di Pietro Algieri
Le presunzioni prendono corpo nell’ambito delle prove artificiales (έντεχνоι nella terminologia aristotelica), ossia quelle fondate su operazioni logiche che, tramite il noto o il verosimile e in opposizione al metodo dimostrativo, cercano di conferire all’ignoto il più alto grado di attendibilità. Tale mezzo di prova veniva definito dai Roman con la denominazione di “argumentum o argumentat”: esso è fondato sulla opinio posita in communi omnium intellectu, perfettamente corrispondente, ancora, alle κοίναι έννοιαι dei Greci, anche definite πρόληψις; Seneca traduce tale ultimo termine con la parola latina praesumptio
La storia delle presunzioni è molto antica. La tradizione ebraica ha tramandato ai posteri la proverbiale sapienza di Re Salomone, esemplificandola nelle Scritture con il noto giudizio sulla controversia tra due donne che si contendevano la maternità del medesimo bambino ; la contesa fu decisa proprio sulla scorta di una presunzione semplice, che suggerì al re che la vera madre fosse quella disposta a perdere il figlio, piuttosto che vederlo morire. Ancora, tra le antiche leggi indiane il c.d. codice di Manù conteneva diverse presunzioni legali circa la mendacità dei contendenti e dei testimoni in un processo. A prescindere da tali riferimenti normativi risalenti nel tempo, tuttavia, l’istituto delle “presunzioni”entra a far parte a pieno titolo della storia del diritto in concomitanza con le prime costruzioni: in particolare, con lo sviluppo del diritto romano.
Lo strumento presuntivo, inizialmente di valenza prettamente persuasiva, diviene col tempo anche meccanismo legale di prova e di ripartizione degli oneri. probatori; ben nota, tra le prime, è ad esempio la c.d. praesumptio Muciana, in virtù della quale si presumevano provenienti dal marito i beni di cui non fosse nota l’origine: anche tale presunzione non aveva all’inizio valore legale, ma lo assunse senz’altro in seguito, in consonanza con quello che storicamente è il processo di affermazione delle presunzioni iuris Entrate a far parte del panorama giuridico, le presunzioni non ne uscirono con la caduta dell’Impero romano; la loro applicazione non si interruppe, ma anzi fu a tratti valorizzata dalla tendenza alla prevalenza della prova legale sul libero convincimento del giudice; si avviò uno studio approfondito dell’istituto, che interessò i glossatori, i commentatori, gli umanisti; in particolare, fondamentali per la sistemazione teorica della materia furono le opere di Andreas Alciatus (Tractatus de praesumptionibus, 1551) ed ancor più di Jacobus Menochius (De praesumptionibus, coniecturis, signis et indicis, 1590); nel solco di tali impianti si muovono anche i trattatisti del XVII e XVIII secolo, impegnati soprattutto a superare il precedente approccio casistico e a dar corpo di sistema alla tematica Sforzo proseguito nel corso dell’‘800, ultimo secolo in cui la materia pare meritare in dottrina un approccio monografico: eppure, la legislazione sino ai giorni nostri ha continuato ad operare riferimenti – più o meno espliciti – all’istituto delle presunzioni. – Si suole tradizionalmente definire la presunzione come quel procedimento probatorio che, da un fatto noto, consente di inferire la sussistenza di un fatto ignoto direttamente rilevante per l’applicazione del diritto. Questa definizione appare certamente assai generica, e capace di ricomprendere fenomeni per la verità piuttosto diversi tra loro.
Così, da sempre i giuristi hanno tentato di distinguere e classificare le differenti forme in cui esse si presentano.
