Avv. Giorgia Crimi

La fotografia nell’era del digitale e dei social media subisce l’influenza di tre fenomeni, due di tipo tecnologico e uno sociale che ne hanno rivoluzionato, condizionato ed eroso la tutela autoriale.
Il primo fenomeno è costituito dal passaggio al digitale che ha portato alla smaterializzazione, alla evaporazione della fotografia.
Non solo l’immagine ritratta non è più fissata su una pellicola, venendo tradotta in un codice binario, su supporto informatico, ma nel passaggio dall’analogico al digitale, viene meno anche la stampa, che non costituisce più un passaggio indefettibile per fruire del risultato.

La facilità di accesso conseguente a questo cambiamento, al pari dell’annullamento di qualsiasi costo di gestione, ha di fatto “democraticizzato” l’arte fotografica, sempre più alla portata di tutti anche grazia al fatto che non è più necessario acquistare una macchina (né analogica, né digitale) ben potendo essere utilizzato lo smartphone, device multifunzionale a disposizione di tutti.
Smartphone che peraltro consentono di raggiungere risultati straordinari in termini di qualità dell’immagine che quindi non dipendono più dall’apporto dell’autore.

Il secondo fenomeno è legato al nuovo modo di fruire della fotografia, che prescinde dalla stampa: la divulgazione, più propriamente, la condivisione attraverso il web.
Anche la rete internet infatti, oltre ad essere sempre più veloce e affidabile (allargamento della banda, moltiplicazione delle connessioni, etc.), è a disposizione di tutti non solo mediante il collegamento “casalingo” da cui tutto è partito, nei primi anni ’90 del secolo scorso, ma anche attraverso economicissimi abbonamenti annuali sullo smarthphone.
Quindi alla facilità di accesso alla fotografia, si aggiunge la velocità a costo zero con cui le immagini possono circolare, non solo inviate da un destinatario all’altro, ma postate, scaricate, condivise, ripostate, etc. Tutte attività che oltre alla definizione del gergo informatico, hanno un contenuto giuridico poiché postare significa pubblicare, scaricare vuol dire creare una copia e riprodurre, condividere equivale a comunicare e/o mettere a disposizione del pubblico, modalità di utilizzo dell’immagine che la legge riserva all’autore, concetto sempre più ignorato dagli utenti del web.
Il terzo fenomeno che ha notevolmente complicato la tutela autoriale della fotografia è di tipo sociale: ci si trova oggi nella società dell’informazione, che si basa sullo scambio di contenuti, anche non finalizzato se non all’ottenimento di un like, ovvero a suscitare l’engagment, l’interazione su cui si basano soprattutto ai social network.
In questo tipo di società, gli internauti non sono solo passivi destinatari di dati, ma attivi produttori/creatori di contenuti, che immettono e fanno circolare sul web senza pensare troppo alle conseguenze, anche quando, nella specie, le immagini e informazioni riguardino la rivelazione di dati personali e aspetti del proprio privato, sempre più esposto e labile.
La presenza di dati e immagini così puntuale e dettagliata ha peraltro favorito un fenomeno illegale che è venuto a galla proprio nell’ultimo periodo, quello delle truffe sentimentali o romantiche, in cui il truffatore riesce a consumare il reato per avere riscosso la completa fiducia nella vittima grazie al fatto di avere indossato l’identità di un soggetto, di cui, a costo zero e senza sforzi, ha potuto conoscere tutto, avendo reperito un numero cospicuo di informazioni ingenuamente immesse sul web.
Dalla combinazione di questi fenomeni nasce la convinzione, radicata non solo negli internauti adolescenti, ma anche negli individui di livello culturale-professionale medio-alto, che tutto ciò che è tecnologicamente possibile è anche giuridicamente lecito.
Questo è ovviamente un problema che implica l’erosione della tutela autoriale del diritto d’autore, poiché è un principio alla base della filosofia del diritto che ai fini della effettività delle norme di diritto sia decisivo, rispetto al puro effetto deterrente della sanzione, l’adeguamento spontaneo ai precetti di legge da parte del corpo sociale organizzato.
Ciò premesso, la tutela autoriale della fotografia ha stentato ad affermarsi nell’ordinamento italiano; era invero radicata una certa diffidenza, poiché veniva considerato prevalente l’apporto tecnico rispetto a quello umano, diffidenza che, con il senno di poi, ad avviso della scrivente, non era poi così del tutto fuori luogo, visto la deriva odierna del sistema.

L’opera fotografica ha fatto ingresso nella legge 633 del 1941 solo a fine anni settanta, dopo il recepimento (tardivo) della Convinzione di Berna, nella versione di Bruxelles.
Infatti fino alla fine degli anni ’70 nell’ordinamento italiano esisteva la sola fotografia cosiddetta “semplice”, tutelata con la tecnica normativa del diritto connesso (art. 88 Legge 633/1941 e seg.ti), riservata a disciplinare fattispecie ancillari rispetto all’opera intellettuale (con la stessa tecnica ad esempio sono tutelati il produttore e gli artisti interpreti esecutori di cui parlerà più oltre la collega Antonella Marra).
L’opera fotografica propriamente detta è invece disciplinata dagli artt. 1 e 2 della Legge 633/1941.

