LA RESPONSABILITA’ DEL COMPROPRIETARIO
CHE DANNEGGIA IL MURO COMUNE
Cassazione civile 23 novembre 2012 n. 20733
A cura della Dott.ssa Claudia Zangheri Neviani
MASSIMA
“in tema di responsabilità extracontrattuale, qualora il danno subito dalla cosa comune sia imputabile ad uno dei due comproprietari, l’altro comproprietario può agire nei confronti del danneggiante per il risarcimento del danno per equivalente solo nei limiti dell’importo corrispondente alla spesa necessaria per la riparazione su lui gravante in proporzione al suo diritto di comproprietà, e non anche per la parte di esborso dovuta dal comproprietario danneggiante.”
IL CASO
Il confinante chiama in giudizio il vicino chiedendo il risarcimento dei danni subiti al muro di confine a causa del propagarsi delle radici di un pino che insiste sulla proprietà del convenuto. Quest’ultimo chiede in via riconvenzionale che il muro sia dichiarato di sua esclusiva proprietà, anche mediante accertamento dell’usucapione, oltre al risarcimento dei danni a carico dell’attore per aver questi costruito tre volumetrie in appoggio al muro di confine. Il Giudice di pace di Cecina, afferma la comproprietà del muro e condanna il convenuto al risarcimento del danno per l’intero ammontare, e all’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 896 c.c. alla manutenzione della pianta in oggetto; anche il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, rigetta l’appello della parte soccombente.
QUESITO DA RISOLVERE
In caso di comproprietà i danni sono da considerarsi a carico della parte danneggiante o sono da suddividersi tra i comproprietari?
NORMATIVA APPLICABILE
882 c.c
NOTA ESPLICATIVA
L’art. 882 c.c. disciplina la comunione del muro di confine stabilendo che “le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di tutti quelli che vi hanno diritto e in proporzione del diritto di ciascuno, salvo che la spesa sia stata cagionata dal fatto di uno dei comproprietari.”
La manutenzione e la riparazione del muto sono così a carico dei comproprietari e ciò deriva dal fatto che il codice impone la comunione forzosa del muro come soluzione più economica e razionale (sarebbe, infatti, inutile costruire due muri vicini, quando uno solo può essere funzionale per entrambi), a meno che i singoli proprietari non siano tutti contrari. Da questi presupposti nascono le ragioni per cui il codice predilige una presunzione di comunione del muro.
La ripartizione delle spese è ovviamente esclusa quando il danno derivi dal comportamento di uno solo di essi. L’obbligo di contribuzione alle spese è un obbligo reale o propter rem poiché grava su ogni comproprietario. La persona del debitore e del creditore sono, infatti, individuate per relationem in base a chi, nel momento della richiesta, è titolare del diritto di proprietà; i soggetti del rapporto, infatti, mutano in seguito al mutare della titolarità del bene e quindi alla sua circolazione. Essendo obbligazioni ambulatorie si capisce come la giurisprudenza costante abbia dichiarato che il risarcimento si trasferisce in capo a chiunque sia proprietario della cosa nel momento in cui si presta la necessità della riparazione. Inoltre, trattandosi di obbligazione propter rem, l’obbligazione al pagamento della propria quota permane anche in caso di rinuncia al diritto di proprietà del muro, per tutte quelle obbligazioni già maturate prima della rinuncia.
La cassazione ha da sempre confermato quanto stabilito dal codice civile per la ripartizione delle spese, si veda in particolare Cassazione Civile 30 marzo 1994 nr 3089
“mentre le spese di riparazione e ricostruzione del muro comune per quelle cause di deterioramento dipendenti dall’uso normale è, ai sensi dell’882 cc, a carico di tutti i comproprietari, in proporzione del diritto di ciascuno … . L’onere delle spese provocate dal fatto di uno dei partecipanti, essendo connesse alla responsabilità personale di questo, grava esclusivamente sul soggetto che vi ha dato causa.”
Così come ha sempre confermato che nel caso di muri divisori posti su fondi a dislivello
“le spese di conservazione e costruzione dello stesso sono a carico del proprietario del fondo superiore, fino al piano di campagna di tale fondo, del quale il muro ha funzione di contenimento, mentre sono a carico di entrambi i proprietari per la parte che si eleva al di sopra del piano di campagna in considerazione della finalità divisoria assolta da questa porzione di muro, con pari utilità dei due fondi.” Cassazione Civile 2 dicembre 1995 nr 12457
Tutto nell’ottica, appunto, della divisione proporzionale delle spese in base all’utilità che ad ogni proprietario deriva dall’utilizzo del muro. Ne consegue che i danni devono essere indennizzati secondo il principio della responsabilità per atto illecito e quindi ricadono a carico del solo danneggiante.
