Avv. Annunziata Staffieri
Lo scorso 13 agosto, in un’ottica di parità di genere e di condivisione dei carichi familiari fra uomo e donna, è entrato in vigore il decreto legislativo 30 giugno 2022, n.105 con il quale è stata recepita la direttiva UE 2019/1158 del Parlamento e del Consiglio, del 20 giugno 2019, finalizzata ad assicurare il giusto equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i caregiver familiari, che ha abrogato la direttiva 2010/18/UE.
Con l’indicato decreto sono stati ampliati i diritti e le tutele in precedenza riconosciuti dal D.lgs. n.151/2001 (cd Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) a tali categorie di soggetti, introducendo novità non solo in tema di maternità, di congedo straordinario e di permessi di cui all’art. 33 della legge n.104/92, ma anche in materia di congedo di paternità obbligatorio e di congedo parentale per genitori lavoratori dipendenti.
Successivamente, sia l’INPS, con il messaggio n. 3066 /2022 e n. 3096/2022, che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota 9550 del 6 settembre 2022, hanno passato in rassegna le principali novità introdotte dalla riforma in oggetto.
Ma che cos’è il congedo di paternità?
Il congedo di paternità , com’è noto, è una conquista recente: si tratta di un istituto introdotto nel nostro ordinamento, in via sperimentale, soltanto dieci anni fa dall’art. 4, comma 24, lettera a) della legge 28 giugno 2012, n.92, sotto la spinta della direttiva europea 2010/18/UE, con il fine precipuo di riconoscere, ai dipendenti (inizialmente solo a quelli privati) che diventano padri o che adottano o ottengono in affidamento un bambino, il diritto di astenersi obbligatoriamente dal lavoro, godendo di una indennità giornaliera, totalmente a carico dell’INPS, pari al 100% della retribuzione.
Il suddetto congedo obbligatorio era inizialmente pari ad una sola giornata di astensione dal lavoro, che poteva essere fruita dal lavoratore, anche in maniera frazionata, entro i cinque mesi dalla nascita del bambino o dall’ingresso dello stesso in famiglia (in caso di affidamento o adozione).
Successivamente, i giorni di congedo obbligatorio passarono a due, con la legge di stabilità 2015 in riferimento agli anni 2016 e 2017, e poi ulteriormente incrementati fino a cinque con la legge di bilancio 2019.
L’art. 1-comma 342- della legge n.160/2020 (legge di bilancio 2020) ha poi sancito l’ulteriore incremento fino a sette giorni di congedo obbligatorio per l’anno 2020.
A partire dal 2021, infine, i giorni di congedo obbligatorio sono stati elevati a dieci (legge di bilancio 2021). Tuttavia, a seguito dell’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di bilancio 2022), dal 1° gennaio 2022, il congedo in parola è stato reso “strutturale” e non più sperimentale. È stato pertanto sancito in maniera definitiva, senza più scadenze e senza più necessità di rinnovi annuali, il diritto per il neo papà (biologico, affidatario o adottivo) di poter fruire dei giorni di congedo entro i primi 5 mesi di vita del bambino o dall’ingresso dello stesso in famiglia, anche in maniera non continuativa, interamente retribuiti.
Quali le novità previste in materia dal citato D.lgs. n. 105/2022?
La prima novità è l’introduzione nel cd Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.lgs. del 26 marzo 2001, n.151) del nuovo art. 27-bis, con il quale è stata confermata la durata del congedo in parola; alla luce di questa disposizione normativa il padre lavoratore, in caso di nascita (ma anche di morte perinatale), adozione e affidamento, potrà astenersi dal lavoro fino a dieci giorni lavorativi, non frazionabili a ore, fruibili anche in via continuativa e indennizzati al 100% della retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto e immediatamente precedente a quello in cui ha avuto inizio il periodo di congedo di paternità.
Rispetto alla disciplina pregressa sono state introdotte tre ulteriori grandi novità in materia:
- è stata introdotto il diritto per il lavoratore padre (padre biologico, affidatario e adottivo) di poter godere del congedo anche prima della nascita del bambino, potendo lo stesso chiedere al proprio datore di lavoro di poterne fruire anche 2 mesi prima della data presunta del parto e fino a 5 mesi dopo la nascita del bambino;
- in caso di parto plurimo il numero di giorni raddoppia per le nascite, gli affidamenti e le adozioni a decorrere dal 13 agosto 2022, cosa che non era prevista in precedenza;
- potranno fruire del congedo anche i dipendenti pubblici, finora di fatto esclusi da tale beneficio.