La prima e fondamentale distinzione deriva dalla fonte giustificativa dell’operazione presuntiva. In tale ottica, si sono così differenziate le “presunzioni legali”, dette anche praesumptiones iuris, da quelle “semplici”, dette anche praesumptiones hominis. Ora, mentre le presunzioni semplici sono notoriamente quelle che la legge lascia al libero apprezzamento del giudice; le presunzioni legali sono, invece, quelle che trovano il loro fondamento nella legge e che, pertanto, impongono al giudice di considerarle come validi elementi di prova senza lasciarne il giudizio al suo libero apprezzamento. A sua volta, nelle ipotesi di presunzioni legali si possono avere due diversi livelli di intensità: in un caso, praesumptiones iuris et de iure meglio note come presunzioni assolute, la resistenza della presunzione è massima, tale per cui nessuna prova del contrario può scalfire l’equivalenza stabilita dal legislatore; nell’altro, praesumptiones iuris tantum più conosciute come presuzioni relative, invece, è data la possibilità di provare la non corrispondenza a realtà di quanto ipotizzato come veritiero.
Ritornando alle presunzioni semplici si può precisare che la fonte dell’equiparazione tra il fatto noto e quello ignoto consisterebbe in una massima di esperienza che, sulla base dell’id quod plerumque accidit, consentirebbe di affermare per via logico-induttiva che, data la nota sussistenza di x, sia assai probabile la presenza dell’elemento y, che, pertanto, viene assunto per vero. In altre parole, il giudice, al fine di accertare la sussistenza di un elemento rilevante per l’applicazione del diritto, potrebbe far riferimento ad un fatto noto per dedurne logicamente (ma sulla base di un’indagine empirica) la presenza anche del fatto ancora ignoto. L’elemento probabilistico, vera e propria anima delle presunzioni semplici, sarebbe in realtà molto spesso ratio giustificativa anche delle legali; così, il legislatore, proprio sulla scorta dell’id quod plerumque accidit, sceglierebbe di imporre la correlazione statistica in via generale, così da semplificare normativamente l’accertamento giudiziale. Da ciò, come si vedrà, è sorto l’equivoco di voler sempre ravvisare nella presunzione legale la positivizzazione per via giuridica di una valutazione probabilistica, ritenuta dal legislatore tanto fondata da essere imposta erga omnes, giudice compreso; e proprio sulla falsa riga di tale impostazione, si è addivenuti ad escludere dal novero della nozione che qui ci occupa tutte quelle vicende che non apparivano spiegabili in termini di alta frequenza statistica: con il risultato di non cogliere talune correlazioni con la tematica dell’onere della prova, di ridurre aprioristicamente l’ampiezza della categoria in questione e, simmetricamente, di sfornire di un’adeguata collocazione fenomeni assolutamente analoghi sul piano degli effetti; che è ciò che più rileva. L’id quod plerumque accidit non è infatti l’unico fondamento giustificativo delle presunzioni legali; in primo luogo, per la considerazione generale per cui l’esperienza del legislatore potrebbe non coincidere con quella del giudice; ma soprattutto, perché la norma ha il potere di porre una presunzione prescindendo da qualsiasi frequenza probabilistica, perseguendo solo finalità di utilità o opportunità, senza che ciò infici la validità della presunzione stessa. Pertanto, può senz’altro affermarsi in via di principio la neutralità della presunzione legale in punto di attendibilità storica del fatto presunto: ogniqualvolta il legislatore sostituisca alla prova del fatto y la (più agevole) dimostrazione del fatto x, non interessa verificare che effettivamente tra i due vi sia una ragguardevole correlazione statistica; al contrario, il disposto normativo surrogherà qualsivoglia valutazione empirica, imponendo con la forza della legge un accertamento mancante. La classificazione qui proposta – presunzioni legali, assolute e relative, e presunzioni semplici – è assai risalente, ed è stata da più parti ed in più parti confutata, integrata, ridefinita. Tuttavia, assume ancora oggi valore convenzionale, ed in quanto tale viene costantemente riproposta anche ai giorni nostri, pur con le dovute cautele e precisazioni.