In netto contrasto con quanto da sempre sostenuto la suprema corte, la sentenza in commento afferma l’opposto: il danneggiato può chiedere il risarcimento dei danni per equivalente della sola propria quota e non dell’intero danno, nonostante quest’ultimo sia stato causato da uno solo dei comproprietari. La sentenza continua sostenendo che, non solo i danni ma anche le spese per le riparazioni possono essere liquidate al danneggiato solo per la sua quota e non anche per la parte di esborso che è dovuta dal danneggiante. Nel caso di specie per la corte non applica la normativa della manutenzione del muro comune, ma la quella in materia di responsabilità extracontrattuale con la diretta conseguenza che il pregiudizio patrimoniale subito corrisponde alla spesa posta a carico del danneggiato per la riparazione, e non come disciplinato dall’art. 882 c.c. per cui le spese di riparazione del danno sono a carico esclusivo del danneggiante.
Altro argomento toccato dalla sentenza in esame e la presunzione di comproprietà del muro. La cassazione afferma infatti che il convenuto non ha dato prova contraria ( si tratta infatti di una presunzione semplice) della comunione pertanto essa si presume esistente. Tale fattispecie può costituirsi mediante accordo negoziale tra i vicini, oppure con sentenza giudiziale che la dichiari. Dottrina e giurisprudenza si sono chieste quale fosse la natura di tale acquisto. Per alcuni si trattava di espropriazione, per altri di vendita, di negozio misto tra espropriazione e vendita, o, ancora, era visto come trasferimento coattivo o infine come dichiarazione unilaterale. Nessuna di queste teorie è scevra da critiche; e comunque non avrebbero ragione di esistere se si considera che la comunione forzosa del muro altro non è che un modo di essere della proprietà, cioè una facoltà contenuta nel diritto di proprietà.
GIURISPRUDENZA DIFFORME
Cassazione civile 30 marzo 1994 nr 3089
Cassazione Civile 2 dicembre 1995 nr 12457
BIBLIOGRAFIA
Massimo Bianca Diritto civile 6 la proprietà” Giuffrè editore
Antonio Gambaro “Il diritto di proprietà” trattato di diritto civile e commerciale Cicu – Messineo, Giuffrè Editore
Ugo Mattei “I diritti reali 1 la proprietà” trattato di diritto civile diretto da Rodolfo Sacco
SENTENZA
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 6-12-1994 P.O. conveniva in giudizio O.P. e C.R., per sentirli condannare ai risarcimento dei danni arrecati al muro di confine tra le rispettive proprietà dal propagarsi delle radici di alcune piante di pino esistenti nell’immobile dei convenuti, nonché ad effettuare le necessarie potature delle fronde sporgenti all’interno della proprietà dell’attore.
Nel costituirsi, la O. contestava la fondatezza della domanda, chiedendo in via riconvenzionale che venisse accertato che il muro in questione era
di sua proprietà esclusiva, eventualmente per usucapione, e che venisse pronunciata la condanna dell’attore al pagamento delle somme dovute ex artt. 873 e ss. c.c., per la realizzazione di tre volumetrie in appoggio o in aderenza al muro della convenuta, nonché al risarcimento dei danni provocati allo stesso muro da tali costruzioni.
Il C. eccepiva in limine il proprio difetto di legittimazione passiva, asserendo di non essere proprietario dell’immobile confinante con quello dell’attore.
Con sentenza depositata il 13-7-2000 il Giudice di Pace di Cecina condannava la O. a pagare all’attore, a titolo risarcitorio, la somma di lire 5.000.000, ponendo a carico della stessa convenuta l’obbligo ex art. 896 c.c. di provvedere alla manutenzione delle piante poste al confine tra le proprietà delle parti; rigettava la domanda riconvenzionale proposta dalla O.; dichiarava la carenza di legittimazione passiva del C.
Con sentenza depositata il 23-6-2005 il Tribunale di Livorno, Sezione Distaccata di Cecina, rigettava sia l’appello principale proposto dalla O. che quello incidentale proposto nei confronti di quest’ultima dal P.; accoglieva, invece, l’appello proposto dal C., condannando l’attore al pagamento delle spese sostenute dal predetto convenuto.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre O.P., sulla base di cinque motivi.