Giova rammentare che il permesso in esame si configura come un diritto “autonomo” del padre lavoratore, “indipendente”, “ulteriore” e ”aggiuntivo” non solo rispetto al congedo di maternità spettante alla lavoratrice madre (esso viene infatti riconosciuto al padre lavoratore anche nel caso in cui quest’ultimo fruisca del congedo di paternità alternativo ex art. 28 del dlgs n. 151/2001) ma anche rispetto all’ulteriore giorno (1) di congedo di paternità “facoltativo”, anch’esso da fruire, anche in via non continuativa, entro i cinque mesi successivi alla nascita del bambino o all’ingresso dello stesso in famiglia.
In quest’ultimo caso va precisato, tuttavia, che il congedo facoltativo è da considerarsi “alternativo” al congedo obbligatorio di maternità (la ex astensione obbligatoria dal lavoro); ne consegue che esso può essere fruito dal padre solo nei casi previsti dall’art. 28 del T.U., vale a dire soltanto in caso di morte, grave infermità della madre o di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, in alternativa al congedo di maternità.
In conclusione, il congedo di paternità ‘obbligatorio’ è sì compatibile con la fruizione del congedo di paternità ‘alternativo’, ma non potrà essere utilizzato, per ovvie ragioni, nelle stesse giornate.
Inoltre il congedo in parola, come precisato dall’INPS con i messaggi 3066/2022 e 3096/2022 e dalla INL con la nota prot n. 9550 del 06.09.2022, può essere fruito anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice (la cd. astensione obbligatoria).
Giova rammentare che quando si parla di dieci giorni di congedo si fa riferimento ai giorni lavorativi e non ai giorni di effettivo lavoro (sarà conteggiato, ad esempio, anche il sabato e via discorrendo).
Il datore di lavoro che rifiuti o ostacoli la fruizione del suddetto congedo è punito con la sanzione amministrativa compresa tra 516 e 2.582 euro. Inoltre una simile condotta potrà precludere al datore il conseguimento della certificazione della parità di genere (prevista dalla legge n.162/2021) o di analoghe certificazioni previste dalle Regioni e dalle Province autonome nei rispettivi ordinamenti, impedendo allo stesso di accedere a tutta una serie di benefici quali ad esempio: - per le aziende virtuose uno sconto del 1% sui contributi fino a 50mila euro annui;
- un punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici;
- punteggio alto nei bandi di gara per l’acquisizione di beni e forniture.
Ricordiamo, inoltre, che il padre lavoratore che fruisca del congedo di cui agli articoli 27-bis e 28, per la durata del congedo stesso e fino al compimento di 1 anno di età del bambino non potrà essere licenziato.
Il licenziamento ugualmente intimato dal datore di lavoro durante il periodo “protetto” è da considerarsi radicalmente nullo; tale tipo di nullità è sanzionata con la tutela più favorevole al lavoratore: la tutela reintegratoria forte (sia per i vecchi che per i nuovi assunti), con il diritto per il dipendente ad essere reintegrato nel posto di lavoro, con tutte le conseguenze di legge.
Tuttavia il legislatore prevede quattro deroghe al divieto in parola.
Il divieto di licenziamento, infatti, non opera in caso di:
-colpa grave del padre lavoratore (come nel caso delle lavoratrici madri), costituente giusta causa di licenziamento;
-cessazione definitiva dell’attività aziendale;
-scadenza lavoro a termine;
-esito negativo del patto di prova.
Inoltre, durante il periodo protetto il lavoratore non può essere sospeso dal lavoro, esclusa l’ipotesi di chiusura dell’attività aziendale o del reparto in cui il dipendente era addetto, a condizione che il reparto abbia autonomia funzionale.
La violazione delle disposizioni relative al divieto di licenziamento è punita con la sanzione amministrativa compresa tra 1.032 a 2.582 euro.
Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre o del lavoratore padre fino a un anno di vita del bambino, non preclude, tuttavia, la possibilità per gli stessi di rassegnare le dimissioni o di risolvere consensualmente il proprio rapporto di lavoro in tale arco temporale.
In tal caso si ricorda che, ai sensi dell’art. 55, co. 4, del d.lgs. n. 151/2001, la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice madre o dal lavoratore padre durante i primi tre anni di vita del bambino devono essere convalidate dal Servizio Ispettivo dell’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente.
