prostituzione minorile, è stato recentemente modificato con la novella del 2009 che oltre ad indicare altre fattispecie di reato quali l’art. 572 e l’art. 612 bis, ha previsto l’estensione dell’audizione anche nell’ipotesi di testi di maggiore età, anche al di fuori delle ipotesi elencate nel comma 1.

Con l’ordinanza di accoglimento della richiesta di incidente probatorio, il giudice deve indicare altresì l’oggetto della prova, le persone interessate all’audizione e la data dell’udienza. Con il comma 5 bis il legislatore ha previsto delle modalità particolari di assunzione della prova quando siano interessate persone minorenni e per esigenza di tutela alla persona, è necessario procedere all’esame con particolari modalità, anche consentendo di svolgere la prova in luogo diverso dal tribunale. Secondo giurisprudenza, non risalente, il giudice dell’incidente probatorio ha il potere di valutare discrezionalmente se sussistano le condizioni per l’adozione della particolare modalità di espletamento dell’esame protetto, in ragione dell’esigenze del minore. Tra l’altro il codice non impone l’audizione del minore con l’obbligatoria assistenza di un familiare o di un esperto di psicologia infantile, atteso che quanto previsto dall’art. 498 comma 4 è di natura facoltativa.  Sulla scorta di tale interpretazione, è stato ribadito che in sede di esame di minore di età il giudice può condurre direttamente l’assunzione della prova testimoniale. Quest’ultimo è chiamato a veicolare le domande di esame e di controesame che provengono da ciascuna delle parti, e rivolgere al minore. Pertanto la presenza di uno psicologo è di mero controllo e filtraggio delle domande da porre e soprattutto di sostegno psicologico.

Con riguardo alle modalità di conduzione dell’esame del minore, l’orientamento più rigoroso che ha trovato conferma nella sentenza in commento, sottolinea il divieto non solo di porre domande nocive che possono incidere sull’integrità psichica del minore. Invero il legislatore, non ha introdotto una disciplina peculiare con riferimento al teste minore di età, ma ha previsto delle regole valevoli sia per il teste maggiore sia minore di età. La giurisprudenza nel tentativo di salvaguardare la genuinità del racconto e l’integrità psichica ha ribadito il divieto assoluto di domande nocive, che possono attentare alla attendibilità del teste e suggestive, che possono fuorviare l’attenzione del teste, inducendolo a fornire una risposta non veritiera ma aderente ai quesiti formulati. La peculiare modalità di apprendimento e di immagazzinamento dei ricordi nel minore spesso legata alla sfera emotiva, rende necessaria una modalità di audizione che sia priva di informazioni implicite che possano essere recepite dal minore e fatte proprie, nonostante non facciano parte del proprio ricordo. La fragilità emotiva, e la capacità di apprendimento legato ad un modello adesivo e non di formazione autonoma del proprio pensiero e ricordo richiede uno sforzo da parte dell’esaminatore e quindi del giudice, che supportato dallo psicologo, può rendersi conto della condizione emotiva, psichica del minore, e di come lo stesso stia affrontando questo episodio traumatico, che nonostante la tenera età lo vede protagonista, suo malgrado, di una vicenda dolorosa. Spesso il minore è chiamato ad essere testimone, protagonista, ma soprattutto vittima di reati violenti, quali i maltrattamenti, ma anche reati di mafia. Su questo ultimo aspetto nulla ha aggiunto il legislatore in materia di incidente probatorio, spesso lasciando alla discrezionalità e alla sensibilità del giudice e degli operatori del diritto la scelta di procedere all’audizione con le particolari modalità di assunzione. Ritornando al tema delle domande suggestive,  va sottolineato che il dibattito è tutt’altro che sopito. Ed invero nel tentativo di recuperare una chiave interpretativa più aderente alla lettera della legge, ed alla ratio di divieto di formulare domande suggestive, la Cassazione sez III ha sottolineato che nel corso dell’escussione, non possono essere rivolte al teste domande che comprimono la libera determinazione, diversamente le domande suggestive non possono essere formulate da chi ha chiesto l’esame o ne ha interesse. Tale divieto non si estende al giudice che diversamente, dalle parti è chiamato in prima persona alla ricerca della verità sostanziale. A fronte di tali conclusioni, sul piano psicologico, è stato sostanzialmente confermato che i minori tendono a relazionarsi, secondo un modello di natura adesivo ed imitativo, e con facilità si è riscontrato che a fronte di domande implicative, che danno per scontato un determinato fatto, il minore tende ad assorbire tutto il bagaglio di notizie che gli vengono trasmesse, aggiungendo al proprio contesto narrativo spesso elementi fattuali, non realmente vissuti, alterando la bontà del narrato. È stato infatti sottolineato, anche in virtù dei principi istituiti con la Carta di Noto, che il divieto di formulare domande suggestive è correlato all’esigenza di ottenere una testimonianza maggiormente attendibile e genuina. Pertanto in sede di esame del minore si deve adottare uno schema di esame che possa maggiormente tenere conto dell’età del minore, della sua personale condizione cognitiva, psicologica, ed affettiva, comprendere le sue difficoltà a discernere il ricordo dalle informazioni assunte dal mondo esterno e non proprie, e soprattutto del convincimento che quanto accaduto sia corrispondente al ricordo che ne ha maturato. Ed infatti la Corte di Cassazione sez III con la sentenza n. 29612 del 2010 ha confermato che la valutazione delle dichiarazioni testimoniale della persona offesa richiede non solo un preliminare riscontro delle sue capacità a testimoniare, ma anche della capacità a recepire le informazioni, a ricordarle e a raccordarle tra loro, del proprio vissuto emotivo, del contesto familiari e delle dinamiche insite alle relazioni instauratesi. Spesso quando il minore viene sentito in sede di incidente probatorio ha già assorbito una trama narrativa, che è frutto di interferenze esterne, di manipolazioni informative, che acquisite dalle persone che gli stanno accanto, ne hanno deviato un percorso ricostruttivo. Ciò che ancora non ha trovato pieno accoglimento nel nostro ordinamento è l’osservanza delle indicazioni provenienti dalla decisione quadro 2001/220/GAI, che accende i riflettori sul primo contatto tra la vittima e l’autorità giudiziaria. In tema di reati sessuali, l’art. 609 decies prevede che il minore vittima di abusi sessuali sia accompagnato da persone deputate alla sua assistenza psicologica. Tale disposizione introdotta solo con riguardo ad una categoria di reati non può trovare spazio per altri ipotesi di reato che vedono il minore soggetto debole del processo. l’attenzione deve concentrarsi sulle prime dichiarazioni rese dal minore in sede di attività di indagini, e sulle modalità di raccolta, al fine di preservare l’enunciato narrativo da un influsso di informazione che in virtù di una sorta di imprinting diventano un tutt’uno con l’esperienza personale vissuta dal teste.

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