P.O. non ha svolto attività difensive.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 880 e 881 c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene che il Tribunale ha errato nel ritenere applicabile la presunzione di comproprietà del muro di recinzione ai sensi dell’art. 880 c.c., non avendo l’attore provato di essere proprietario del fondo limitrofo a quello della convenuta. Deduce che, al contrario, come riconosciuto dal C.T.U., il muro per cui è causa ha caratteristiche che rendono applicabile la presunzione di proprietà esclusiva della ricorrente, ex art. 881 c.c.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della prova sul quantum della pretesa risarcitoria azionata dalla controparte.
Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla dedotta violazione del vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado. Rileva che con l’atto introduttivo del giudizio il P. aveva chiesto il risarcimento dei danni relativi al muro di confine, sul presupposto che questo fosse di sua proprietà esclusiva, non anche il risarcimento pro quota per il muro in comproprietà. In ogni caso, sostiene che dall’applicazione della presunzione di comunione del muro doveva eventualmente conseguire la condanna della convenuta solo proquota, e non per l’intero ammontare del danno subito dal muro stesso.
Con il quarto motivo la O. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 115 e 116 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che la Corte di Appello ha erroneamente valutato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, da cui si evinceva che, in presenza degli indizi previsti dall’art. 881 c.c., la proprietà del muro di confine doveva essere attribuita alla O.
Con il quinto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 880 e 881 c.c., nonché dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene che, essendo pacifica la proprietà del muro di cinta in questione, doveva trovare accoglimento la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta.
2) Il primo motivo, nella parte in cui contesta l’appartenenza del fondo limitrofo all’attore, è inammissibile, proponendo una questione che, per quanto si evince dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso, non è stata prospettata in appello e non può, pertanto, essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità.
Le ulteriori deduzioni svolte dalla ricorrente sono prive di specificità, non indicando nemmeno quali siano le caratteristiche del muro in questione idonee a sorreggere la presunzione di proprietà esclusiva di cui all’art. §81 c.c.
3)Il secondo motivo è formulato in termini generici, non confrontandosi con le argomentazioni svolte dal Tribunale per dare conto dell’adeguatezza della quantificazione del danno operata dal primo giudice. Il giudice di appello ha spiegato, al riguardo, che l’importo liquidato deve ritenersi congruo anche in base ad una valutazione equitativa, tenuto conto della natura del pregiudizio subito dal muro e delle opere occorrenti alla sua eliminazione; e che tale valutazione equitativa risulta supportata dalle considerazioni svolte dal C.T.U., da esso ritenute pienamente condivisibili.
Tali considerazioni non hanno costituito oggetto di specifica censura da parte della ricorrente, la quale si è limitata a lamentare, in termini assertivi, la mancanza di prova sul quantum. In ogni caso, le deduzioni svolte con il motivo in esame si risolvono in inammissibili censure di merito avverso l’apprezzamento espresso dal Tribunale, che, in quanto sorretto da una motivazione esente da vizi logici, non è sindacabile in sede di legittimità.
4) Il terzo motivo, nella prima parte, è privo di fondamento, avendo il giudice di appello dato atto che nella citazione introduttiva l’attore non ha affermato, nemmeno implicitamente, di essere proprietario esclusivo del muro di confine.
Risultano invece fondate le censure mosse alla sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che, essendo il danno interamente imputabile alla O. , l’attore, quale comproprietario del bene danneggiato, poteva richiedere alla convenuta il risarcimento dell’intero danno.
Deve evidenziarsi, al riguardo, che, in base alla speciale disciplina dettata dall’art. 882 comma 1 c.c., le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di tutti i comproprietari in proporzione alle rispettive quote di comproprietà, salvo che la spesa sia stata cagionata dal fatto di uno dei partecipanti, nel qual caso l’obbligo di riparare il muro comune è posto per l’intero a chi abbia cagionato il fatto che ha dato origine alla spesa. L’obbligo sancito dall’ultima parte della norma in esame, secondo l’opinione prevalente, rappresenta un eccezionale criterio di imputazione, che prescinde dal dolo o dalla colpa dell’autore, e che si basa esclusivamente sul nesso causale tra il fatto del compartecipe e il danneggiamento del muro.