Al riguardo si rammenta che lo scorso 23 maggio l’INL, a seguito della cessazione dello stato di emergenza da COVID-19, ha modificato la procedura della convalida ritenendo non più utilizzabile il modello di richiesta online di convalida delle dimissioni/risoluzioni consensuali, in sostituzione del colloquio “de visu” della lavoratrice madre o del lavoratore padre con il funzionario dell’ITL.
Al momento è possibile effettuare il colloquio di convalida con il personale dell’ITL anche da “remoto”, mediante la presentazione di un apposito modello di richiesta disponibile “online” sul sito dell’INL.
Tale istanza dovrà essere compilata e sottoscritta dall’interessata/o e trasmessa all’ITL competente per territorio (individuato in base al luogo di lavoro o di residenza del lavoratore o della lavoratrice interessati) mediante posta elettronica, allegando copia di un documento di identità e della lettera di dimissioni/risoluzione consensuale presentata al datore di lavoro, debitamente firmata e datata.
Ricevuta l’istanza, il servizio ispettivo avvierà il procedimento di convalida che dovrà concludersi entro il termine di 45 giorni.
In merito alla convalida delle dimissioni del lavoratore padre, l’INL (nota prot.n. 749 del 25 settembre 2020) ha chiarito che essa “va sempre effettuata, a prescindere dalla fruizione del congedo di paternità, avendo cura di verbalizzare una dichiarazione del lavoratore secondo cui il datore di lavoro è a conoscenza della propria situazione familiare anche in virtù di comunicazioni o richieste di diverso tenore”.
In caso di dimissioni rassegnate durante il periodo protetto, al padre lavoratore dovrà essere riconosciuta dall’INPS l’indennità NASPI, con conseguente obbligo per l’azienda di pagare il “ticket NASPI”.
Ma vi è di più.
Sempre in tema di convalida di dimissioni del lavoratore padre l’INL (nota prot.n. 896 del 26 ottobre 2020) ha chiarito che il padre lavoratore, fruitore del congedo di paternità, che si dimetta durante il periodo protetto non è tenuto al preavviso ed ha diritto a percepire la relativa indennità sostitutiva di preavviso.
Qualora invece il padre lavoratore si dimetta durante il periodo protetto senza aver fruito del congedo di paternità, allora egli sarà esonerato dal preavviso ma non avrà diritto alla relativa indennità sostitutiva.
Ai fini dell’esonero dal preavviso, l’INL ricorda che conta il fatto che il datore di lavoro sia a conoscenza della situazione familiare del lavoratore anche in occasione della presentazione delle dimissioni, allorquando il dipendente ne parli al datore di lavoro per motivare il mancato rispetto del periodo di preavviso.
Per l’esercizio del diritto i padri lavoratori, come chiarito dall’INPS con il messaggio n.3066/2022, a partire dallo scorso 13 agosto possono chiedere di fruire del congedo secondo le nuove regole dettate dal decreto legislativo n.105/2022, regolarizzando poi la fruizione mediante la presentazione della domanda in via telematica all’INPS non appena saranno accessibili i nuovi applicativi; il lavoratore dovrà comunicare in forma scritta al proprio datore di lavoro i giorni in cui intende fruire del permesso obbligatorio osservando, comunque, un preavviso non inferiore ai cinque giorni.
La forma scritta della comunicazione può essere sostituita dall’utilizzo del sistema informativo aziendale per la richiesta e la gestione delle assenze, ove presente.
Con il decreto in esame sono state introdotte novità anche in relazione al congedo parentale per i genitori lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati.
Il congedo parentale.
Per “congedo parentale” si intende quel periodo di astensione “facoltativa” dal lavoro, retribuito al 30% della retribuzione media globale giornaliera, che segue il congedo di maternità.
Quali sono le novità previste in materia dal decreto n.105/2022?
In breve la norma prevede:
1) l’allungamento fino ai 12 anni di vita del figlio (e non più 6) del termine per poter fruire del congedo parentale;
2) a ciascun genitore viene riconosciuta la possibilità, fino al 12° anno di età del figlio (e non più 6), di astenersi dal lavoro per un periodo di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore, indennizzati al 30% della retribuzione media globale giornaliera.