Le due tipologie quindi sono entrambe presenti nel nostro ordinamento.
Il diritto connesso riconosciuto all’autore di fotografia semplice ha durata più breve nel tempo e uno statuto di diritti molto più limitata, oltre al fatto che l’esercizio del diritto (non già la sua costituzione in campo al titolare) richiede il rispetto delle formalità previste dalla legge, quali in particolare l’indicazione del nome dell’autore e della data; questa previsione ha l’obiettivo di mettere in condizione il terzo di conoscere se i diritti sull’immagine siano o meno scaduti (ovvero siano decorsi i 20 anni di tutela) e/o di mettersi in contatto con l’autore per acquisire il consenso all’utilizzazione; in mancanza delle indicazioni di legge, il terzo che utilizza senza autorizzazione la fotografia si considera in buona fede, salvo prova contraria.

Un certo orientamento poi tende ad estendere i diritti patrimoniali, riconoscendo anche diritti morali, oltre a quello di paternità anche quello di tutela dell’integrità dell’opera.

In punto di prova, rinvio ad una sentenza molto interessante (Tribunale Roma Sez. spec. Impresa, 01/06/2015, n.12076) che ha stabilito come la pubblicazione di una fotografia nella pagina personale del social network Facebook, pur in mancanza delle indicazioni richieste dalla legge sul file fotografico, può assurgere a presunzione grave, precisa e concordante della titolarità dei diritti fotografici in capo al titolare della pagina del social network; di conseguenza, il Tribunale ha condannato al risarcimento del danno il soggetto che le aveva utilizzate senza consenso dopo averle così scaricate.

L’opera fotografica invece è soggetta integralmente alla disciplina delle altre opere dell’intelletto: diritti patrimoniali esclusivi, di durata settentennale, diritti morali, etc.

Ma qual è la differenza tra le due tipologie di fotografie?
La fotografia semplice viene così classificata perché considerata una rappresentazione della realtà, priva di apporto creativo: i diritti vengono riconosciuti all’autore per remunerare l’investimento professionale, oltre al rilevare la destinazione informativa e commerciale della stessa.
L’opera fotografica invece è una interpretazione della realtà, una scelta libera e non finalizzata dell’autore, in cui esprime la propria personalità e creatività.
La differenza tra l’una e l’altra tipologia di fotografie va rilevata in funzione di indici elaborati dall’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalenti che mediante un’indagine di merito, oggettivizzando il carattere della creatività, risiedono nella ricerca del “gioco di chiaro scuro”, nella capacità dell’autore di “cogliere l’attimo”, nella “scelta del soggetto”, nella capacità di generare “suggestioni”.
Il fatto è che spesso i giudici ricorrono anche a nozioni metagiuridiche: per giustificare la natura di opera fotografica si ricerca quindi un piglio artistico, che in realtà non è richiesto dalla norma.
Prendo in considerazione una recente sentenza, molto interessante in tema di fotografia, la sentenza n. 2539 del 23 aprile 2020 della Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Milano.
Nella specie il Tribunale ha condannato la società dello stilista Marras, in solido con quella del distributore, per avere illecitamente utilizzato un’immagine scattata dal fotografo americano Cox, che ritraeva un lupo nella neve, su alcuni capi di abbigliamento della propria collezione.
La condanna, peraltro particolarmente severa, parte dall’avere ravvisato nell’immagine riprodotta la natura di opera fotografica.
Due note.
La prima. Anche la società di Marras, al pari di un giovane internauta solitario, si è difesa sostenendo di avere reperito l’immagine dal web, circostanza che non ha giocato a favore del convenuto, per avere il Giudice rilevato al contrario come un operatore professionista, specie se nel campo della moda, i cui si utilizzano spesso immagini, deve avere una diligenza specifica.
Il secondo argomento. La natura di opera fotografica è stata riconosciuta sulla scorta dei parametri di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale menzionati. Ma è stata anche ricordata l’importanza dell’autore e la circostanza che l’opera fosse stata anche pubblicata su riviste di settore.
Quindi chiudo con una provocazione.
Siamo sicuri che la notorietà dell’autore non abbia giocato un proprio ruolo e che ad altrettanta soluzione sarebbe giunto il Tribunale se si fosse trattato di un’immagine di un qualunque sconosciuto?
Ed ancora, anche alla luce della difficoltà odierna, per gli stessi addetti ai lavori, di conoscere e tutelare i propri diritti, siamo sicuri che un fotografo non “blasonato” avrebbe potuto permettersi di affrontare un giudizio così complesso?
Ai posteri l’ardua sentenza.

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