Nella specie, peraltro, non trova applicazione la menzionata disposizione codicistica, in quanto l’azione proposta dall’attore nei confronti della O. , secondo la qualificazione ad essa data dalla Corte di Appello, non posta in discussione in questa sede, è un’ordinaria azione di risarcimento danni da fatto illecito.
Orbene, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, in tema di responsabilità extracontrattuale, qualora il danno subito dalla cosa comune sia causalmente imputabile ad uno dei comproprietari, il comproprietario del bene danneggiato può agire nei confronti del danneggiante per il risarcimento dei danni per equivalente solo pro-quota, e non per intero. Il pregiudizio patrimoniale subito dal comproprietario, infatti, corrisponde alla spesa posta a suo carico per la riparazione del bene comune; sicché in favore del predetto può essere liquidato solo l’importo su lui gravante in proporzione al suo diritto di comproprietà, e non anche la parte di esborso dovuta dal comproprietario danneggiante.
I giudici di merito, pertanto, una volta accertato che il fatto dannoso era ascrivibile alla condotta della comproprietaria O. , non avrebbero dovuto condannare la convenuta al totale dei danni subiti dal muro comune, ma avrebbero dovuto contenere la misura del risarcimento nei limiti della quota di comproprietà spettante all’attore.
5) Il quarto motivo è infondato.
Giova rammentare che le valutazioni espresse dal c.t.u. non hanno efficacia vincolante per il giudice, il quale, tuttavia, allorquando intenda disattenderle, deve fornire adeguata motivazione, indicando gli elementi che l’hanno indotto a discostarsi dal parere dell’esperto (cfr. Cass. 3-3-2011 n. 5148; Cass. 13-9-2006 n. 19661; Cass. 3-8-2004 n. 14849; Cass. 11-12-1999 n. 13863).
Nella specie, il Tribunale ha adeguatamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto di dissentire dalla valutazione espressa dal C.T.U. circa l’appartenenza del muro in questione alla odierna ricorrente. Esso ha spiegato che il fatto che, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, una minima parte del muro di confine spiova verso la proprietà della O. , non può significare, di per sé, che l’intero manufatto – lungo circa 35 metri lineari – appartenga alla convenuta, o debba presumersi di sua appartenenza ai sensi dell’art. 881 c.c. Di conseguenza, nel rilevare che sarebbe illogico ipotizzare un regime di proprietà diverso per diversi tratti del muro, il giudice di appello ha ritenuto che, in concreto, la situazione di fatto autorizzi la presunzione di comunione di cui all’artt. 880 c.c., e non quella di proprietà esclusiva di cui al successivo art. 881 c.c.
La valutazione espressa al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, essendo sorretta da una motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici. Il controllo del giudice del merito sui risultati dell’indagine svolta dal c.t.u., infatti, costituisce un tipico apprezzamento di fatto, in ordine al quale il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della sufficienza e correttezza logico – giuridica della motivazione (Cass. 13-9-2006 n. 19661).
6) Il quinto motivo è formulato in termini del tutto generici ed è, comunque, infondato, partendo dal presupposto secondo cui il muro di cui si discute sarebbe di proprietà esclusiva della convenuta; presupposto che risulta contraddetto dalle valutazioni espresse dal Tribunale, il quale, con motivazione corretta sul piano logico e giuridico e con apprezzamento in fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto non superata la presunzione di comunione del muro prevista dall’art. 880 c.c., rilevando che la O. , sulla quale incombeva l’onere di provare l’affermato diritto di proprietà esclusiva dei muro divisorio, non ha fornito al riguardo alcun elemento probatorio.
7) In definitiva, va dato accoglimento, per quanto di ragione, al terzo motivo di ricorso, mentre gli altri devono essere disattesi.
Di conseguenza, s’impone la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altro giudice del Tribunale di Livorno, il quale dovrà attenersi al principio di diritto secondo cui, in tema di responsabilità extracontrattuale, qualora il danno subito dalla cosa comune sia imputabile ad uno dei due comproprietari, l’altro comproprietario può agire nei confronti del danneggiante per il risarcimento dei danni per equivalente solo nei limiti dell’importo corrispondente alla spesa necessaria per la riparazione su lui gravante in proporzione al suo diritto di comproprietà, e non anche per la parte di esborso dovuta dal comproprietario danneggiante.
Il giudice dei rinvio provvedere anche sulle spese dei presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie per quanto di ragione il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri e rinvia anche per le spese del presente grado ad altro giudice del Tribunale di Livorno.