Dunque, esemplificando il caso di due genitori:
a) alla madre spetta un periodo di 3 mesi retribuiti al 30% (non trasferibili all’altro genitore) fino al dodicesimo anno di vita del figlio, ovvero dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento;
b) al padre spetta un periodo di 3 mesi retribuiti al 30% (non trasferibili all’altro genitore) fino al dodicesimo anno di vita del figlio, ovvero dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento;
3) i genitori, in alternativa tra loro, hanno il diritto a un ulteriore periodo aggiuntivo di congedo parentale della durata complessiva di 3 mesi, nel limite massimo complessivo di 9 mesi (in luogo di 6).
In sintesi, tre mesi per la mamma, tre mesi per il papà e tre ulteriori mesi a scelta tra i due genitori.
Concludendo, a decorrere dal 13 agosto viene innalzato a 9 mesi (e non più 6, come invece previsto dalla disciplina pregressa) il periodo massimo che può essere fruito dai genitori a titolo di congedo parentale; dunque tre mesi in più rispetto al passato indennizzati al 30% della retribuzione media globale giornaliera, restando tuttavia invariati i limiti massimi individuali di entrambi i genitori previsti dall’art. 32 del d.lgs. n.151/2001.
Inoltre per i periodi di congedo parentale ulteriori ai 9 mesi, fino al dodicesimo anno di vita del bambino o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento, l’indennità pari al 30% della retribuzione media globale giornaliera, è dovuta a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.
Si ricorda inoltre che i genitori di minori con handicap, in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4 della legge n.104/92, hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del figlio, ad una indennità pari al 30% della retribuzione media globale giornaliera per tutto il periodo di prolungamento.
In caso di nucleo “monofamiliare” o di “affido esclusivo”, il periodo di congedo parentale sale a 11 mesi (rispetto ai 10 mesi precedenti), continuativi o frazionati; in tal caso al “genitore solo” saranno remunerati 9 mesi al 30% della retribuzione globale giornaliera (e non più 6 come in passato).
Inoltre, in caso di affido esclusivo del figlio l’altro genitore perderà il diritto al congedo non ancora utilizzato.
L’INL con la nota 9550 dello scorso 6 settembre precisa che i periodi di assenza per congedo parentale, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all’interno degli stessi, mentre in caso di fruizione intervallata dovrà esservi rientro al lavoro da parte del padre o della madre.
La grande novità introdotta dal decreto 105/2022 è rappresentata dal fatto che i periodi di congedo parentale sono computati, rispetto al passato, nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità o gratifica natalizia, eccezion fatta per gli emolumenti accessori collegati all’effettiva presenza in servizio del dipendente, salvo eventuali discipline di maggior favore della contrattazione collettiva.
Di conseguenza, a seguito della riforma in esame, il lavoratore in caso di fruizione del permesso in parola, percepirà una retribuzione leggermente più alta rispetto al passato.
Inoltre si ricorda che:
in sostituzione del congedo parentale e per una sola volta, il dipendente potrà chiedere la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a part- time, con riduzione dell’orario di lavoro non superiore al 50%.
viene riconosciuto ai dipendenti con figli fino a 12 anni di età (senza limiti di età per i genitori di figli disabili) il diritto di precedenza nella concessione del lavoro agile.
Conclusioni.
Nonostante l’introduzione della nuova disciplina, l’Italia resta comunque nelle retrovie in materia di tutela della genitorialità rispetto agli altri paesi.
In Spagna, ad esempio, a decorrere dal 1 gennaio 2021 entrambi i genitori, in caso di nascita o di adozione o di affidamento, possono godere di 16 settimane di congedo, remunerato al 100% della retribuzione.
Di queste 16 settimane, le prime 6 vanno fruite fruite obbligatoriamente da entrambi i genitori mentre le successive 10 (sempre indennizzate al 100%) sono volontarie e quindi i genitori potranno decidere se utilizzarle a tempo pieno o part time oppure condividerle tra di loro, con effetti positivi sulla condivisione dei compiti genitoriali.
In Finlandia, dallo scorso 4 settembre, a entrambi i genitori sono concessi fino a 160 giorni di congedo, con la possibilità di trasferirne 63 all’altro genitore (o a chi si prenda cura del figlio), senza che la legge faccia riferimento al sesso del genitore né tanto meno al fatto che essi siano biologici, adottivi o affidatari.
Concludendo, la recente riforma italiana è certamente da apprezzare ma è solo un primo timido passo in avanti verso la parità di genere, finalizzato a ridurre il gender pay gap e la disoccupazione femminile.