Ed essa risulta accolta anche nel vigente codice civile, agli art. 2727 ss.; l’art. 2727 c.c., in particolare, definisce le presunzioni come “le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”. La definizione legislativa, tuttavia, va integrata con un opportuno richiamo alle particolari caratteristiche che deve possedere il fatto noto posto a fondamento del procedimento presuntivo, e costituente la species della prova critica. In tale prospettiva, ciò che lo differenzia rispetto ad una qualsiasi fonte di prova della species rappresentativa è la sua natura non artificiale, ossia non preordinata a provare il fatto ignoto, ma di semplice argomento da cui desumerlo. La prova rappresentativa, invece, nasce proprio con la destinazione e la funzione di descrivere una realtà fenomenica ed in quanto tale è proposta al giudice. Proprio per questo, vi è chi ha considerato la presunzione come fonte probatoria primordiale, posta alla base di ogni argomentazione dimostrativa: il valore della testimonianza, ad esempio, poggerebbe sulla generale presunzione di veridicità degli uomini Tuttavia, tale opinione è eccessiva: la sussistenza e la fondatezza di tale presunzione di veridicità ci sembrano tutte da dimostrare, né essa appare corrispondente alla realtà del procedimento probatorio; sempre restando alla testimonianza, essa non ha affatto valore di per sé, né lo acquista in virtù di una qualsivoglia presunzione; al contrario, tale mezzo di prova necessita di volta in volta di un vaglio, di una valutazione, tale per cui possa affermarsi che il narrante sia sincero e il narrato veridico. Astrattamente meno infondata, invece, ci appare altra ipotesi: quella di tener ferma la definizione legislativa, e sulla base della sua genericità ritenere che ogni mezzo di prova sia in realtà esso stesso una presunzione, ovverosia una prova critica A sostegno della tesi potrebbe appunto invocarsi che sempre l’accertamento di un fatto ignoto parte da un fatto noto, e che il procedimento presuntivo sia sempre il medesimo, ossia l’affidamento a massime di esperienza (o a precetti giuridici) che ci convincano che dal fatto noto sia dato assumere per vero l’ignorato Si potrebbe obiettare che, ad opinare così, si priverebbe di autonomia la categoria della prova critica, ma soprattutto si priverebbe di oggetto la relativa disciplina. Gli argomenti, però, non appaiono decisivi: l’eventuale assenza di un’etichetta legislativa ad hoc per la prova critica presuntiva non è di per sé un ostacolo, se prima non si dimostra che tale categoria meriti di essere isolata e diversamente regolamentata: in caso contrario, vale il brocardo entia non sunt multiplicanda sine necessitate. Quanto invece alla disciplina già prevista per le presunzioni quale mezzo di prova a sé, a prescindere dalla scarsità quantitativa delle indicazioni legislative che andrebbero “perdute”, nulla osterebbe a ritenerle applicabili a qualsiasi prova: se, ad esempio, le presunzioni semplici “sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti” (art. 2729 c.c. Tuttavia, se de iure condendo la tesi proposta può apparire non irragionevole, per quanto meritevole di ulteriore approfondimento, de iure condito essa si scontra con l’inequivoco disposto legislativo, che pone le presunzioni sullo stesso piano degli altri mezzi di prova; probabilmente il legislatore non si è avveduto che il procedimento presuntivo (legale e semplice), peraltro disciplinato con la inconsapevole genericità che si è sottolineata, potrebbe porsi quale “meccanismo di funzionamento” di tutte le prove, legali e non; ma l’impostazione prescelta dal codice civile non ci appare superabile da alcuna ricostruzione alternativa, per quanto fondata. Pertanto la definizione ivi contenuta può essere integrata, in virtù di una lettura sistematica che tenga conto degli altri mezzi di prova disciplinati altrove nel testo normativo, specificando – nei termini che si è visti – la particolare natura del fatto noto posto a base del procedimento presuntivo. E può anche aggiungersi che, sebbene prova rappresentativa e prova critica siano fenomeni concettualmente distinguibili, essi nella realtà interferiscono e si sovrappongono: accade laddove la prima funga da dimostrazione del fatto noto da cui scaturisce la seconda ed anche laddove la prova indiziaria serva comunque ad argomentare e giustificare l’attendibilità di quella narrativa